Domani inizia un’altra settimana di grandi tensioni, i partiti e la politica si rimettono a lavoro su questioni che potrebbero innalzare ulteriormente i toni del contendente. Il Governo, sempre più a rischio e Letta dovrà fra qualche giorno dare una risposta definitiva al Pdl che sulla questione dell’Iva non fa retromarcia. Domani alla Camera, previsto per le ore 12 un altro argomento scottante, che metterà benzina sul fuoco: discussione del testo unificato delle proposte di legge Ferranti su “Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”. Un provvedimento, secondo i proponitori, che ha visto al lavoro Commissioni e Governo, mirato a formulare un testo che «possa servire a deflazionare concretamente, sia pure naturalmente in maniera non definitiva, sia il drammatico sovraffollamento delle carceri sia il carico di lavoro spesso insostenibile degli uffici giudiziari che si trovano impegnati per anni in processi che poi molte volte finiscono con la prescrizione del reato». E non è finita. A seguire la discussione della mozione di 160 deputati (di Sel, M5S, Pd e S.C) sulla rinuncia alla partecipazione, da parte dell’Italia, al programma di realizzazione dell’aereo Joint Strike Fighter F35. Si tratta del cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche, ovvero bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e capacità di interazione con tutti i sistemi di comunicazione presenti sullo scenario di guerra, che decolla ed atterra in verticale e viaggia a velocità supersoniche. Un progetto frutto di un accordo tra gli Stati Uniti e 8 Paesi partner, tra cui l’Italia (di secondo livello) che prevede la realizzazione di 3.173 velivoli per un costo complessivo stimato di 396 miliardi di dollari. Tra i Paesi partner, molti sono quelli che sono venuti meno agli impegni iniziali. Forti dubbi li hanno avuti, venendo meno ai patti, Gran Bretagna, Olanda, Australia, Turchia, Danimarca, Norvegia, Canada. Per tutti: il progetto costa troppo e, ai costi iniziali per l’attuazione, andrebbero aggiunti anche quelli per l’uso e la manutenzione. Anche lo stesso Pentagono ipotizza tagli sui 2443 aerei previsti. L’Italia partecipa al progetto sin dal suo inizio, nel 1998, con una richiesta iniziale di 131 aerei, ridotta poi nel 2012 a 90 velivoli, considerati dalle Forze armate «indispensabili» perché andrebbero a sostituire tre linee di velivoli: i Tornado, gli AMX e gli AV-8B. Nel 2009 le Commissioni difesa di Camera e Senato, esprimendo parere favorevole al programma, hanno posto alcune condizioni: la conclusione di accordi industriali e governativi che consentano un ritorno industriale per l’Italia proporzionale alla sua partecipazione finanziaria, anche al fine di tutelare i livelli occupazionali. Gli oneri previsti per l’Italia nelle prime tre fasi ammontano a 1.942 milioni di dollari a cui vanno aggiunti gli oltre 800 milioni di euro per la costruzione della FACO (Final Assembly and Check Out) a Cameri (Novara). Contestualmente, le industrie italiane hanno ottenuto appalti per circa 800 milioni di dollari: a fronte dei circa 3 miliardi di euro spesi fanno un ritorno di poco sopra al 20 per cento delle spese, che difficilmente renderà possibile un ritorno di circa 14 miliardi di euro, cioè il 100 per cento più volte ipotizzato dai Governi che hanno sostenuto questo progetto. Intanto, la rete si sta organizzando per un presidio a Montecitorio dalle 18 alle 20.