Gianni Ferreri nasce in provincia di Milano da genitori napoletani e si trasferisce definitivamente a Napoli all’età di sei anni. Attore in teatro, televisione, cinema, porta in scena sempre “la verità”, come ama dire. Sulla ribalta da tanti anni, un’infinità di film, ma il suo primo amore rimane il teatro. Intervistare Gianni Ferreri è come parlare con un amico di lunga data, ci si rende conto che è un volto che ci ha accompagnato nel corso degli anni. Attore brillante ma con forti note drammatiche, ha da poco terminato la sua ultima fatica teatrale, “Cena con sorpresa”, al teatro Golden di Roma, ed è in camerino che ci ha accolto, fraternamente. Gli inizi, il boom con “Distretto di polizia”, il sodalizio artistico con Daniela Morozzi (Vittoria Guerra, nella stessa fiction), l’amore per il suo lavoro, Napoli, il cinema. Tutto per Cultura & Culture.
Gianni, sei anche tu uno di quegli attori che si infastidiscono quando gli citi l’evento grazie al quale sono diventati popolari, che ti fanno subito notare che non hanno fatto solo quello nella vita? Distretto di polizia ti dette un’enorme popolarità.
Assolutamente no, ma scherzi? Devo molto a “Distretto di polizia”, devo molto al personaggio di Ingargiola, come Ingargiola deve molto a me. E’ stato un do ut des continuo, undici anni meravigliosi, una gran bella palestra. Se oggi, anche a teatro, ho una visibilità maggiore di quella che avevo prima di Distretto, lo devo a quella fiction. Quindi, perché dovrei infastidirmi? Anzi, ti dirò che ancora oggi mi fa molto piacere quando qualcuno mi riconosce per strada e mi ricorda quegli anni.
Ti confesso che io, soprattutto i primi anni, non ne perdevo una puntata. E poi, Distretto ha sfornato una generazione di attori che ottennero una enorme popolarità: penso a Tirabassi, Marzocca, Ricky Memphis, Daniela Morozzi e tanti altri
Ma veramente! Tutti noi, tutti. Roberto Nobile, Simone Corrente, Carla Natoli…una fabbrica di talenti.
Artisticamente, cosa ti ha lasciato quella fiction?
Sicuramente una consapevolezza maggiore davanti a una macchina da presa. Quando arrivai a Distretto, avevo già fatto quattro cinque film, forse anche di più, però un conto è stare in un set, anche con un ruolo importante, dove hai qualche giorno di posa, alle volte uno e poi tre dopo un mese. Un altro conto è stare, come con Distretto, nove mesi all’anno su un set dalla mattina alla sera con la possibilità di improvvisare, inventare, correggere delle cose perché ce lo permettevano, discutere dei personaggi, suggerire le azioni degli stessi. Ognuno di noi poteva dare il suo sviluppo al suo personaggio. Quindi un gran lavoro di crescita.
Gianni, non sapevo che tu fossi nato in provincia di Milano, trasferito poi a Napoli all’età di sei anni. Ti è rimasto qualcosa di nordico?
(Ride – nda) Mah, molti mi dicono che sono un napoletano atipico, ma non credo che sia dovuto al luogo di nascita quanto per un aspetto caratteriale. Io sono uno preciso, puntuale, se do una parola è quella. Carattere, credo.
Il teatro viene spesso accostato all’artigianato di alto livello. Tu sei stato artigiano, hai fatto tanti lavori nella tua vita. Riconosci questa similitudine?
Sì! Sì, assolutamente sì. C’è un lavoro continuo sul personaggio, per cercare di trasmettere non solo quello che ti è arrivato attraverso la lettura del testo, ma per dargli un cuore, una credibilità riguardo alla vita. Questo accade nel teatro e davanti alla macchina da presa. Certo, sono due approcci diversi. Cinema e televisione ti danno la possibilità di ripetere la scena se non ti è piaciuta. In teatro, d’altro canto, hai il periodo delle prove prima dello spettacolo, con la possibilità di capire e disegnare quel personaggio. La differenza è che poi, davanti al pubblico, ogni sera lavori per sottrarre o aggiungere quel che funziona meno o di più. Un lavoro artigianale, appunto, che non finisce mai.
Gianni Ferreri, tu hai iniziato proprio con il teatro, senza frequentare scuole o accademie di recitazione, e svolgendo altri lavori contemporaneamente. Basta il talento per affermarsi, allora?
E’ sicuramente una buona carta, un ottimo inizio. Oggi, e lo dico con dispiacere, mi rendo conto che non basta solo il talento. Ce ne sono tantissimi di talenti che stanno a casa e tantissimi che non hanno talento ma stanno dappertutto. Che ti devo dire? In Italia la meritocrazia è a livelli scarsissimi. Ci vuole comunque anche fortuna, devi saperti guardare intorno, saperti proporre, devi fare delle scelte, giuste o non giuste che si rivelino. Mi sono reso conto che anche le scelte che ho fatto, rivelatesi poi non giuste, mi hanno comunque sempre lasciato qualcosa di positivo.
Tu nasci come attore brillante? Secondo me hai delle note drammatiche notevoli.
Sì, nasco come attore brillante. Da ragazzino, con la compagnia amatoriale, mi piaceva fare le commedie di Scarpetta, che fanno parte della nostra tradizione, della nostra cultura. Poi pian piano, mi affezionai anche a qualche ruolo drammatico, portando una mia verità e scoprendo che si può far ridere anche amaramente.
Hai lavorato con grandi personaggi del teatro partenopeo, come Isa Danieli, Mario Scarpetta, Mario Merola. Qual è la forza del teatro napoletano, perché continua a riscuotere grande entusiasmo anche con la nuova drammaturgia, non solo con quella del passato?
E’ tradizione, è grande cultura teatrale. Quel teatro ha sempre raccontato la verità, nel tempo, così com’è, nuda e cruda. Se racconti la verità senza edulcorarla, senza renderla commerciale, questa è una grande forza e il pubblico la sente.
Ultimamente, sui social abbiamo visto un tuo video simpaticissimo, in cui il tuo personaggio osanna le trivellazioni nel nome della cultura. Il film è il Vangelo secondo Mattei, quando esce in sala?
Quello che hai visto è la mia pillola, un cameo in questo film denuncia di Antonio Andrisani e Pascal Zullino. Mi hanno chiesto quella partecipazione, l’ho letta e l’ho trovata interessante. E’ un’intervista a un direttore di museo che decanta il lavoro dell’Eni e sminuisce i danni delle trivellazioni, molto divertente. E’ proprio la scena inserita nel film. Non so però quando uscirà al cinema.
Sei presente in tanti film e continui a fare tanto teatro, indifferentemente…
Finché me ne danno l’opportunità, si! Credo che sia una scelta che in molti vorrebbero poter fare.
Dove si diverte di più Gianni Ferreri?
Ti dico la verità: mi sono sempre trovato in progetti che ho amato dal primo momento e quindi mi sono divertito sempre, sia col cinema che col teatro. Non ho mai pensato, nel cinema, al numero delle pose. Se il personaggio mi piace ed è funzionale alla storia, accetto senza difficoltà. Del teatro mi diverte tanto la fase preparatoria ed il pensiero dell’effetto che può creare una battuta, un movimento, e limare sera dopo sera ogni aspetto per la resa migliore nei confronti del pubblico.
Gianni, cosa ne pensi delle fiction che associano sempre Napoli a storie di camorra, di violenza?
Sono filoni, ne funziona uno e tutti gli vanno dietro. Ti dirò, io la prima volta che ho visto Gomorra la guardai con occhio diffidente, perché raccontava la mia Napoli. Poi ho visto che era girata benissimo, le storie erano raccontate altrettanto bene, in modo molto veritiero. Io abito a ridosso del borgo di Sant’Antonio Abate, che non è un quartiere altolocato, quelle storie le ho sentite, le ho viste. Però i filoni, poi, stancano.
Rimaniamo a Napoli. Non so se hai seguito le vicende del Nuovo Teatro Sanità di Mario Gelardi, che combatte in prima linea per affermare la cultura in un rione difficile come quello, proponendo una giovane e bella drammaturgia.
Non conosco i particolari, ma posso immaginare. Mario Gelardi è un bravissimo drammaturgo. Tentare di fare cultura in certe zone dà fastidio. Il teatro, innanzitutto, educa e accultura. Coinvolgere i giovani in nuovi progetti, toglierli dalla strada, è un compito eccezionale, serve a risollevare le sorti di una popolazione. Il lavoro civile del teatro è proprio questo. Erano altri tempi, per carità, ma io stesso mi trovo a fare questo lavoro, a vivere questa passione, grazie al nostro parroco che a 14 anni mi dette 500 lire dicendomi “compratevi un copione e faciteve ‘a commedia”. Comprai il testo di O’ scarfalietto, di Scarpetta, alla libreria Guida a Porta Alba, per 350 lire. Il resto servì per una specie di allestimento. Io devo a lui questa mia passione, che mi piacque da subito e mi tolse dalla strada.
Hai terminato da poco l’ennesima commedia insieme a Daniela Morozzi. Come mai questo binomio artistico funziona così bene, sin dai tempi di Distretto di polizia?
Siamo come fratello e sorella (ride – nda), io e lei portiamo una verità in scena. Litighiamo nella vita come, a volte, per finta in uno spettacolo. I rapporti belli e sinceri sono questi. Sai, quando nasce un’intesa, c’è poco da fare. Io la conoscevo artisticamente, l’avevo vista in qualche match di improvvisazione in cui lei è maestra, lei aveva visto me qualche volta. Ci trovammo a ridere della stessa cosa sul copione e continuammo a farlo anche finita la lettura. Eravamo giovani, entrambi pendolari, lei da Firenze e io da Napoli, tutte le sere ci si frequentava, una bella amicizia, tanto che questa cosa fu colta dagli autori che a un certo punto ci proposero di far innamorare i nostri due personaggi e noi accettammo. Nacque tutto casualmente.
Gianni, stagione teatrale agli sgoccioli. Dopo, ti riposi o hai altri progetti?
No, che riposo! Ora corro a Napoli per girare un nuovo film per la regia di Pasquale Falcone
Ma quanti ne fai di film?
Maronna mia… incrociamo le dita (ride – nda). “Troppo napoletano”, che sta nelle sale, so che sta andando benissimo, faccio un piccolo cameo. Dovrà uscire poi “Il Vangelo secondo Mattei”, di cui abbiamo parlato prima, e “Gramigna”, un film molto serio, per la regia di Sebastiano Rizzo, forse a ottobre, tratto dal libro di Cucuzza e Di Cicco. E’ la storia di un ragazzo figlio di boss, in fuga dalla camorra (film frutto di un accordo con l’Unicef – nda) in cui ho un ruolo non comico chiaramente. Nel cast ci sono anche Biagio Izzo ed Enrico Lo Verso. Da ultimo, devo iniziare le riprese di questo nuovo film diretto da Falcone che si titolerà “E se mi comprassi una sedia?”
Strano titolo!
E’ mutuato da un episodio che raccontava Luigi De Filippo, riferito al padre Peppino. Sai che nel cinema le attese sono lunghissime e lui raccontava che quando ebbe la sua prima scrittura cinematografica, tornò a casa tutto contento e lo disse al papà che si congratulò. Poi Luigi gli chiese “dammi un consiglio” e Peppino, serafico, “comprate ‘na seggia!” Sarà la storia di due impresari caduti in disgrazia, alla ricerca di un nuovo talento, un nuovo Checco Zalone da lanciare.
Grazie Gianni, ti auguriamo di avere sempre tante sedie, allora.
(ride – nda) Grazie a te e a Cultura & Culture per la vostra attenzione.