Fausto e Gli Sciacalli, recensione – Il sogno tradito, il malcelato rimpianto per un futuro ormai alle spalle, che poteva essere e invece non è stato. Vite che, nonostante la delusione, lottano per la sopravvivenza in quella che ormai sembra una jungla di cemento, in perenne combattimento per un parcheggio e per arrivare a fine mese almeno dignitosamente. Da parte i fronzoli, da parte la speranza, c’è “da spingere”, “da spigne” come dice il povero Fausto (Paolo Triestino), venditore ambulante che vive in un modesto appartamento, lascito dell’anziano padre (sempre chiuso in camera a vedere la tv e ad ordinare di tutto alle televendite) nella periferia romana, insieme alla moglie Ottavia (Elisabetta De Vito), parrucchiera a domicilio, ed al figlio ribelle, ma solo a parole, Elvis (Ariele Vincenti). Da parte anche l’amore, che non c’è più tempo e voglia di farlo, presi come sono dalle dure esigenze quotidiane. Eppure, nel passato dei due adulti e del loro vicino di casa Gennaro (Ciro Scalera), depresso cronico, c’era stato spazio per il sogno.
Gli Sciacalli erano una band, negli anni Ottanta, che aveva vissuto un periodo di grande popolarità con il brano Annalisa, tante settimane in classifica, una strada che sembrava in discesa, tour, serate. Poi qualcosa si era spezzato, inaspettatamente, e la vita aveva preso il sopravvento, contro i loro desideri, con il grigiore e la fatica. Tutto finito, forse. Perché dopo 35 anni, in casa di Fausto e Ottavia piomba a sorpresa il loro vecchio batterista, l’eccentrico Elmore (Nicola Pistoia), che dopo aver girato il mondo ripropone quel vecchio sogno ai suoi compagni. Il problema è che fu proprio lui a decretarne la fine, tanti anni prima, tradendo la fiducia di tutti. Ma si sa, se la brace cova sotto la cenere, basta un refolo di vento a scatenare nuovamente le fiamme, e allora un progetto televisivo dedicato alle vecchie band del passato, per dodici puntate in prima serata e con un programma di tournèe a seguire, è acqua nel deserto per chi aveva perso ogni speranza, per chi aveva abbandonato i propri sogni lasciandosi trasportare dalla corrente della vita badando solo a non annegare. Ma qui la penna caustica di Gianni Clementi, l’autore della commedia, come suo solito affonda il colpo. Sarà davvero così, sarà tutto limpido e bello come sembra?
Con Fausto e Gli Sciacalli torna l’arte della commedia, stavolta sul palco del Teatro Ghione di Roma. Il sodalizio artistico con Triestino, Pistoia, De Vito (recente candidata al David di Donatello nel film Non essere cattivo), un trio davvero magico, si arricchisce in questo lavoro della presenza di Ciro Scalera, in stato di grazia, di Ariele Vincenti che ormai è più di una promessa, e della new entry, rispetto alle precedenti edizioni, di Loredana Piedimonte, bravissima, nella parte della moglie di Gennaro. Ormai in scena da qualche anno, questa commedia è una dimostrazione di armonia, drammaturgica e scenica, con tempi comici a incastro di grande effetto. Bello anche esteticamente, grazie alle scene di Alessandra Ricci, al disegno luci di Luigi Ascione e ai costumi di Sandra Cardini. Ma, e non può essere altrimenti essendo creatura di Clementi, pervasa da una sottile e quasi sotterranea malinconia, da un dolore che non è solo dei personaggi, straordinari, ma di un’intera generazione. Quella che ha sfiorato il sogno di un futuro radioso che non si è più palesato. E dal vuoto, rappresentato egregiamente dal giovane Elvis-Vincenti, di quella che nemmeno ha potuto mai sognarlo, un futuro. Sembra quasi la situazione italiana attuale, vero? Si ride tanto in questo spettacolo, ma facendo nostra l’imprecazione di Fausto alla morte del padre, di cui non si accorgono presi dalle loro beghe, anche noi ci domandiamo: ma che siamo diventati? L’autore e questi cinque splendidi attori, in parte ce lo spiegano. Facendoci ridere, commuovendoci, interrogandoci. Il teatro, insomma. Fausto e gli Sciacalli è in scena fino al 15 maggio.