Lo scenario globale è ulteriormente peggiorato. Questo, in sintesi, il resoconto mensile del Centro Studi di Confindustria sulla situazione economica italiana e mondiale. In Italia la diminuzione del PIL proseguirà: il secondo trimestre del 2012 si è chiuso con tutti gli indicatori congiunturali in ribasso, soprattutto i nuovi ordini, annullando le probabilità di rilancio nella seconda metà dell’anno; c’è qualche timido segnale di rallentamento della flessione a partire dall’estate inoltrata. Quasi tutto ora dipende dall’evoluzione del quadro in Eurolandia, che sempre più appare intrappolata in una spirale depressiva, a causa non tanto di aggiustamenti ineluttabili (sgonfiamento delle bolle immobiliari, riduzione della leva delle banche, più parsimonia delle famiglie) quanto dell’incertezza e dei danni che la gestione europea della crisi provoca, tra l’altro con politiche di risanamento troppo restrittive. Partita dalla periferia, la contrazione dell’attività economica ha ormai coinvolto le economie core.
La BCE agisce in misura limitata sia con gli strumenti ordinari (tassi) sia con quelli straordinari (acquisto diretto di titoli di Stato), per vincoli politico-culturali più che istituzionali. Dall’Eurozona le onde recessive si allargano al resto del mondo, che di per sé non gode di ottima salute. La fragilità della ripresa degli USA è legata alla scarsa creazione di posti di lavoro, mentre l’edilizia residenziale ha iniziato a espandersi; grava l’incognita su come sarà gestita la riduzione automatica del deficit, attesa scattare il 1° gennaio 2013. I maggiori paesi emergenti non avanzano ai ritmi spediti di qualche trimestre fa e la frenata è evidente specie in Brasile. In Cina il passaggio dei poteri politici alla nuova leadership non agevola il varo immediato di stimoli alla spesa.
Ovunque si allentano le redini monetarie per rilanciare la domanda interna, ma senza tutta l’efficacia osservata in passato. Il ribasso del cambio dell’euro aiuta la competitività rispetto ai concorrenti che hanno monete agganciate al dollaro, ma ha origine maligna nell’estrema debolezza dell’Eurozona. I prezzi delle materie prime restano elevati, sostenuti dalla richiesta degli emergenti, e comprimono i margini delle imprese.