Ecco perché Eddie Redmayne ha ricevuto l’Oscar per il miglior attore protagonista. Un premio più che meritato.
Al Dolby Theatre di Los Angeles è andata in scena l’87esima edizione degli Academy Awards, tra conferme e sorprese inaspettate. Contro tutti i sondaggi che davano per vincente Michael Keaton, resuscitato da Inarritu con lo stravagante Birdman – O L’Imprevedibile virtù dell’ignoranza, ad aggiudicarsi l’Oscar come migliore attore protagonista è stato invece Eddie Redmayne, superbo interprete de La Teoria del tutto, e ancora una volta trionfano i corpi che cambiano. A un anno di distanza dalla premiazione di Matthew McConaughey, che si è mutato in ombra macilenta corrosa dall’Aids per Jean-Marc Vallée nel drammatico Dallas Buyers Club, a stringere l’ambito riconoscimento è stato un attore capace di sfruttare al massimo il metodo Stanislavskij, contorcendo fino alla paralisi ogni parte del suo corpo per interpretare il fisico e cosmologo Stephen Hawking in La Teoria del tutto. Colpito da una malattia degenerativa aggravatasi nel 1963 durante il periodo trascorso a Cambridge, lo scienziato britannico, incarnato con massima potenza espressiva da Eddie Redmayne nel film di James Marsh, rivive in ogni guizzo dello sguardo dolce e sincero, in ogni sofferta movenza che fa risaltare sullo schermo un corpo violato dal male incurabile. Superando lo statuto dell’“attore cannibalizzante”, grazie all’altra straordinaria performance di Felicity Jones, la donna amata da Hawking, Redmayne può sfruttare a pieno la sua verve drammaturgica che lo ha fatto apprezzare già al suo debutto teatrale presso la Shakespeare’s Globe Theatre con la Dodicesima Notte al Middle Temple Hall nel 2002. Classe 1982, l’attore e modello britannico, prima di dedicarsi agli studi di storia dell’arte al Trinity College di Cambridge, ha studiato all’Eton, coltivando l’irrefrenabile passione per il teatro. Nel 2005 ha ricevuto il prestigioso Evening Standard Award come miglior debuttante nel drama di Edward Albee The Goat, or who is Sylvia? Vincitore nel 2010 di un Tony Award e di un Laurence Olivier Award, non ha mai nascosto la sua passione per il grande schermo, fin da quando ha interpretato, a fianco di Toni Collette, un adolescente sospettato di omicidio nel thriller Symbiosis – Uniti per la morte. Reclutato da Robert De Niro nel 2007 per il suo secondo film dietro la macchina da presa – The Good Sheperd – L’Ombra del potere – la giovane promessa del cinema britannico ha esplorato le atmosfere rarefatte della spy story con accenti intimisti, prima di diventare il figlio omosessuale di Julianne Moore in Savage Grace e di vestire i panni dell’indimenticabile jack Jackson della miniserie tv I Pilastri della terra. Ma è con Marylin, e più tardi con il musical di Tom Hooper Les Misérables, in cui sfoggerà anche un grande talento canoro, che Redmayne sarà ricordato dal grande pubblico. Quello di Colin Clark, terzo assistente di regia durante le riprese de Il Principe e la ballerina, e di Marius Pontmercy, studente rivoluzionario nella Parigi del 1800, sono i due ruoli che gli spianeranno la strada per l’Oscar. Un Premio che l’America tradizionalista ha sempre elargito senza remore, soprattutto in casi di “trasformazioni in celebrità note”, come è stato per Daniel Day-Lewis, straordinario Lincoln, Colin Firth, Giorgio VI, re balbuziente o il compianto Philip Seymour Hoffman, un glaciale Truman Capote. L’Academy, in evidente debito nei confronti di due film “all british” a secco di Oscar (The Imitation Game e lo stesso La Teoria del tutto), rimedia dunque col prestigioso riconoscimento ad un istrione britannico, camaleontico e appassionato, di una tragicità enfatica ma velata di romanticismo d’antan. A nulla è valso il gigantismo di Michael Keaton che, stando alle previsioni, avrebbe dovuto vincere in virtù di un film cucito letteralmente su di lui, Birdman (che si aggiudica il premio come miglior lungometraggio), storia semiseria di un ex supereroe (non il suo uomo pipistrello anni ’80, ma un volatile alato con sembianze di rapace) che prova a ricostruire la sua carriera ripartendo da una pièce teatrale. Benedict Cumberbatch, che è stato anch’egli, ironia della sorte, Stephen Hawking nel film per la tv di Philip Martin, rappresenta lo scienziato “sconfitto” in questa notte delle stelle che hanno brillato solo per il cosmologo ossessionato dal tempo. Ignorato anche Bradley Cooper, simbolo troppo ingombrante del patriottismo a stelle e strisce, per quanto il film di Eastwood sul cecchino americano Chris Kyle sia un solido e classico war movie come non se ne vedevano da tempo. Non stupisce affatto l’esclusione di Steve Carell che in Foxcatcher è l’erede milionario della famiglia du Pont, pronto a finanziare un campione olimpico che possa gareggiare alle Olimpiadi di Seul del 1988. Eddie Redmayne vince il Premio Oscar per il miglior attore protagonista con una performance viscerale che ribadisce l’autonomia estetica di un corpo che accoglie, attraverso la malattia, le mille sfaccettature espressive giocate su una gestualità che sprigiona eloquenti emozioni.
Vincenzo Palermo