Ci sono artisti che hanno davvero fatto la Storia della Musica e non solo. Tra queste c’è Donatella Rettore, che abbiamo avuto modo di incontrare nella cornice di Cortinametraggio 2016, una delle manifestazioni più importanti dedicata al cortometraggio italiano che dà spazio anche alle web series e ai booktrailers. L’artista ha partecipato con un corto in concorso, “#Romeo” di Marcello Di Noto con Alessandro Preziosi. L’abbiamo vista e ascoltata in triplice veste: voce narrante, ha dato volto alla donna del mistero e ha interpretato il brano finale. In quest’intervista ripercorriamo con la Rettore alcune tappe della sua lunga carriera per arrivare a riflessioni importanti sul presente del mondo musicale.
Donatella Rettore, quale significato ha avuto per Lei tornare a prender parte a un film e a recitare?
Per come la vivo io recitare è anche cantare quando interpreti una canzone che ha un significato. Quando ho cantato “Kamikaze Rock’n’Roll Suicide” (1982) non mi sono vestita da geisha perché, in quel caso, sono un guerriero giapponese per cui sono vestita da pilota e c’è sempre una rappresentazione scenica nel tentativo di avvicinarmi alla prosa. Per me la mise en scène è fondamentale anche per la comprensione dei testi che si propongono al pubblico.
Quindi, Lei non fa molta differenza tra quando veste i panni di attrice e quelli di cantautrice?
No, perché quasi sempre nella mia carriera ho scritto dei concept album che si potevano, quindi, rivedere in opera rock o in musical; per esempio “Far West” (1983) era adattissimo in tal senso e non è detto che in futuro non accada, tra l’altro era stato scritto proprio in funzione di diventare un musical. Questo genere prevede danza, recitazione e canto.
C’è qualche insegnamento e aneddoto che si porta dalla figura di sua madre, Teresita Pisani, attrice goldoniana, la quale aveva perfino lavorato con Cesco Baseggio?
Lei avrebbe preferito facessi l’attrice di prosa e io ho cominciato proprio così, a quattordici anni, impersonando Giulietta. Fui stata scelta non grazie al mio aspetto, che era delizioso come lo sono le adolescenti, ma proprio per il mio tono vocale perché dovevo cantare in una nuova compagnia di teatro popolare e senza microfono. C’era proprio l’impostazione superteatrale e nello spettacolo vi recitavano anche Carlo Croccolo ed Eugenio Bennato. È stata la mia prima esperienza importante nel mondo dello spettacolo che mi ha visto anche come attrice.
Donatella, come mai, quindi, non ha scelto la direzione che avrebbe voluto sua madre?
Io preferivo fare la cantante e, in particolare, la cantante rock. All’inizio mamma mi aveva iscritta al conservatorio per imparare solfeggio e canto, io sarei stata un ottimo soprano, però desideravo fortissimamente cantare delle cose mie e che fossero, in ogni caso, popolari, rivolte, quindi, a un numero maggiore di persone per raggiungere tutti. Il mio pop rock nasce da questo.
Lei ha fatto proprio la gavetta sul campo…
Sì, devo dire che mi piace la mia storia, prima o poi la racconterò. Nella mia vita ho avuto anche la possibilità di incontrare i più grandi attori di prosa a cominciare da Anna Magnani e certo c’è un po’ il rimpianto che non ci siano più, ma che credo che mi abbiano arricchita moltissimo dentro. La mia carriera è fatta di eclissi e di ritorni di sole perché ho capito che in questo mondo bisogna defilarsi. Non bisogna mai inflazionarsi, bisogna sempre dire “però manca quella pazza della Rettore che ci dà un po’ di carica in più”…
Sembra una scelta etica da parte Sua, in un certo senso una forma di rispetto…
Sì, assolutamente è una scelta etica, l’ho imparato con il tempo. Adesso non avrebbe più senso per un artista perché si sa che valgono più i concerti live. Il disco come oggetto ha perso tantissimo l’affetto del pubblico e il suo fascino primordiale da quando siamo passati dal vinile al cd.
Viste queste riflessioni che fa, come si pone Donatella Rettore rispetto all’era 2.0?
Non ascolterò mai un disco in cuffietta dal mio iPhone perché quando un artista impiega ventiquattro ore per trovare il suono della batteria e poi lo ascolti facendo il tapis roulant è davvero mortificante. Lì quasi ti chiedi cosa esistiamo a fare… La bellezza e l’estetica del suono che uno cerca va a farsi benedire perché nelle cuffiette non ci sono mezze misure, si sente malissimo.
Tenendo conto di quello che giustamente sottolinea in merito al lavoro musicale, crede che oggi i giovani possano sentire la mancanza del 45 giri?
Non ne hanno la consapevolezza perché gliel’hanno tolta, sono ormai avvezzi a fare cover e questa è una piaga sociale nel mondo della musica. Non sono una tecnica, né una stratega o una discografica e non so quale sia il modo per uscirne fuori. Devo pensare a me stessa come artista e a sviluppare la conoscenza che ho acquisito in questi molti anni di carriera per cui per me l’occasione di recitare affianco di un grande attore com’è Alessandro Preziosi è una gemma che ho inanellato più che volentieri e che spero di ripetere. Personaggi come lui, Adolfo Celi, Tognazzi sono persone importanti nella mia vita e tuttora sono amica dei figli di Ugo Tognazzi. Maria Sole ha voluto inserire “Splendido splendente” nel suo ultimo film, “Io e lei”, ed è una mia fan da quando era una bambina.
Vorrei chiederLe anche in merito al suo impegno nel sociale. Lei ha trattato, prima di altri, temi importanti come la pedofilia (nel singolo “Caro preside”, 1977) o anche in qualità di attrice in “Cicciabomba” (1982) per la regia di Umberto Lenzi ha affrontato la bulimia. È un po’ una Sua “vocazione”?
La mia vocazione è quella di guardare il mondo con gli occhi di un’artista di strada, cerco di filtrarlo e di arrivare a più persone possibili. Chiedo al mondo dei network di darmi voce in tal senso perché posso aiutare umanamente e psicologicamente le persone, l’ho sempre fatto, certo nel divertimento. È molto importante fare e andare a vedere un concerto e ritornare a casa sollevati, appagati, divertiti perché divertirsi è un bisogno dell’essere vivente.
In base a quello che ci racconta, Lei da artista non ha cambiato il Suo approccio rispetto all’industry e ha cercato di tenere sempre presente il pubblico…
Il pubblico mi ha sempre seguito, non mi ha mai mollato. Non c’erano i network ad aiutarmi, sono venuti a cercarmi e per questo faccio sempre il tutto esaurito. La guerriera che c’è in me, senz’armi naturalmente, pacifista, ha vinto, mentre non ha vinto una categoria che è completamente scomparsa e mi dispiace molto. Mi riferisco ai dj, i quali si portavano a casa i vinili, li ascoltavano, si facevano la propria playlist e facevano davvero informazione discografica e quest’ultima, purtroppo, non esiste più. Ci sono ormai soltanto quei pochi artisti e pezzi che vengono trasmessi a ripetizione in radio, è stato dimenticato l’underground. Nella fattispecie parlo dell’underground italiano dove ci sono dei geni che picchieranno e saranno i famosi geni incompresi e noi ci perderemo quel grande treno che è l’Arte perché se continuiamo a guardare e a rimanere incatenati ai talent show e cioè a quello che piace a chi li crea, non ci saranno più cantanti. Allo stesso Festival di Sanremo tutti i cantanti avrebbero potuto cantare la canzone dell’altro, potevano interscambiarsele tra loro, sembravano scritte dallo stesso autore.
Lei, quindi, non vede un’unicità a cui si dà spazio?
No, vedo che noi che facciamo parte dei grandi, dei vecchi ormai e con me metto gli Stadio che amo e adoro e sono contenta che abbiano vinto loro il Festival però credo e temo che qualcuno non si ricordi già più della loro vittoria…
Donatella Rettore, per salutarci ha voglia di regalarci un ricordo di Lucio Dalla con cui ha avuto modo di lavorare e di dirci il trucco del mestiere che Le ha lasciato?
Lucio Dalla mi disse nel suo bolognese (ne imita il tono): «tu hai tutte le doti per uscire fuori, ma devi menare duro! Devi essere costante, testarda e picchiare».