Il cofanetto 40 Anni di Musica Ribelle ripropone in versione completamente rimasterizzata i primi cinque album di Eugenio Finardi, quelli che aveva inciso per l’etichetta Cramps. Finardi, come del resto ultimamente è stato fatto da -o per conto di- molti altri artisti del nostro panorama discografico (Branduardi, la PFM, a breve Giuni Russo…), con questa riedizione di vecchi album combinati non si limita a fare una operazione commerciale, cosa peraltro che, anche fosse, avrebbe comunque una sua propria e validissima ragione d’essere, ma da buon musicista qual è riprende in mano dei suoi lavori passati e li tratta e considera come passi essenziali della propria carriera, o meglio del proprio percorso artistico. Non li glorifica, non li rivede, li “ripulisce” soltanto grazie alla tecnologia che nel frattempo ha ovviamente fatto passi da gigante e li tratta con il rispetto che un artista deve al proprio talento ed alla propria ispirazione, senza cedere alla tentazione di rimetterci mano, di modificarli o modernizzarli. Sarebbe abbastanza inutile virare questa recensione sull’opera di Finardi, soprattutto se ci si riferisce ai suoi esordi: come scommettere su una corsa, ma sapendo in anticipo l’esito della stessa. Finardi, come del resto capita ai grandi sulla scena da molto tempo, viene oggi da parte di tutti noi necessariamente valutato prendendo in considerazione tutto l’arco della sua produzione. Avere coscienza che al suo primo disco, Non gettate alcun oggetto dai finestrini del 1975 sarebbe seguito poi l’anno seguente Sugo (il discorso è ovviamente valido per tutti e cinque gli album che comprendono la raccolta, e quindi oltre ai già citati primi due anche Diesel, Blitz e Rollando rollando, pubblicati a intervalli regolari di uno all’anno), ci permette, prescindendo dai meriti o eventuali demeriti dei singoli brani o dischi, di osservare da una posizione privilegiata il percorso creativo ed artistico di un cantante e autore che ha saputo segnare un’epoca grazie a canzoni come Extraterreste, Musica Ribelle, Non diventare grande mai, Legalizzatela o La Radio. Canzoni che hanno coniugato rock progressive e canzone di protesta, cantautorato impegnato e un pop di sostanza, fatto di suoni eleganti e ricchi di influenze colte.
Sono quarantatre le tracce incise da Eugenio Finardi e contenute nei cinque cd di 40 Anni di Musica Ribelle (ma ne esiste anche una versione LP, ed entrambe riprendono e propongono la grafica originale del periodo), e ovviamente la qualità del suono è oggi molto più affascinante di quanto ci aveva abituato l’ascolto delle stesse ripreso dagli originali in vinile. Non è di conseguenza semplicemente come sfogliare un album di fotografie su cui il tempo ha steso una mano di malinconia. Certo, ritrovare (per chi c’era) la musica della propria gioventù è come aprire un cassetto e riprendere in mano una scritta autografa che appartiene al nostro passato. Sembra opera di altre mani ma al tempo stesso ha un’aria familiare. L’operazione in questo caso però ha una valenza diversa. Magari la causa scatenante è stato il ritrovare in maniera fortuita i vecchi master della Cramps, ma l’idea alla base di usare questi master e trattarli come fossero un lavoro appena fatto, è davvero un profondo gesto d’amore e di rispetto per quel materiale. Non ha davvero nulla a che fare con la nostalgia, quanto piuttosto la voglia di “fare il punto”. Di aprire un dibattito ripartendo da un momento condiviso. Di partecipare attivamente al flusso che unisce indistintamente chiunque faccia un lavoro creativo in un ambito comune, nel caso specifico la musica leggera italiana.
A riprova che questa possa essere la chiave di lettura credo fondamentalmente corretta è il concerto “one shot”, a cui non seguirà una tournée (un tour che avrebbe avuto il traino delle vendite di 40 Anni di Musica Ribelle), che Eugenio Finardi terrà al Teatro Dal Verme il prossimo 4 novembre. Suonerà di nuovo molti di questi brani insieme ad alcuni dei musicisti della band che lo ha accompagnato quando muoveva quei suoi primi passi nel mondo della discografia. Ma non è la ricerca di un “effetto nostalgia”, quanto piuttosto la riprova che si trattava di musica che funzionava negli anni ’70, e che riascoltata oggi dimostra che funziona ancora. Mi torna in mente una secca risposta che Coco Chanel diede a chi le chiedeva come mai a distanza di anni dal primo tailleur avesse ancora voglia di proporlo come alta moda. “Le risulta che le donne abbiano cambiato forma?” chiese allo sventurato intervistatore. Ecco, nemmeno la musica di qualità cambia forma negli anni.