Nella novella Rosso Malpelo – che uscì per la prima volta sul quotidiano Il Fanfulla nel 1878 – Giovanni Verga racconta di uno dei tanti carusi che lavoravano nelle zolfare siciliane. Malpelo – che era emarginato per i suoi capelli rossi e per il suo stato sociale – un giorno scese in un pozzo della miniera e non fece più ritorno. Quanti Malpelo di preciso ci fossero nell’Italia appena fatta non è dato saperlo ma si ipotizza che fossero in molti.
Negli ultimi 160 anni l’Italia si è modernizzata e i carusi sono solo un ricordo, grazie alla Scuola pubblica e all’intervento di leggi che tutelano i minori. Attraverso l’opera di pedagogisti visionari, infatti, l’istruzione è stata garantita progressivamente a tutti i minorenni, a partire soprattutto dagli anni Cinquanta. Eppure, la pandemia potrebbe restituire dall’oblio il profilo di un nuovo Malpelo a causa di un fenomeno noto come dispersione scolastica che indica l’abbandono precoce degli studi.
La dispersione scolastica in Italia e gli Early School Leavers
Per misurare la dispersione scolastica si utilizza un indicatore indiretto, cioè si valuta la popolazione tra i 18 e i 24 anni che possiede massimo il titolo di licenza media, che non frequenta corsi scolastici e che non ha conseguito alcun corso di formazione professionale superiore a due anni riconosciuto dalla Regione né segue altri percorsi formativi. Questi ragazzi vengono denominati Early School Leavers.
La media italiana degli Early School Leavers è del 13,5% (15,4 i ragazzi e 11,5 le ragazze). Ma è al Sud Italia e nelle isole che la situazione si fa più critica. La dispersione scolastica raggiunge la soglia del 22,4% in Sicilia e oscilla tra il 17,3% e il 19% in Campania, Puglia, Calabria e Sardegna.
Come si legge ne L’Atlante dell’Infanzia a Rischio 2020 – Con gli occhi delle bambine di Save the Children nel paragrafo riservato all’abbandono precoce degli studi, «il problema è complesso, perché tocca da vicino questioni di enorme rilevanza, dall’equità di un sistema formativo che non sempre è in grado di sostenere i più vulnerabili alle scarse opportunità offerte ai giovanissimi su come orientare il proprio futuro in una società dove si sta riducendo la mobilità sociale».
Sempre secondo l’organizzazione umanitaria, gli indicatori economici segnalano che «i giovani perduti agli studi rappresentano una privazione per l’intera società, nel breve e nel lungo periodo». Di conseguenza, a causa della scarsa istruzione, questi ragazzi «avranno poi maggiori difficoltà ad inserirsi e a permanere nel mondo del lavoro, non avranno a disposizione gli strumenti necessari per affrontare e per adattarsi ai cambiamenti, saranno, in sostanza, più a rischio di marginalità ed esclusione sociale».
Come potrebbe incidere il Covid sul fenomeno della dispersione scolastica?
Come potrebbero incidere l’emergenza Covid e le strategie volte al contenimento del contagio sull’abbandono precoce degli studi è ancora presto per dirlo. Intanto, secondo l’Istat, potrebbero essere 3milioni gli studenti italiani ad aver avuto difficoltà a frequentate la didattica a distanza nel 2020.
Nel rapporto annuale 2020 dell’Istat si legge, infatti che «la chiusura della scuola di ogni ordine e grado seguita alla diffusione del virus rappresenta un motivo di forte difficoltà per le famiglie e un canale di amplificazione delle diseguaglianze a sfavore di donne e bambini», siccome è proprio sulle mamme (anche se sono lavoratrici cambia poco) che grava, per un fatto socio-culturale e storico, gran parte del lavoro di cura non retribuito.
Secondo Henrietta Fore, direttrice generale dell’Unicef, «ogni giorno che passa, i bambini che non possono accedere all’istruzione in presenza rimangono sempre più indietro, e i più emarginati pagano il prezzo più alto», proprio perché, precisa Fore, «coloro che non possono accedere all’apprendimento da remoto sono esposti a maggiori rischi di non tornare mai a scuola».
Il rischio che si corre, lasciando i bambini e gli adolescenti nell’incuria, è alto. Se la dispersione scolastica dovesse intensificarsi, non solo aumenterebbero i divari sociali tra l’Italia – che ha un saldo naturale negativo con una natalità tra le più basse al mondo – e i Paesi europei ad alto reddito ma si amplificherebbero anche le disuguaglianze sociali tra regioni italiane.
A Sud meno ore di lezione in presenta
Stando a uno studio di Save the Children che è stato effettuato su 8 capoluoghi di provincia, l’Italia sembra procedere a due velocità per quanto riguarda la scuola. Da settembre 2020 a fine febbraio 2021, i bambini delle scuole dell’infanzia di Bari hanno potuto frequentare in presenza 48 giorni sui 107 previsti, contro i loro coetanei di Milano che sono stati in aula tutti i 112 giorni in calendario. Gli alunni delle scuole medie di Napoli sono stati in aula 42 giorni su 97 mentre i coetanei romani hanno frequentato tutti i 108 giorni programmati.
Insomma in una società liquida e senza grandi punti di riferimento, dove la scuola è a distanza, potrebbe essere troppo facile precipitare nel buio dell’indifferenza e non rialzarsi più, così come accadde a Malpelo che dalle profondità delle terra non fece più ritorno.
Scriveva Don Milani: «Se si perdono i ragazzi più difficili la scuola non è più scuola, è un ospedale che cura i sani e respinge i malati». Ed è a questi ultimi che lo Stato, attraverso la pubblica istruzione, dovrebbe guardare, nell’ottica di una società sempre più inclusiva, sostenibile e solidale. Maria Ianniciello