Cambiare le cose per il bene dell’Italia. Giorgio Ambrosoli ci aveva provato, con dignità, impegno, dedizione e senso civico a salvare il Paese, in uno dei periodi più bui della storia nazionale italiana, quando in particolare nella seconda metà degli anni Settanta stragi e omicidi si consumavano nelle città italiane. I cosiddetti anni di piombo sono una ferita ancora aperta e troppo recente, che perciò stenta a cicatrizzarsi perché un velo di mistero aleggia su quegli avvenimenti.
La miniserie in due puntate “Qualunque cosa succeda. Giorgio Ambrosoli, una storia vera”, andata in onda il 1 e il 2 dicembre, alle 21.15, su Rai 1, ha reso bene l’idea di chi fosse Ambrosoli. Basata sul libro del figlio Umberto, la fiction, a trentacinque anni dall’omicidio dell’avvocato milanese, ha riportato l’attenzione dell’opinione pubblica su questa persona, insistendo soprattutto sul suo ruolo di padre affettuoso, marito amorevole e onesto cittadino.
Interpretato da Pierfrancesco Favino, come sempre all’altezza, Ambrosoli si muove in uno scenario oscuro, fatto di sole ombre, proprio per ricalcare il clima degli anni della strategia della tensione.
Diretto da Alberto Negrin, il film tv convince non tanto per la qualità (non all’altezza di prodotti internazionali) quanto per il messaggio. Certo, Ambrosoli fu ucciso solo per aver fatto il proprio dovere, però la sua coerenza e la sua forza d’animo certamente sono oggi un esempio da seguire, perché egli non si nascose con codardia dietro alla domanda: «Chi me lo fa fare?». Proprio in nome della famiglia, intesa come nucleo privato, come nazione e come Europa, non si contraddisse mai e soprattutto non si fece corrompere, indagando, con meticolosità, su Michele Sindona.
Lasciato solo, tranne che dalla Banca d’Italia e da un ufficiale della guardia di Finanza, idealista come lui, Giorgio fu nominato commissario liquidatore unico della Banca Privata Italiana, portata al fallimento proprio da Sindona, che aveva messo in atto una serie di stratagemmi per realizzare i suoi illeciti, con il sostegno d’illustri nomi della politica italiana ed estera, del Vaticano e della finanza. Giorgio Ambrosoli fu ucciso da un sicario l’11 luglio del 1979. Il giorno successivo avrebbe dovuto firmare i documenti per inchiodare Sindona, il quale fu condannato all’ergastolo nel 1986. Si suicidò in carcere lo stesso anno.
La seconda puntata della serie termina con una frase pronunciata da Giulio Andreotti che, nel rispondere a una domanda sull’assassinio dell’avvocato milanese, affermò che «se l’andava cercando».
Insomma “Qualunque cosa succeda” ruota proprio intorno al concetto di onestà che in “Un eroe borghese” – altro film sempre sulla figura di Ambrosoli – è definita da una delle assistenti di Sindona, «la virtù della gente da poco». Il commissario liquidatore, però, non la pensava allo stesso modo e fece il suo dovere a costo della vita stessa. Dunque, la miniserie di Rai Uno – grazie all’ottima performance di Pierfrancesco Favino e nonostante alcuni personaggi, stucchevoli fino all’inverosimile (in primis Sindona, che, come si evince dalle foto e da alcune interviste, per modi di fare e caratteri somatici è molto distante da come appare nella fiction), – è comunque un discreto prodotto.
Maria Ianniciello