Cos’è che spinge un ragazzo a entrare nella malavita organizzata perdendo di conseguenza la propria libertà? Se lo chiede Alessandro Piva nel suo ultimo film I Milionari, una pellicola cruenta che con occhio imparziale e senza sbavature riesce a portarci in un vicino far west, dove non esistono regole e si uccide per un pugno di Lire solo per espandere l’Ego di chi cerca la gloria in una terra abbandonata. Qui il padre onesto, che però lascia la sua famiglia in bancarotta, è simbolicamente lo spartiacque tra il vecchio e il nuovo, tra ciò che era – rappresentato da una festa di paese – e ciò che è. Gli scugnizzi, che si trasformano in camorristi efferati, uccidono per diventare milionari e ci riescono scendendo a compromessi, colpendo alle spalle dell’amico diventato nemico, sparando senza alcuno scrupolo anche alle donne quando è necessario. La camorra, entrando nel paradosso, non segue le norme morali di Cosa Nostra, ammazza per il gusto di farlo e, in quest’ottica, i figli del nuovo millennio sono peggiori dei padri.
Il film I Milionari descrive le vicende private e “pubbliche” del boss Marcello Cavani che, dopo essersi pentito, come un moderno San Paolo sulla via di Damasco, racconta le sue memorie, rivelando i retroscena di un ventennio vissuto da criminale, dall’adolescenza fino all’età adulta. Con un perfetto accento napoletano, Francesco Scianna si cala bene nel ruolo del camorrista, come aveva fatto nel 2010 quando – diretto splendidamente da Michele Placido – aveva vestito i panni di Francis Turatello, un malavitoso attivo a Milano negli anni Settanta, prima rivale e poi addirittura testimone di nozze dell’imprevedibile Renato Vallanzasca, interpretato in quel film da un notevole Kim Rossi Stuart. Scianna in Milionari è emblema e contraddizione di una realtà efferata, nella quale il re è il denaro e la regina è la pistola, mentre il tempo passa.
I Milionari sembra essere un tributo al cinema di Sergio Leone e in particolare a quei ragazzini dalla faccia sporca che in “C’era una volta in America” avevano come unica scuola la strada e pensavano di essere invincibili ma è anche un affresco non proprio rassicurante della Napoli di Gomorra, una città tormentata, impaurita dalla sua stessa bellezza, un po’ vittima e un po’ carnefice, immobile ma non dormiente e pur sempre intrisa di quella struggente nostalgia che Sergio De Santis chiama“Malussìa” nella sua raccolta poetica; si tratta di uno stato d’animo che affligge tutti i personaggi, i quali – in preda a una simbolico mal di mare – tentano di affermare se stessi. Da vedere anche per i costumi e la scenografia. Di seguito il trailer.