Elisabetta De Vito: un grande amore per il teatro, che sposa nel 1979, con il Teatro dei Cocci. Teatro ragazzi, teatro sperimentale, con Pierluigi Manetti, padre dei celebri Manetti brothers, “che ho visto nascere”, ci dice l’attrice. Qualche anno dopo, i provini al Centro Sperimentale di cinematografia e alla scuola di Gigi Proietti, vinti entrambi, ma scelse la strada del palcoscenico. Attrice apprezzata e vincitrice di diversi riconoscimenti, recentemente candidata al David di Donatello 2016 quale miglior attrice non protagonista nel film Non essere cattivo, per la regia del compianto Claudio Caligari. Il teatro, il cinema, il mestiere di attore, i giovani. Elisabetta De Vito ne parla con Cultura & Culture.
Elisabetta, dopo tutti questi anni di teatro, ti emoziona ancora l’odore del palcoscenico, o c’è il pericolo che diventi un lavoro come un altro, di routine?
Dopo tutti questi anni di teatro mi sento a casa, sul palcoscenico. Mi ritengo sempre una persona fortunata per aver potuto scegliere questa strada col sostegno dei miei, una cosa importantissima per un giovane. Non è un mestiere come un altro, perché tratta di sentimenti, non muore mai, è emozione.
Sei un nome importante nel teatro italiano, però sei anche una donna molto schiva, non ami metterti in mostra. Pensi che questo aspetto della tua personalità ti abbia penalizzata in qualche occasione?
Sicuramente sì, ma non posso farci niente, sono fatta così.
Ci siamo visti pochi giorni fa in teatro, dove eri in scena con Fausto e gli Sciacalli. Con Paolo Triestino e Nicola Pistoia, da anni, formate un sodalizio artistico di grande successo. Come nacque la vostra collaborazione?
Semplicemente con un provino. Ero stata segnalata da un amico comune, loro due cercavano un’attrice per Ben Hur (commedia capolavoro di Gianni Clementi, in cui Elisabetta De Vito interpreta una donna rassegnata a una vita grigia – nda) e secondo lui potevo essere la persona giusta. Mi piace raccontare un aneddoto riguardo a quel momento. Era fine luglio, un caldo pazzesco, andai a prendere il copione, di corsa, a casa di Nicola Pistoia, vestita come ero in casa, lui mi dette il testo, mi spiegò il personaggio, poi mi guardò e mi disse: «al provino comunque, vieni così, perché questa è una parte per una donna sfatta.”
Elisabetta De Vito, tu sei una delle poche attrici che interpreta indifferentemente ruoli brillanti e drammatici, anche se la tua è una brillantezza particolare, molto sottile, giocata più sugli sguardi e sui tempi che non sulla battuta tout-court. Quanta parte c’è di lavoro e quanta spontaneità dietro i tuoi personaggi?
C’è sicuramente tanto lavoro, poi certe cose sono giocoforza doti spontanee. Considera che quando ho iniziato mi ritenevo un’attrice drammatica e alcuni mi dicevano che avevo delle possibilità comiche che io da giovane non vedevo. Oggi mi chiamano a tenere stage sul teatro comico, pensa! C’è tanto lavoro, come in tutto quello che succede su un palcoscenico. Senza, non ci sarebbe serietà, profondità e spessore del personaggio.
Non sono molte le tue partecipazioni a lungometraggi, eppure questo poco ti è bastato per ottenere la candidatura al recente David di Donatello come miglior attrice non protagonista nel film “Non essere cattivo”, di Claudio Caligari. Hai qualche rimpianto per non aver fatto più cinema nella tua carriera?
Ma guarda Paolo, rimpianto è una parola grossa. Io sono molto felice di quel che ho fatto finora. Però, come dicevamo prima, questo mio carattere schivo non mi ha aiutata in quella direzione. Amo il teatro e costruire uno spettacolo è molto più divertente che girare un film.
Nel cinema si guadagna sicuramente di più rispetto al teatro.
Sì, si guadagna di più, anche se oggi non è poi sempre così, a meno che lavori con grosse produzioni. Nel caso di Non essere cattivo, era un film low budget.
Riguardo al David, molti critici hanno detto che “Non essere
cattivo” non è stato premiato come meritava. Quindici nomination complessive e un solo premio, ad Angelo Bonanni, quale miglior fonico di presa diretta.
Con tutto il rispetto e il piacere per un giovane come Angelo che è stato premiato, rispetto al valore del film questo mi sembra davvero poco! Il film valeva molto, e non sto dicendo che gli altri non valessero, sia chiaro.
Elisabetta, nel cinema e nel teatro prevalgono le commedie. La ricerca a tutti i costi della risata ha svilito lo spessore degli spettacoli nei cartelloni teatrali?
Secondo me sì, assolutamente. E’ vero che alcuni messaggi, se veicolati attraverso il divertimento, arrivano più facilmente al cuore dello spettatore. Però il teatro è essenzialmente emozione, ed emozione non è solo ridere.
Lavori molto anche come docente in diverse scuole di dizione e recitazione. Secondo te, di cosa hanno maggiormente bisogno i giovani che aspirano al mestiere di attore?
La prima cosa che cerco di far capire ai miei allievi è che loro esistono! Esistono, quindi possono fare delle scelte, possono esprimere le loro opinioni, perché hanno una coscienza, oltre che artistica, anche civile, che è stata uccisa dentro di loro in questi ultimi anni. Se penso alla mia giovinezza, negli anni 70, oggi questa consapevolezza non c’è più. Noi abbiamo fatto tanti casini, però combattevamo. Oggi per loro è estremamente difficile. C’è una rassegnazione che fa paura. Forse hanno ragione che non si può fare niente…ci sono dei poteri forti che decidono, però combattere, sperare e percorrere la strada scelta con onestà, questo penso sia giusto ed è la prima cosa che cerco di far capire. Non è facile, non riescono proprio a rilevare le ingiustizie sociali.
Ti provoco…ma non ce sono troppi di attori o aspiranti tali? C’è ancora spazio?
Ce ne sono tanti, è vero, però credo che ci sia spazio per chi lo fa con passione, onestà, con tanto lavoro. Ci sono anche tante piccole giovani produzioni che si danno da fare. Poi, sai, essendo questo un Paese per vecchi, si arriva più tardi rispetto ad altri Paesi, come l’America o la Francia, in cui questo lavoro è riconosciuto. Qui no, quasi ci si vergogna a dire di essere attori.
Le tue sensazioni sul futuro prossimo del teatro in Italia?
Andando nei piccoli teatri, noto un grande fermento. Come ho detto prima, ci sono compagnie emergenti molto interessanti, che vogliono fare le cose seriamente e che lavorano su drammaturgie che non cercano la risata ad ogni costo.
L’ultima domanda è quella riservata soltanto ai personaggi che hanno una storia sostanziosa: Elisabetta De Vito cosa vuol fare da grande?
(ride – nda) Elisabetta De Vito vorrebbe continuare a fare quello che fa ora, vivere con suo marito che ama moltissimo (Ciro Scalera, attore e regista – ndr), mi ritengo una donna fortunatissima per aver fatto l’incontro della vita, e continuare a dare quello che ha imparato, nella vita e nel lavoro, ai giovani che glielo chiedono. Credo che cercare di dare sia la cosa più importante. Non ho avuto figli, quindi per me questi giovani un po’ lo sono.