Una vita dedicata al teatro. Giuseppe Pambieri esordisce giovanissimo e all’età di 23 anni vince il primo di una lunga serie di premi per la sua interpretazione di Oreste ne Le Mosche di Sartre, miglior giovane attore dell’anno 1967. Non si è più fermato, diventando un’icona del grande teatro italiano e non disdegnando lavori per la televisione e il cinema. Attore a tutto tondo, come ha tenuto a ribadire in questa intervista rilasciata a pochi giorni dal ritorno a Roma, al Teatro dell’Angelo, dove riproporrà L’infinito Giacomo – vizi e virtù di Giacomo Leopardi. Il grande poeta, il rinnovato interesse per la sua figura, i giovani e il teatro, le problematiche, il ruolo dei teatri pubblici. Un grandissimo attore si concede a Cultura & Culture in questa intervista.
Pambieri, partiamo dall’imminente ritorno a Roma, al Teatro dell’Angelo il 25 novembre, con il suo “Infinito Giacomo – vizi e virtù di Giacomo Leopardi”.
Sì, volentieri! Veniamo da un grandioso successo al Manzoni di Milano, dove ci siamo esibiti in due repliche, la mattina per gli studenti e la sera per il pubblico di ogni età, ottenendo due esauriti; è andata molto bene. E’ uno spettacolo che portiamo in giro già da quattro anni, chiaramente non in modo continuativo, ma quando troviamo lo spazio e il tempo giusto tra una tournèe e l’altra, inseriamo qualche serata e devo dire che ha sempre un bel riscontro di pubblico.
Come si spiega quest’attuale rinnovato interesse nei confronti della figura di Leopardi che sembra quasi di moda, soprattutto dopo il film di Martone con Elio Germano?
Ma guardi… ce lo stiamo chiedendo tutti! Però devo dire che è un interesse che nasce ancor prima del film di Martone. Io, su suggerimento di Argirò, che è l’autore e il regista dell’“Infinito Giacomo”, accettai volentieri quattro anni fa di interpretare questo spettacolo. Debuttammo a Segesta, all’alba, quindi fu molto suggestivo.
Poi cominciammo a proporlo in tanti altri posti. Poco dopo Gabriele Lavia fece un suo spettacolo su Leopardi, poi a Londra hanno tradotto lo Zibaldone…quindi in questi ultimi anni c’è stato tutto un florilegio di interesse intorno alla figura del poeta, nonostante non sia nessun anniversario.
E’ strano. Coincide forse con questo periodo storico. Evidentemente ci sono degli stimoli, delle convergenze di pensiero, soprattutto tra i giovani. Tutto sommato, lui era un contestatore ante-litteram, contestava questo mondo ipocrita che lo circondava, il bigottismo della sua famiglia, che lo costrinse a stare dodici anni sui libri e a diventare quello che è diventato. Anche se a lui piaceva, è evidente, sennò non sarebbe diventato il Leopardi che conosciamo.
Chi è il Leopardi di Pambieri?
Allora, il “mio” Leopardi è per certi versi inedito, per altri no. Nel senso che c’è un fil rouge di tutte le sue poesie, che termina con L’infinito. Parte dai ricordi dell’infanzia e fa un excursus su tutta la sua vita, con l’intromissione di pensieri, momenti, lettere. Lui era molto attratto dall’Epistolario, dallo Zibaldone. Chiaramente non può essere una cosa esaustiva, in un’ora e un quarto sarebbe impossibile, però devo ammettere che lo spettacolo ha un tocco delicato, magico, leggero.
Riesce a essere molto teatrale, fornendo un’immagine abbastanza completa del carattere, della persona Giacomo, con dei particolari che purtroppo non vengono recepiti nelle scuole, dove viene raffigurato come un secchione sui libri, chiuso, antipatico. In un punto dello spettacolo, io grido “Ho bisogno di amore!” e lui questo lo scrive in tante sue cose. E’ un uomo appassionato della vita che, a causa della sua terribile malattia, la tubercolosi ossea, che lo ha devastato, già induce a una certa tenerezza, a simpatia. In più aveva una mente geniale, e una modernità nel porsi.
Ci sono dei brani sull’Italia e gli italiani che sembrano scritti oggi. Nella Ginestra parla della solidarietà tra gli uomini, questo slancio verso gli altri, questo unirsi contro una natura matrigna… Il suo è un pessimismo che ha comunque bisogno di grande amore. Frustrato, certo, ma mai rancoroso.
Il suo è un proporsi con un grido d’amore. Poi ci sono gli aspetti curiosi, poco conosciuti, come la sua ritrosìa a lavarsi nella tinozza per non “essere lessato come i polli”, l’odio verso la minestra, contro cui scrisse un’ode, “questo cibo negletto, degno d’umil villano”, la sua golosità in particolare verso i dolci, impazziva per i gelati, anche per il bisogno di zuccheri derivante dalla sua malattia. Amava anche descrivere le ricette. Tutti questi aspetti li ritroviamo nel mio spettacolo.
A proposito di giovani, posso chiederle la sua impressione relativamente all’esperienza con loro in teatro?
Sì, guardi, io amo molto esibirmi per loro. Abbiamo fatto La coscienza di Zeno per gli studenti e devo dire che funziona. So bene che molti miei colleghi non hanno piacere a fare le matinè per le scuole, adducendo il fatto che vengono disturbati dai loro comportamenti. Non è vero. Se tu trasmetti empatia, loro ricambiano stando attentissimi e ti seguono. Anche con L’infinito Giacomo, abbiamo fatto molte repliche per loro ed è sempre andata benissimo. Poi li incontro dopo lo spettacolo, mi vengono a salutare e spesso mi dicono che hanno capito molte cose in più di Leopardi, si appassionano. Lei prima ha citato il film, ecco, mi dicono che le sale sono piene di giovani. Evidentemente Leopardi tocca il cuore del mondo giovanile. Lui era un anticonformista e oggi i giovani soffrono terribilmente la difficoltà di inserirsi nel mondo del lavoro. Ricorre, in qualche modo, una contestazione nei confronti di un certo mondo, oggi come allora, in disfacimento, soprattutto nei valori.
Cambiamo argomento, veniamo a Lei. Dici Giuseppe Pambieri e viene in mente il grande teatro classico, ma Lei ha fatto tantissime cose anche in TV, a partire da quelli che una volta si chiamavano “sceneggiati”. Ha vinto tantissimi premi, ha fatto anche teatro brillante, seppur d’autore. Una volta un attore mi disse che Lei ha la “faccia da classico”. Il segreto per rimanere sempre ad altissimi livelli?
(ride – ndr) Ah, il segreto è quello di essere pazzamente innamorati di questo lavoro! Se non hai questa forte carica interiore, il teatro non lo puoi fare. Soprattutto in un momento di grande difficoltà come questo che stiamo vivendo, dove manca tutto, non solo i soldi. Quindi grande voglia di farlo, di farlo bene, che continuo ad avere nonostante la mia lunga carriera e la mia età non più giovane. Un punto fondamentale è questo. Poi aggiungerei il piacere di essere eclettico. Io ho faticato molto all’inizio, perché in Italia si tende a mettere le etichette addosso agli attori. Una volta fai il comico? Sei un attore comico a vita. Ti vedono in una tragedia greca? Sei un attore da tragedia. Per anni ho sofferto questa situazione, a me piace spaziare. Un attore, se è un vero attore, fa di tutto. Grazie a Dio adesso questa crisalide si è un po’ rotta e hanno capito che Pambieri è “l’attore” e come tale deve poter spaziare su tutto: cinema, televisione, teatro, comico, drammatico, tutto.
Che poi è quello che comunemente accade in America…
Ecco, bravissimo, mi ha tolto le parole di bocca! In America, in Inghilterra, nel teatro anglosassone. Lei pensi a Shakespeare…ci insegna proprio questo. Nei suoi lavori drammatici ci sono tante parti comiche. Ma la vita è questo! E se noi attori dobbiamo rappresentare la vita, dobbiamo saperlo fare a tutto tondo. Nel caso contrario, secondo me, non varrebbe nemmeno la pena di intraprenderla, questa professione!
Pambieri, voglio provocarla… il suo percorso artistico è impressionante. Più di quarant’anni di teatro e non solo. Le chiedo, perché a Roma la vedo raramente nei cartelloni teatrali?
Ma questo succede un po’ a tutti. Non è che ogni anno hai lo spettacolo giusto… magari un anno lo fai a Milano, l’anno dopo a Roma, a meno che non si abbiano due spettacoli in due teatri diversi della stessa città. C’è una verità però, nella sua domanda. Noi in Italia abbiamo una distribuzione teatrale molto particolare, non è come in Inghilterra o in Francia, dove i grandi spettacoli stazionano nelle città fino ad esaurimento. Lì ci sono altre abitudini. Con La coscienza di Zeno sono stato a Milano, poi venni a Roma al Teatro Quirino, ma è chiaro che se dopo due anni non hai un altro spettacolo per quella piazza, devi cambiare. Dipende un po’ dai giri, insomma. Qui non puoi stare più di tanto in una città.
Da non molto ha terminato “La professione della signora Warren” di Bernard Shaw, al Teatro Eliseo, insieme a Giuliana Lo Jodice. Due grandi nomi per un classico che è molto attuale, vero?
Eh, direi proprio di sì! Perché parla del vil denaro come il centro dell’universo, tanto che nella scenografia c’è una grande sterlina che campeggia, voluta dal regista Sepe. Una commedia agra, forte, infatti, fa parte delle “commedie sgradevoli” di Shaw, molto dura, in cui il rapporto tra la signora Warren, tenutaria di una catena di bordelli, e la figlia, non riesce a concretizzarsi per il rifiuto della ragazza di una società maschile che quasi la fagocita. Un testo molto forte, una regia particolare come tutte quelle di Giancarlo Sepe ed ha avuto un bel successo, nonostante la situazione a Roma e in particolare all’Eliseo, non sia proprio rosea.
Ecco, volevo chiederle proprio questo… senza entrare nei particolari, che idea si è fatto della situazione incresciosa dell’Eliseo?
Una situazione che ci ha angosciato per tutta la durata delle prove…poi l’ufficiale giudiziaro che è venuto una prima volta… hanno rimandato lo sfratto. Proprio domani (il 20 novembre – ndr) è stata fissata la seconda scadenza, vediamo che succede… procrastineranno ancora? Non lo so, è una situazione nebulosa, in cui non si capisce più nulla. C’erano diverse cordate interessate a subentrare nella gestione… l’intervento di Barbareschi ha contribuito ad aumentare la confusione.
Se non c’è l’unanimità dei tre attuali soci non si va da nessuna parte, non c’è soluzione. Una storia magmatica, assurda, incredibile. L’Eliseo è un teatro di rilevanza culturale enorme, nazionale e non solo romana. Confermata la destinazione d’uso, come è stato fatto, si poteva trovare una soluzione ragionata, ma non è stato fatto. Adesso chissà… se si alza sempre l’asticella diventa quasi impossibile.
(Il giorno dopo la registrazione dell’intervista, è stato eseguito lo sfratto. Nella mattinata del 20 novembre l’ufficiale giudiziario, accompagnato dalle forze dell’ordine, ha posto i sigilli al Teatro Eliseo – ndr).
In generale, invece, lo stato di salute del teatro italiano? Carlo Giuffrè afferma che non ci sono autori esportabili in Italia. Il suo pensiero sulla drammaturgia italiana?
No, secondo me ci sono validissimi autori italiani. Ora mi vengono in mente Erba, Manfridi, Cavosi di cui ho interpretato “Il sogno dei Mille” qualche anno fa per la regia di Scaparro. Ci sono, ci sono! Il problema è che, in tempi di crisi, è difficile buttarsi su un testo italiano, paradossalmente. Perché magari è un autore sconosciuto, il cui nome non è di per sé una chiamata per il pubblico, capisce?
Perché il rischio è che se aspetti il passaparola per lo spettacolo di un autore non noto, poi magari non incassi, almeno nel breve periodo. Poi quello stesso spettacolo devi venderlo, e per venderlo deve essere qualcosa con un input molto forte, soprattutto oggi come oggi, dove nessuno osa rischiare per paura. Diventa tutto molto, molto difficile, per cui è chiaro che è più facile andare su un classico, anche se poi un classico ti costa molto di più. Insomma, non è una bella situazione. L’humus c’è, ci sono autori interessantissimi. Ma chi dovrebbe dare la possibilità a questi di proporre e mettere in scena i propri lavori è il teatro pubblico, gli Stabili, che sono pagati da tutti noi. Invece di dedicarsi ai classici, dovrebbero promuovere la drammaturgia italiana. Se lei guarda bene, negli Stabili, di italiano ci sono quasi sempre i classici e non i nuovi autori italiani.
Gli stessi Stabili che spesso sono terreno di lotte politiche…
Oh, lasciamo stare! Ma lo sappiamo. Non fanno il proprio dovere, visto che sono finanziati con soldi pubblici, di tutti. Andremmo a parlare dei massimi sistemi. C’è anche da dire che in Italia il teatro ha essenzialmente una tradizione privata e di giro. Ora, con le nuove normative, pare che privilegino soprattutto i teatri stanziali e da una parte questo è anche un male perché ne risente l’ossatura teatrale italiana che è costituita da privati, da gente che rischia di tasca propria per fare spettacoli e cultura. Di tutto questo potremmo parlarne all’infinito.
I prossimi impegni dopo l’infinito Giacomo?
Mah, tante cose… avrei dovuto fare “Misery non deve morire” insieme a mia moglie (Lia Tanzi – ndr), ma è saltato perché continueremo con “La professione della signora Warren”. Abbiamo dei progetti di cui è inutile parlarne ora perché sono in fieri. Un progetto interessante che ci è stato proposto è quello di fare, con un impianto simile all’infinito Giacomo, l’Odissea e l’Iliade. Io nell’Odissea e Massimo Popolizio nell’Iliade, in due serate, con incursioni reciproche nei testi, interpretando diversi personaggi l’un per l’altro in una bella collaborazione. Una cosa ancora da definire che dovremmo fare al Festival dei due mari, a Tindari.
Pambieri, parlare con lei è stato un onore e un grande piacere, grazie per averci concesso il suo tempo.
Ma grazie a voi! Cultura&Culture è una pagina web molto importante. La cultura in Italia è carente, lo sappiamo, e quindi ben venga un portale che se ne occupa. Poi s’interessa di teatro, io faccio teatro, sappiamo quanto il teatro stia soffrendo e quindi è un gran bene che si parli e si porti avanti questo discorso. Grazie per tutto quello che fate!
Ascolta il saluto di Giuseppe Pambieri
Paolo Leone