Recensione, trama e trailer del film su Giacomo Leopardi, “Il giovane favoloso”, diretto da Mario Martone, con Elio Germano nel ruolo del poeta
“Il poeta deve illudere, e illudendo imitar la natura, e imitando la natura, dilettare”. Con queste parole Giacomo Leopardi irrideva il romanticismo di Lodovico di Breme, contrapponendo l’alto valore dell’immaginazione degli antichi al vero della filosofia del secolo. Era il 1818 e nella querelle sulla natura della moderna poesia “il giovane favoloso” era schierato in prima linea, convinto sostenitore dell’ars poetica come sogno fanciullesco, vanità e illusione, a scapito della ragione illuminista che tutto corrode. Da lì a poco, però, nel luglio 1819, si sarebbe convertito al razionalismo filosofico e avrebbe sentito con tutto se stesso “l’infelicità certa del mondo”.
Il film di Mario Martone “Il Giovane favoloso”, presentato tra scroscianti applausi alla 71esima edizione del Festival di Venezia, inizia proprio con una spensierata corsa di tre fanciulli nella nebbiosa Recanati di primo Ottocento: Carlo, Paolo e Giacomo, i tre fratelli Leopardi. Subito dopo, stacco e cambio di scenario: Giacomo è cresciuto e ha già composto la prima delle sue odi civili “All’Italia”, accorato inno alla patria piangente ridotta in catene; curvo, nervoso, deforme e piegato su se stesso, Giacomo si contorce e si rannicchia, geme e vibra di un incontenibile furor vitalistico.
La mimesis di Elio Germano produce una performance che è sintesi autentica di gesto e parola, corpo e spirito, azione debordante che erompe con furia controllata e rabbia inespressa. Meditabondo e solitario, il giovane recanatese, nei cui panni si genuflette e si prostra l’attore romano, sguscia all’interno dell’imponente e claustrale dimora, si accascia, poi si rialza e va dalla sorella Paolina a farle leggere il suo ultimo componimento. Tra l’istitutore che lo vuole alto prelato e il padre Monaldo che lo incoraggia allo studio della filologia, Giacomo si sente perso nell’infinito, anzi, in quel piacevole “indefinito” di cui sono pregne le cose indeterminate: un filar d’alberi di cui non si vede la fine, un canto che si perde nella vastità degli spazi.
E nelle sue declamazioni su inserti naturalistici splendenti di luce lunare o baluginanti nella foschia della foresta marchigiana, si sprigiona la poesia in endecasillabi sciolti: la macchina da presa pedina il rapsodo inquieto mentre parla alla “silenziosa luna” che “di lontan rivela serena ogni montagna”, lo segue immortalandolo fra gli squarci di luce di una piccola finestra in cui “sedendo e mirando” contempla il microcosmo rurale addormentato, e durante le sue frequentazioni col classicista Pietro Giordani.
Dopo un primo straordinario excursus a Recanati, la scena si sposta a Firenze, dove Leopardi conosce Antonio Ranieri, nobile patriota a cui sarà legato, fino alla fine dei suoi giorni, da intima amicizia e Fanny Targioni Tozzetti, la donna di cui si invaghisce e che comparirà, mascherata dietro lo pseudonimo di “Aspasia”, nella canzone omonima e nel nucleo poetico dei canti amorosi del 1831-34. Segue una terza e ultima parte in cui il poeta, devastato dagli acciacchi fisici, si ritira a Napoli, accudito da Ranieri e da sua sorella Paulina.
A tratti visionario e surreale, “Il Giovane favoloso” di Martone è il ritratto a tinte accese di uno spirito inquieto che lotta contro il secolo retrivo e orde di conservatori cattolico liberali, ma soprattutto contro un mondo che lo respinge tenendolo a distanza.
Lo annienta Silvia, il cui filar prefigura una novella Circe china sul telaio e la cui morte precoce sancisce il brutale e definitivo allontanamento dalla natura; lo devasta Fanny, per la quale il poeta inventerà il sembiante Aspasia, donna reale e insieme fantasma platonizzante. Dramma da camera rigoroso che si apre alla contemplazione degli “infiniti spazi” cittadini (Firenze, Napoli), non disdegna incursioni nei salotti e nel folclore dell’Italia ottocentesca dipinta con meticolosa perizia dall’avvolgente fotografia di Renato Berta.
Il biopic costruisce un percorso in cui pensiero e immaginazione si fondono per creare immagini dense di significato, attraverso un sottile equilibrio fra messa in scena teatrale e ricerca stilistica della bella inquadratura. Piacere dei sensi, poi idea, grazie anche al connubio musicale, tra sacro e profano, del classicismo di Rossini e delle composizioni evocative di Sascha Ring. Un’opera rigorosa, intrisa di realismo e divagazioni oniriche, che racconta dell’uomo “renitente al fato”, seguendo il periplo d’alta poesia dei Canti e la prosa composita delle Operette Morali. Martone fa sua la “lectio leopardiana” e traduce in poema visivo le “situazioni, affezioni, le avventure storiche” del suo travagliato animo, scandagliando con profondità dialogica, stilistica e recitativa il turbamento di un uomo e del suo tempo. Da far vedere nelle scuole.
Trailer: http://youtu.be/MHcznzJ9jbQ
Vincenzo Palermo