La Giornata della Memoria tra significato e storia

Giornata della Memoria, qual è il significato della Shoah?
La Giornata della Memoria è una celebrazione con cui tutti gli esseri umani sono invitati a non dimenticare l’orrore della Shoah, dell’Olocausto. Ci viene chiesto di tenere nella mente e nel cuore fatti, date, persone, di ricordare – anche se non abbiamo vissuto direttamente quel tragico periodo storico – attraverso la lettura di libri o la visione di film e documentari, oppure la visita nei luoghi in cui avvenne un vero e proprio sterminio in nome di una ideologia perversa. Ricordare per dare un senso al dolore di un popolo e della stessa umanità, affinché più nessuno debba nascondersi, o patire la fame, il freddo e le torture perché ha una religione o un pensiero non “uniformato” a quelli del potere dominante; ricordare affinché nessun uomo, nessuna donna e nessun bambino debba affrontare di nuovo la tragedia dei campi di concentramento, di sterminio, la vergogna, la confisca dei propri beni, la povertà e la preclusione a qualunque tipo di vita dignitosa, a qualunque diritto, dall’istruzione alla libertà di parola. Nessun uomo può imporre a un altro cosa dire, cosa pensare, dove e come vivere, cosa mangiare, chi pregare. Nessun uomo può arrogarsi la facoltà di sottometterne un altro, sventolandogli in faccia la bandiera di una presunta superiorità razziale. Dobbiamo ricordare ciò che è accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale e anche prima, capire come sono nati il nazionalsocialismo e il fascismo, tornare indietro nel tempo per studiare questi devastanti fenomeni politici, sociali e culturali per trovarne i semi, osservarne la composizione e fare in modo che, nel presente e nel futuro, essi non possano più nascere né prosperare. Anche a questo serve la conoscenza e l’analisi del passato.

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Giornata della Memoria: perché cade il 27 gennaio? 
Da alcuni anni, ogni 27 gennaio, celebriamo la Giornata della Memoria e ricordiamo le vittime della Shoah. Purtroppo, ogni tanto capita di vedere e sentire, in televisione, giovani e meno giovani che, intervistati dai giornalisti su questa importante ricorrenza, non hanno alcuna idea di cosa significhi il termine “Shoah”, quale sia il suo significato e quale avvenimento storico venga rievocato il 27 gennaio (però diciamo anche che tantissime persone, di sicuro la maggioranza, sanno molto bene di cosa si tratti). Cerchiamo, allora, seppur nello spazio di un breve articolo, di dare degli spunti di riflessione e alcune date fondamentali da cui partire per addentrarsi in uno dei momenti più tragici della vita dell’uomo. Approfondire, data l’enorme mole dell’argomento e gli innumerevoli studi che, per fortuna, vengono pubblicati ogni anno, spetterà alla coscienza di ciascuno di noi. Forse il nostro tempo individuale è breve, di sicuro determinato, ma la conoscenza non teme la morte se ogni generazione regala alla successiva la necessaria eredità culturale per vivere secondo giustizia. Il 24 gennaio 2005 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ricordò il sessantesimo anniversario della fine della Shoah, mentre il primo novembre dello stesso anno, durante la quarantaduesima riunione plenaria, scelse la data del 27 gennaio per commemorare le vittime dell’Olocausto (Risoluzione 60/7) (Alcuni Paesi, tra cui l’Italia e la Germania, ricordavano già da alcuni anni questo particolare momento, ma nel 2005 ci fu l’ufficializzazione della commemorazione). Non fu un caso se si optò proprio per questo giorno: il 27 gennaio 1945, infatti, le truppe sovietiche dell’Armata Rossa entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz, liberando alcune migliaia di detenuti malati ma ancora vivi. Quel giorno l’orrore vide la luce; le terribili condizioni di vita dei prigionieri, i documenti che i nazisti non erano riusciti a distruggere prima della fuga, le tristemente famose “montagne” di indumenti, capelli, occhiali appartenuti, un tempo troppo lontano, a quanti non avevano più fatto ritorno alle loro case. Solo pochi giorni prima i nazisti erano fuggiti dal campo di concentramento, senza riuscire a smantellarlo del tutto (la loro ritirata prevedeva proprio l’insabbiamento delle prove e la fuga nel minor tempo possibile), portandosi dietro i prigionieri che ancora potevano reggersi in piedi. Iniziarono, così, le terribili “marce della morte” verso Ovest, che causarono migliaia di morti (solo quella da Auschwitz ne causò circa quindicimila) dovute alla fatica, agli stenti che, spesso, si sommavano a patologie già esistenti e a un cammino di infiniti chilometri. L’importanza, seppur drammatica, di Auschwitz è talmente grande che il campo è divenuto Patrimonio dell’Umanità (UNESCO) nel 1979 ed è tuttora aperto al pubblico che voglia visitare e vedere con i propri occhi i resti di ciò che è stato. Non ci fu un accordo immediato sulla scelta del 27 gennaio; molte altre date, al pari di questa, si prestavano al ricordo come, per esempio, il 16 ottobre, poiché in quello stesso giorno, 1943, avvenne il rastrellamento del ghetto di Roma. Entrambe sono tragicamente evocative, ma alla fine si optò per un momento storico, la liberazione dei prigionieri dal campo di Auschwitz, che racchiudeva in sé, in qualche modo, non solo l’orrore, ma anche la fine di questo, la speranza che, nonostante tutto, non era ancora morta.

 

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Giornata della Memoria: il significato della parola “Shoah”
Abbiamo detto che la Giornata della Memoria ricorda le vittime della persecuzione operata dai nazisti; non solo ebrei, ma tutti coloro che venivano reputati “diversi”, in grado, con questa loro “difformità” di corrompere la “purezza” della razza ariana (ebbene sì, l’uomo ha avuto il coraggio di elaborare simili teorie. Ci serva da lezione per il futuro). Da dove è nata questa smania di persecuzione? Perché tanto odio, in particolare, verso gli ebrei? Partiamo dalla terminologia e dal suo significato: “Shoah” è un termine ebraico (השואה “Hashoah”) che significa “la catastrofe”. Molto spesso viene usato come sinonimo di Olocausto, però quest’ultima parola, che deriva dal greco ὁλόκαυστος (olokaustos), vuol dire “bruciato per intero” e indicava il sacrificio animale previsto nella legge giudaica: la vittima sacrificale doveva essere uccisa, bruciata per intero e le parti commestibili mangiate come simbolo di alleanza tra Dio e l’uomo. Secondo la tradizione il primo a fare un sacrificio simile fu Mosè, però non dimentichiamo che anche i greci offrivano agli dei sacrifici simili e, infatti, noi usiamo ancora oggi il termine di origine greca, passato nelle traduzioni bibliche, “olocausto” appunto. Per tali motivi sarebbe più giusto ricordare il genocidio degli ebrei durante il nazismo con il nome Shoah, in quanto Olocausto prevede sì un sacrificio, ma prescritto per legge, come abbiamo visto e perciò, inevitabile. Fra il 1939 e il 1945 morirono, si stima, 15 milioni di persone, tra cui 6 milioni di ebrei, ovvero, come ci ricorda Charles D. Smith nel suo saggio “Palestine and the Arab-Israeli Conflict” (Bedford-St.Martin’s, 2010) i due terzi della popolazione ebraica europea. L’ideologia nazista alla base di questo sterminio non nacque esattamente con Adolf Hitler, ma fu il frutto delle vicende storiche attraversate dalla Germania e da tutta l’Europa nel diciannovesimo secolo. Hitler fu l’uomo che riuscì a trasformare il pensiero, la voglia di rivincita della Germania, le paure e i pregiudizi nei confronti del diverso in una terrificante realtà. Purtroppo, infatti, la popolazione ebraica fu molte volte, nel corso della Storia, oggetto di persecuzioni e discriminazioni di vario tipo. Si tratta di una storia lunga e complessa, che affonda le sue radici nella Bibbia; un popolo senza una vera nazione, fino alla creazione dello Stato d’Israele nel 1948 (tralasciamo tutte le questioni inerenti al conflitto arabo-israeliano, alle ragioni e ai torti e alle sue cause, poiché ciò ci porterebbe lontano dal tema che stiamo affrontando, in una situazione ancora oggi, non conclusa definitivamente) che, però, riesce a ritagliarsi ruoli di tutto rispetto negli Stati europei e non, apportando un notevole contributo culturale.

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Giornata della Memoria: l’antisemitismo e le sue origini storiche
Il 1791, come ci spiega James L. Gelvin nel saggio “Il conflitto Israelo-Palestinse” (Einaudi, 2007), è una data che segna un bivio nella storia del popolo ebraico: nell’Europa occidentale e centrale, infatti, la Rivoluzione Francese era riuscita ad abbattere i privilegi nobiliari, le organizzazioni corporative e, dunque, a smantellare le basi di quell’assolutismo nato con Luigi XIV (1638-1715). In questo clima avvenne la cosiddetta “emancipazione” degli ebrei occidentali, per cui questi ultimi riuscirono ad amalgamarsi pienamente nelle nazioni in cui già da generazioni abitavano (ricordiamo, infatti, che nel Medioevo comparvero i primi ghetti e agli ebrei non venne mai data una totale libertà, né equiparazione in termine di diritti agli altri sudditi. Potremmo discutere sull’ampiezza di questi diritti, dal momento che, in determinate epoche storiche e con sovrani di carattere come il già citato Re Sole o Pietro il Grande, 1672-1725, questa poteva variare per tutti e non sempre era interpretata o garantita nel modo in cui ci aspetteremmo noi, figli della modernità. Per gli ebrei dell’Europa orientale (il 75% del totale nella stessa Europa) le cose andarono diversamente: Caterina II di Russia (1729-1796) affidò loro una striscia di territorio ai confini del suo impero in cui avrebbero dovuto obbligatoriamente vivere e che oggi corrisponderebbe ad alcune delle zone che costituiscono la Polonia, l’Ucraina, la Lituania, la Bielorussia e la Lettonia. La politica di Caterina nei confronti degli ebrei fu il risultato dei timori e dei cliché che la classe dirigente nutriva nei confronti di questo popolo. A questo si sommavano le lamentele dei mercanti non ebrei, che non gradivano la concorrenza dei loro colleghi di diversa religione. Ci fu anche il tentativo di “russificare” gli ebrei, ma venne condotto in modo piuttosto opinabile; come pretendere di assimilare un popolo se lo si costringe a vivere isolato? Oppure se lo si “invita” a trovarsi mestieri che non lo facciano entrare in competizione diretta con i sudditi di religione diversa? (Di per sé è un discorso illegittimo, poiché lo scopo di assimilazione appare come una maschera che nasconde, invece, una buona dose di antisemitismo. Insomma, un “assorbimento” controllato, di facciata e volutamente superficiale). Nonostante ciò la popolazione ebraica di Russia non si ripiegò su se stessa, dimostrandosi, invece, capace di creare, di elaborare un pensiero politico e sociale, lavorando duramente nonostante le difficoltà e le continue limitazioni. Purtroppo, però, non fu mai possibile né una vera russificazione, né una assimilazione totale. Il pogrom (погром) ovvero la “devastazione” contro la comunità ebraica, nel 1881, in seguito alla morte dello zar Alessandro II (1818-1881), scatenò un disprezzo mai sopito che inaugurò l’epoca delle aliyot (singolare aliyah, עליה, che significa letteralmente “ascesa”), termine con cui si indicano le migrazioni degli ebrei verso gli Stati Uniti e la Palestina dal 1881 al 1939 (la prima avvenne tra il 1882 e il 1883, la seconda tra il 1904 e il 1914, in seguito ai già citati pogrom; la terza nel 1919-1923 a causa della Rivoluzione russa; la quarta tra il 1924 e il 1928 dopo le spinte antisemite e la Prima Guerra Mondiale; la quinta tra il 1929 e il 1939 con l’ascesa del nazismo e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. La migrazione, poi, proseguì per tutta la durata della guerra).

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Giornata della Memoria: il movimento sionista e il nazifascismo
Proprio alla fine del XIX secolo nacque il movimento sionista, che vide in Theodor Herzl (1860-1904) una delle figure più importanti, con la teorizzazione di uno Stato ebraico in Palestina (la scelta non cadde immediatamente su questa terra, ma ci furono diverse opinioni al riguardo) e la pubblicazione del suo libro “Lo stato ebraico” (1896). Queste sono le basi per la costruzione della futura nazione ebraica, concretizzatasi nello Stato di Israele (1948) e, nello stesso tempo, per l’elaborazione di strutture sociali che consentissero agli ebrei di organizzare la loro vita nella nuova terra anche dal punto di vista politico e culturale. Il Sionismo attecchì, in particolar modo, tra gli ebrei dell’Europa orientale, però dovremmo anche ricordare che, in un primo tempo la meta preferita delle migrazioni non fu la Palestina, bensì gli Stati Uniti (che, infatti, decisero di regolamentare questo flusso). In questa situazione di serpeggiante antisemitismo la Prima Guerra Mondiale (1914-1918) segnò, come sappiamo la sconfitta della Germania; un grave colpo per il popolo tedesco, un evento tragico per cui serviva una spiegazione. Purtroppo, ancora una volta, gli ebrei vennero stigmatizzati come “causa” del fallimento bellico e della crisi economica tedesca alla fine degli anni Venti. Proprio nel momento in cui la nazione tedesca si trovò destabilizzata, dal punto di vista sociale e “psicologico”, cioè nella coscienza identitaria di Paese forte, dalla perdita della guerra, il mondo assistette all’ascesa di Adolf Hitler (1889-1945). Quest’ultimo, sulla cui vita e personalità sono state scritte valanghe di libri, riuscì a incanalare l’antisemitismo, la delusione per la sconfitta e il bisogno di trovare un capro espiatorio tanto all’esito bellico, quanto alla crisi in una ideologia, opportunamente modellata (e che spesso, per legittimarsi, piegava alla propria logica malata persino la filosofia o il mito. Pensiamo alle teorie di Nietzsche, 1844-1900. L’influenza di questo filosofo sul nazismo è oggetto di un dibattito spinosissimo che non si è mai concluso) la cui essenza si basava sulla purezza e sulla superiorità della razza ariana e lo sterminio di quanti potevano “sporcare” tale purezza con le loro “imperfezioni” e “deviazioni” (gli ebrei furono il bersaglio preferito ma, come abbiamo visto, non il solo). Le nevrosi di Hitler sfociate in follia e il fatto che il suo ascendente sul popolo tedesco venisse sottovalutato, fecero il resto. Nel 1933 egli divenne Cancelliere e, da quel momento, la sorte degli ebrei, ma anche della stessa Germania, benché allora non sembrasse possibile una seconda sconfitta, fu segnata. Precisiamo, dunque, che Hitler non “inventò” l’ideologia nazista dal nulla, ma riprese ed elaborò idee di “purezza della razza” e di antisemitismo già esistenti tra i tedeschi (e non solo) e che lui stesso “respirò” sia a scuola che in società. La sua carriera politica fu incentrata sulla sistematica ghettizzazione ed esclusione sociale del popolo ebraico fino allo sterminio. Nel 1935 le leggi di Norimberga stabilirono le discriminanti su cui si basava la cittadinanza tedesca e, di conseguenza, la purezza del sangue germanico. Tutto ciò si tradusse nella privazione della stessa cittadinanza agli ebrei (e, dunque, di tutti i diritti a essa connessi) e nel divieto di matrimonio tra questi ultimi e i tedeschi. Venne anche deciso che le donne ariane con meno di quarantacinque anni non potessero lavorare al servizio di famiglie ebree. Per distinguere gli ebrei dai tedeschi si considerava o la religione praticata, oppure l’ascendenza; per esempio chi aveva quattro nonni ebrei era considerato ebreo, chi ne aveva due era dichiarato “di sangue misto”. Inutile rimarcare sul fatto che teorie del genere nulla hanno di scientifico, ovviamente, come nemmeno i libelli e i disegni che raffiguravano gli uomini e le donne di fede ebraica con particolari caratteristiche fisiche (naso grande e occhiali, per esempio) che avrebbero dovuto renderli subito riconoscibili (allo stesso modo si parlava degli ariani come persone dai capelli biondi e pelle chiara), oppure in determinati atteggiamenti (ritratti nell’atto di compiere azioni malvagie nei confronti del prossimo, o con espressioni avide).

Un'immagine del film Il bambino con il pigiama al righe.
Un’immagine del film Il bambino con il pigiama al righe.

Giornata della Memoria: le leggi razziali in Italia
Tutto rientrava nella violenta propaganda contro quanti venivano considerati “non umani”; in questo calderone il pregiudizio si mescolava alla bugia che, passando di bocca in bocca, si ingigantiva sempre più. Le leggi razziali in Italia vennero promulgate nel 1938. Anche in questo caso gli ebrei furono il bersaglio principale; non solo furono vietati i matrimoni tra questi e gli italiani, ma venne fortemente limitata la possibilità, per loro, di esercitare professioni intellettuali e vennero create scuole apposite (accadde lo stesso in Germania). Le norme italiane, però, si distanziarono da quelle tedesche presupponendo l’esistenza del cosiddetto “ebreo arianizzato”. L’ambiguità di questa etichetta è solo la punta dell’iceberg: secondo la legge 1024 del 13 luglio 1939 il Ministro dell’Interno, infatti, poteva stabilire, a suo insindacabile giudizio e con il consulto della commissione per le discriminazioni (da lui nominata), che un uomo appartenesse alla razza ariana “anche in difformità delle risultanze degli atti dello stato civile”. Quindi da una parte il Ministro aveva tra le mani un potere immenso, praticamente di vita o di morte, mentre, dall’altra, non è difficile immaginare che molti tra gli ebrei che volessero risultare “arianizzati”, fossero costretti a pagare o a esibire documenti falsi (magari con un’ascendenza artefatta in cui si dimostrava che in loro vi era sangue ariano) senza, comunque, la certezza di riuscire nell’intento. Ricordiamo, comunque, che l’ebreo arianizzato non era considerato ariano a tutti gli effetti e questo lo rendeva, purtroppo, soggetto ad alcune limitazioni, sebbene in misura minore rispetto agli ebrei non arianizzati, sia nella vita privata che in quella lavorativa. Il 1942 segnò una svolta definitiva nel destino del popolo ebraico e di tutti quelli che erano stati bollati come “diversi”, addirittura “subumani” (fa male tanto scrivere quanto leggere cose simili, ma è necessario farlo, saperlo e, quand’anche lo sapessimo già, è fondamentale ripetercelo affinché si imprima nella nostra memoria e lì rimanga come un monito per sempre): la conferenza di Wannsee fu il sigillo sull’organizzazione dell’ultima fase della tristemente famosa “soluzione finale”, cioè lo sterminio del popolo ebraico. Questa espressione era già usata dalle gerarchie naziste almeno dal 1940 ma, in realtà, il terribile progetto a cui questo nome si riferisce, nella pratica, iniziò ancora prima, con le leggi di Norimberga; per definizione, infatti, la “soluzione finale” raggruppa tutte quelle azioni volte a emarginare gli ebrei dalla società; l’esclusione dalle cariche pubbliche, da determinati mestieri e carriere, dall’istruzione, la ghettizzazione di cui abbiamo parlato, la deportazione nei campi di concentramento e la morte in questi o direttamente nei campi di sterminio. Dare un punto di partenza esatto alla “soluzione finale” è oggetto di dibattito storico, poiché non esiste, o meglio, non è mai stato ritrovato un documento scritto o firmato da Hitler in cui questi dia un ordine in tal senso e che possiamo usare come riferimento cronologico (precisiamo ulteriormente: è ovvio che l’assenza di tale documento non nega ciò che è accaduto, semplicemente ci riferiamo a una questione terminologica e cronologica). Gli storici ci dicono che Adolf Hitler, molto probabilmente nel 1941, diede il suo assenso alla “soluzione finale”; quindi possiamo dire che questa espressione fu un sinistro eufemismo usato dai nazisti per nascondere tutti gli atti infamanti compiuti e da compiere contro il popolo ebraico, ma ad oggi non sappiamo con esattezza quando e da chi i termini vennero usati per la prima volta, se da Hitler stesso o da uno dei suoi più stretti collaboratori. In effetti vi è una lettera, datata 31 luglio 1941, che il potente gerarca Herman Göring (1893-1946) inviò a Reinhard Heydrich (1904-1942), collaboratore del capo delle SS Heinrich Himmler (1900-1945), in cui compaiono i termini “soluzione finale”, ma è possibile che non si tratti del primo documento con questa menzione e, comunque, possiamo comprendere che, in quella data, l’ordine fosse già stato dato.

Giornata della Memoria: la Notte dei Cristalli e i campi di sterminio
Ci sono, poi, altri due importantissimi momenti storici che non possiamo non ricordare: il primo è conosciuto con il nome di “Notte dei cristalli” e avvenne proprio nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938. In quelle terribili ore in Germania, Austria e Cecoslovacchia vennero presi e deportati nei campi di concentramento migliaia di ebrei (si calcola circa trentamila), altri uccisi, mentre moltissime sinagoghe e negozi ebraici vennero distrutti e incendiati. Il nome con cui la Storia rammenta questo momento deriva proprio dalle vetrine infrante degli esercizi commerciali. La polizia non intervenne e nessuno venne incolpato, processato e condannato per quanto accaduto; allo stesso modo nessuno ripagò i danni di quella notte. Dovettero provvedere gli ebrei rimasti. L’altra data riguarda l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, ovvero il primo settembre 1939, giorno in cui la Germania invase la Polonia dando, di fatto, l’avvio alle ostilità. Questi due giorni rappresentarono un cambiamento epocale nella Storia di tutta l’umanità: la prima rappresenta una sorta di “esplosione” rabbiosa e violenta contro gli ebrei, una dichiarazione di guerra contro questi, la seconda è, invece, la concretizzazione di un conflitto su scala mondiale. Un conflitto che avrebbe portato a un trattamento disumano nei confronti di uomini, donne, vecchi e bambini. Si calcola che, tra il 1933 e il 1945 vennero costruiti ben 20.000 campi di concentramento. I prigionieri vi arrivavano trasportati, anzi, stipati su convogli ferroviari in cui le condizioni igieniche superavano ampiamente il limite della dignità. Una volta arrivati, gli uomini venivano separati dalle donne. Subito dopo entrambi i gruppi dovevano sottoporsi alla selezione effettuata dai medici militari delle SS: a quelli in grado di lavorare erano tolti abiti, documenti e oggetti preziosi e, dopo la rasatura (effettuata anche sulle donne), veniva loro consegnata la divisa da lavoro. Per gli altri c’erano le camere a gas mascherate da “docce”. Successivamente ai detenuti veniva tatuato un numero di riconoscimento sul braccio; quello sarebbe stato il loro nuovo “nome”. Nei lager si trovarono riuniti ebrei, ma anche omosessuali, apolidi, oppositori politici, rom, testimoni di Geova; tutti accomunati da un terribile destino, ovvero essere privati dell’onore, dell’identità, perfino dell’umanità stessa, divenendo veri e propri schiavi sfruttati fino allo sfinimento. Non avevano diritti, né erano garantite loro le più basilari norme igieniche. Epidemie, disperazione, punizioni corporali per ogni minimo errore o disattenzione e morte erano all’ordine del giorno, come pure l’annientamento psicologico, l’annichilimento della personalità che si sommavano all’uccisione del corpo. Le donne non avevano certo un trattamento migliore, anzi; non si parla molto dei bordelli nati nei lager, su “idea” di Himmler per incentivare il lavoro dei detenuti, ma anche questa è un’altra pagina tristissima e orrenda scritta dal nazismo. Di solito le donne ebree non venivano impiegate come prostitute, né agli uomini ebrei era concesso entrare in queste case di tolleranza, visto che i nazisti consideravano il loro sangue impuro. Inutile dire che le donne scelte venivano costrette a prostituirsi, magari con la promessa (mai mantenuta) della libertà, spesso sterilizzate o, altrimenti, obbligate ad abortire. Un altro doloroso capitolo di questa vergognosa storia riguarda gli esperimenti condotti sui prigionieri. Si tratta di pratiche terrificanti che avevano un ampio raggio d’azione, dalla sterilizzazione fino alle “ricerche” sull’epatite, sulle differenze tra i gemelli e sulla “cura” per l’omosessualità (all’epoca considerata una malattia e non solo dai nazisti. Le virgolette esprimono il dissenso verso simili orrori che nulla hanno di scientifico e che persino le parole faticano a spiegare).

 

Giornata della Memoria: il Nazismo e le pratiche occulte
I passi che dalle teorie antisemite hanno portato alle leggi di Norimberga, alla Notte dei Cristalli e alla guerra divennero sempre più grandi, più decisi man mano che il tempo passava e il nazionalsocialismo si espandeva, facendo “proseliti”. Non a caso compare qui quest’ultima parola; il nazismo, infatti, raggiunse proporzioni enormi e riuscì a penetrare nella coscienza di tantissime persone, destando ammirazione e addirittura fanatismo nei confronti del suo capo, Adolf Hitler, anche perché si presentò non solo come un partito politico, bensì alla stregua di “religione” in cui mito e scienza si fondevano, che avrebbe spazzato via tutti i “mali”, le debolezze della Germania (cioè gli ebrei innanzitutto, poi tutti gli altri oppositori o “diversi”), ripristinando l’ideale mitico della razza ariana , superiore e, perciò, destinata a governare il mondo. Detta in questo modo può sembrare quasi fantascienza, invece il nazismo non operò solo a un livello “essoterico”, ma persino a un livello “esoterico”. Questo argomento, data la sua complessità, meriterebbe una trattazione a parte, però possiamo dire che il nazismo andrebbe studiato sempre sia nella parte più “visibile”, esterna, che in quella più celata, nella simbologia, poiché è lì che possiamo cogliere una parte importante della sua essenza e della costruzione dei suoi piani deviati. Siamo a un livello in cui la smania di onnipotenza e superiorità si unisce all’incessante ricerca di un potere occulto che possa “giustificare” e permettere l’ascesa incontrastata del nazismo. Non si tratta della trama di un film di Indiana Jones, ma di studi approfonditi che hanno portato a queste conclusioni. Noi ci fermiamo, in questa analisi, alla storia del simbolo del nazismo, la svastica. Perché venne scelta proprio la croce uncinata come emblema del Terzo Reich? La parola “svastica” deriva dal sanscrito e, in origine era, secondo gli orientalisti, un simbolo beneaugurante che rappresentava la luce del sole. I primi reperti trovati dagli archeologici risalgono addirittura al Neolitico. Per il Buddhismo è simbolo di infinito, cioè la comprensione di tutte le cose (e, infatti, non è raro vederlo inciso sul petto del Buddha). Nell’Induismo, invece, la svastica è associata a Visnu e al disco solare. Potremmo definirla, seguendo il pensiero di René Guenon nel libro “Simboli della scienza sacra” (Adelphi, 1990) come un principio da cui tutto parte e a cui tutto ritorna, una specie di essenza, di natura che è in ogni cosa e la definisce. La svastica arrivò in Germania attraverso il gruppo denominato “Völkisch”, cioè un movimento che discende dal “nazionalismo romantico”, molto attento al carattere razziale e folklorico tedesco e che ebbe una certa influenza sul nazismo. L’occultista e ispiratore (non il solo) di Hitler, Adolf Lanz (1874-1954), usò la svastica come emblema dell’Ordo Novi Templi, una confraternita nata in Austria nel 1900 e basata sulla superiorità della razza ariana in guerra per “sconfiggere” quelle che venivano considerate “razze inferiori”. Teniamo conto del fatto che organizzazioni come questa ruotavano attorno a una simbologia spirituale, esoterica accessibile solo agli iniziati. Guido Karl Anton List (1848-1919), altro ispiratore della dottrina nazionalsocialista, riprese la svastica come “sigillo” delle sue teorie in bilico tra paganesimo ed esoterismo che molto dovevano al pensiero della teosofa russa Elena Petrovna Blavatsky (1831-1891). Allo stesso modo fece la Società Thule, altra organizzazione antisemita, razzista e di stampo esoterico, fondata nel 1918 da Rudolf von Sebottendorf (1875-1945) a Monaco di Baviera. Tutte queste confraternite e le teorie a cui si ispirarono e che manipolarono, sono connesse l’una all’altra, quindi non dobbiamo vederle come “corpi separati”, ma come “membra” di uno stesso organismo il cui scopo era creare una nuova e potente Germania in cui trionfasse il mito della razza ariana.

Un'immagine del film Schindler’s List
Un’immagine del film Schindler’s List

Giornata della Memoria: la svastica e la stella di David
Hitler scelse la svastica come simbolo del nazionalsocialismo nel 1920 e sembra sia stato il generale Karl Ernst Haushofer (1869-1946), appassionato di Oriente, esoterismo e delle teorie di Schopenhauer (1788-1860) a suggerirgli di adottare proprio la croce uncinata. Contrapposto a questo simbolo ve ne è un altro che, invece, rappresenta il popolo ebraico: la stella di David, conosciuta anche come Sigillo di Salomone. La traduzione del nome ebraico è, per l’esattezza, “scudo di David” (מגן דוד, “magen Dawid”). Si tratta di una stella a sei punte i cui diversi significati esoterici hanno origine nella Cabala. Osservandola notiamo che la stella è composta da due triangoli che si compenetrano; essi rappresentano il principio maschile e quello femminile che si uniscono dando origine al mondo e al suo equilibrio, ma anche la fusione della materia e dello spirito. Per quanto riguarda l’origine del nome ci sono diverse ipotesi: se parliamo di “scudo” di David, non possiamo non collegare il simbolo al giovane guerriero David poi divenuto re. Se ci riferiamo al termine “stella” le teorie indicano sia l’astro che “illuminava” la nascita di David, sia quello che guidò i Re Magi verso Betlemme. Il popolo ebraico usa questo simbolo da diversi secoli, però è innegabile che la sua fama a livello mondiale sia dovuta tanto al Sionismo quanto e alla bandiera dello Stato di Israele, che lo utilizzarono come simbolo. Purtroppo la svastica è, ancora oggi, legata a una memoria di odio e violenza e, proprio per tale motivo, almeno in Occidente, è stata svuotata della sua sacralità. Al contrario la stella di David, che i nazisti avrebbero voluto far diventare un emblema di vergogna ed emarginazione, è immagine di una lotta per la libertà e del passato da non dimenticare. Sia la svastica che la stella di David sono cariche di Storia e di significato; purtroppo sono stati gli uomini a “manipolarne” l’essenza, talvolta stravolgendola. Solo alla fine della guerra si ebbe il quadro completo di ciò che era accaduto e le testimonianze dei sopravvissuti inondarono i giornali, le radio, poi la televisione come un fiume in piena e ancora oggi se ne scoprono di nuove. La storia della Shoah e il significato della Giornata della Memoria possono essere sintetizzate in alcuni versi tratti dall’opera “Se questo è un Uomo” (1947) di Primo Levi: “Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane, che muore per un sì o per un no”.

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