Eredi naturali del neo-realismo italiano e tra i massimi esponenti del cinema d’autore europeo, Jean Pierre e Luc Dardenne hanno realizzato il loro ennesimo capolavoro: Due Giorni, una Notte (il film è al cinema dal 20 novembre). Dall’esordio alla regia cinematografica con La Promesse nel 1996 hanno ideato un cinema intellettualmente onesto, volitivo e rivoluzionario che, partito dall’idea di una stretta di mano, concepita da Luc Dardenne nel suo diario Dietro i nostri occhi, si è lentamente trasformato nella commuovente carezza mostrata nel cortometraggio di A ciascuno il suo cinema. Ai premi collezionati al Festival di Cannes (le due Palme d’Oro per Rosetta nel 1999 e L’enfant – Una storia d’amore nel 2005; un Grand Prix della Giuria per Il ragazzo con la bicicletta nel 2011; un premio per la miglior interpretazione maschile assegnato ad Olivier Gourmet per Il Figlio nel 2002; uno per la miglior sceneggiatura a Il Matrimonio di Lorna nel 2008) si potrebbe aggiungere quest’anno il loro primo premio Oscar, dato che il nuovo film Due giorni, una notte è il candidato belga per la nomination come miglior film straniero. Abbiamo avuto l’onore di intervistare i fratelli Dardenne a Roma in occasione della presentazione del loro ultimo film con protagonista la splendida Marion Cotillard, nelle sale dal 20 novembre prossimo.
Il ragazzo con la bicicletta e Due giorni, una notte testimoniano un cambiamento nel vostro cinema. Innanzitutto la scelta di affidarvi a due attrici famose come Cécile De France e Marion Cotillard, poi quella dell’inserimento della colonna sonora…
E’ una cosa che ci fanno notare in molti, in realtà il nostro modo di approcciarci al cinema è lo stesso. Per quanto riguarda Il ragazzo con la bicicletta, volevamo che quel film avesse una musica di sottofondo ancora prima di scrivere la sceneggiatura. E’ vero che abbiamo scelto prima Cécile e poi Marion ma questo è solo perché volevamo includerle nella nostra famiglia e che apportassero il loro contributo al film. Detto ciò, affrontiamo nuove sfide ma il nostro metodo rimane lo stesso.
Avete anche cominciato a girare in estate.
Sì, quello è un cambiamento. Nel caso de Il ragazzo con la bicicletta volevamo girarlo in esterni per sfruttare i luoghi aperti, il sole, le partite di calcio. Nel caso di Due giorni, una notte la protagonista esce da un momento di depressione e non volevamo che si nascondesse sotto i vestiti invernali ma mostrare la sua fisicità. Inoltre ci interessava sottolineare come tutti i suoi colleghi avevano un secondo lavoro e filmarli all’opera ma siccome in Belgio o piove o c’è il sole sarebbe stato più difficile girare il film con il cattivo tempo.
Da dove nasce l’idea della sceneggiatura del nuovo film Due giorni, una notte?
Il film parte da una notizia che abbiamo letto circa dieci anni fa. Era la storia di una dipendente di una fabbrica che lavorava all’interno di una divisione della Peugeot, licenziata con il consenso dei colleghi perché a causa della sua fragilità, le sue assenze ripetute e prolungate avevano sottratto agli altri la possibilità di ottenere gli stessi bonus di altre squadre.
Che cosa vi ha spinto a riprendere quella storia dieci anni dopo?
Poi abbiamo scoperto che situazioni analoghe si erano verificate anche altrove. Quello che ci ha toccato che ci ha spinto a raccontare una storia del genere è la mancanza di solidarietà. E’ una vicenda che riguarda tutti, anche persone conosciute come noi che siamo persone come voi che, nonostante ciò che si potrebbe pensare, non viviamo rinchiuse nel pianeta cinema, che tra l’altro in Belgio non esiste!
Il film pone i lavoratori davanti ad una scelta, o il licenziamento o il bonus. Non c’è una terza via?
La terza via è quella dello spettatore. Noi desideravamo raccontare la situazione di Sandra, che non è una donna forte, quasi completamente priva di autostima, che subirà una trasformazione, superando le proprie paure, incontrando i colleghi che le mostrano solidarietà. Certo che avremmo potuto immaginare una situazione diversa, dove tutti dicono di no al bonus e si mettono in sciopero ma in un’azienda dove lavorano circa 20 persone sarebbe stato inimmaginabile. Noi volevamo analizzare l’assenza di solidarietà non l’idea di una rivoluzione. Del resto se il datore di lavoro propone un bonus ai suoi dipendenti in cambio al licenziamento di una persona vuol dire che sa di avere gioco facile.
Perché quest’assenza di solidarietà, secondo voi?
La solidarietà nasce con più facilità laddove c’è una situazione di benessere ma quando non si ha uno stipendio di 1200 o 1300 euro e non si riesce ad arrivare a fine mese essere solidali diventa più difficile. L’assenza di solidarietà nasce dalla paura sociale, dal ripiegarsi su stessi credendo di poter contare solo su stessi. Il ragionamento che fanno è legittimo: non ho scelto io di mettere Sandra in questa situazione per avere il bonus.
Quando Sandra esce dal ristorante per piangere, la vostra camera sceglie di non inquadrare il suo dolore.
E’ una scena che abbiamo ripetuto molto tempo perché non trovavamo il modo giusto di rappresentarla. Alla fine abbiamo deciso di inquadrarla di schiena mentre suo marito la sostiene. Abbiamo pensato che per esprimere di più bisogna esporre meno. Diversamente quel momento di intimità tra Sandra e il marito sarebbe diventato oggetto di pornografia. Il cinema tende fin troppo a trattare con isteria situazioni e sentimenti.
Già negli anni Novanta nel suo libro Dietro i nostri occhi, Luc parlava di un’assenza dell’esperienza umana e del desiderio di ricrearla nei loro film. Dunque, la presa di coscienza nel finale del film è un’utopia o è realista?
Sì, il nostro obiettivo è quello di comunicare allo spettatore un’esperienza umana e quella di Sandra è una liberazione. Non parlerei di utopia ma di trasformazione, la stessa che ci auspichiamo possa avere lo spettatore, guardando il film, anche solo interrogandosi sulla propria persona. Inoltre la scelta di mettere in primo piano un personaggio così fragile e vulnerabile come Sandra ha corrisposto al nostro desiderio di fare un elogio della debolezza.
Un’ultima curiosità, avete pensato a La Parola ai Giurati di Sidney Lumet durante le riprese?
Sì, certo (ridono, ndr). Ci abbiamo pensato tante volte durante le riprese così come a Mezzogiorno di fuoco con Gary Cooper.
Ascolta una parte dell’intervista ai fratelli Dardenne
Rosa Maiuccaro