Vi state chiedendo quale film vedere in tv stasera? Vi consigliamo Il matrimonio che vorrei, in onda in prima serata su Rai Uno. La commedia fa riflettere e diverte. La trama e la recensione del film.
Stasera in tv sarà trasmesso il film “Il matrimonio che vorrei” con Meryl Streep e un insolito Tommy Lee Jones. La pellicola, che andrà in onda in prima serata, non ha sbancato i botteghini quand’è uscita nelle sale italiane il 18 ottobre 2012, ma se ve lo siete persi, vi consigliamo di recuperarvi questo film diretto da David Frankel (nella memoria di tutti per “Il diavolo veste Prada”), magari accoccolati sul divano con il vostro partner. Fiumi di inchiostro, chilometri di pellicole sono stati profusi per raccontare, immaginare, scardinare l’“unione” tra un uomo e una donna. Quanto è stato detto, eppure sembra proprio che non ci si conosca mai abbastanza, che non si conoscano ancora pienamente i rispettivi mondi (maschile e femminile) e della coppia. “Il matrimonio che vorrei” (t.o. “Hope Springs”) d’impatto potrebbe trasmettere l’idea della solita commedia – e non meramente romantica – sulla coppia, ma il lavoro svolto dal regista, dal terzetto di attori principali e dalla sceneggiatrice (Vanessa Taylor) non ci permette di rimanere in superficie. Con sensibilità e profondità di sguardo, Frankel mette in scena l’universo dei singoli in rapporto alle dinamiche di coppia e realizza un “occhio di bue” su Kay (Meryl Streep) e Arnold (Tommy Lee Jones), una coppia di sessantenni a cui si è spenta la miccia. Anche se sposati da anni (o forse dovremmo dire proprio perché insieme da tanto), i due dormono in stanze separate. Una notte, con fare goffo e vestaglia sexy, lei apre la porta della camera da letto di lui mentre Arnold sta leggendo il giornale. D’istinto vorrebbe che fosse l’azione a parlare, che fosse tutto implicito e che suo marito la capisse al volo, ma quando lui coglie l’intenzione, l’unica risposta è: «io non mi sento bene perché ho mangiato il maiale» e di contro, l’unica controbattuta possibile per Kay è il ritiro. Marito e moglie sono completamente inghiottiti dal meccanismo della routine: il piatto della colazione (o della cena) è servito, solita occhiata al giornale (o partita di golf se è sera), bacio sulla guancia alla mogliettina e Arnold è pronto per la sua giornata in ufficio. E’ proprio il caso di dirlo, “inside” Kay soffre per quel contatto che non c’è più, per quella sensazione di trasparenza – in quanto donna – che il suo lui le trasmette. Si può cambiare la rotta (di collisione) imboccata da un matrimonio? “Il matrimonio che vorrei” ci suggerisce come tutto, nonostante l’imponderabile, parta da noi, in fondo il viaggio in due è un rischio che può riservare anche piacevoli sorprese e la scelta di mettersi in gioco e di mettere in discussione un rapporto a prima vista stabile e assodato (affermazioni vere quanto sarebbe vero definirlo “addormentato”) può costituire un’incognita. Questa pellicola ben rappresenta e attraversa il nodo cruciale dell’incomunicabilità e di fronte alla proposta di Kay di partire per una settimana intensiva di terapia di coppia in una località costiera nel Maine, Arnold risponde col rifiuto e, in seguito, al cospetto del dottor Feld (Steve Carell), si pone – inizialmente – con un atteggiamento poco collaborativo. Affrontare in terapia, davanti allo sguardo di un “estraneo” (l’uomo sottolinea più volte questo aspetto) ciò che non si è voluto o saputo vedere non è facile, ed è questo che lo spaventa: scoprire veramente se stesso e la donna che gli è accanto. Quando l’azione si sposta nello studio del dott. Feld e, in generale, nella cittadina a chilometri di distanza dalla città (Omaha in Nebraska), sul piano drammaturgico si ha uno scatto. Nello studio di Feld, vediamo i due coniugi avvicinarsi e allontanarsi sul divano. Alla prima seduta lei esplode in uno sfogo asserendo: «voglio finalmente essere una coppia», lui riesce solo a negare – in una postura contratta e contrariata – che quel lavoro di terapia sia necessario. Da un movimento circolare della macchina da presa si passa al campo/controcampo tra paziente/i e psichiatra fino a passaggi in cui le inquadrature lasciano fuori campo il dottore per insistere sulle reazioni di Kay e Arnold agli interrogativi e agli esercizi che il terapeuta gli propone. La sfida di questo percorso consiste nel tornare indietro in terapia, per poi andare avanti, da soli, nella vita riconquistando – o forse scoprendo davvero – la loro intimità. La Streep e Lee Jones sono fenomenali nell’interpretare un uomo e una donna che si sfiorano come se fosse la prima volta… provano la paura di toccarsi e di toccare l’altro, nutrono il timore di vivere il desiderio e di lasciarsi andare e in questo mix di sentimenti si buttano nell’esperienza dell’amore. Kay e Arnold sono due sessantenni, ma la portata universale della loro storia che ci fa sorridere ed emozionare sta nello scardinare tabù che toccano tutti, come la sessualità e l’intimità, e il film lo fa senza peli sulla lingua, con pudore e delicatezza, offrendo spunti di riflessione e creando empatia indipendentemente dall’età dello spettatore.
Maria Lucia Tangorra