Che cos’è “Endkadenz Vol. 1”, il nuovo album dei Verdena? Che cos’ha inventato, ancora, il trio lombardo dopo il clamoroso successo di “Wow”, il doppio cd del 2011 idolatrato da pubblico e critica? Il nuovo album è innanzitutto un profluvio di suoni, una prova musicale di rango eccelso, in cui tutti i livelli di giudizio schizzano al massimo. Incredibile solo pensarlo, dopo il disco stratosferico di quattro anni fa che sembrava aver dato davvero ai Verdena la loro forma definitiva. Qui invece, Alberto Ferrari, Roberta Sammarelli e Luca Ferrari rilanciano. E anche di brutto. Innanzitutto proponendo di nuovo un album doppio (il secondo volume uscirà a ridosso dell’estate) con 40 minuti di musica in più rispetto a “Wow”. E poi presentandosi con 13 pezzi uno più meraviglioso dell’altro. Quantità e qualità, insomma. Prove d’autore permeate da uno spirito punk raro (unico?) all’interno dei confini nazionali mescolate in un disco prodotto sapientemente, sudato e sentito in puro stile Verdena, ma con una maturità compositiva da far paura. Se i tre ragazzi di Abbazia, provincia di Bergamo, fossero nati in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, adesso sarebbero una band di riferimento per molti.
Senza esagerare, “Endkadenz Vol. 1” consolida ed enfatizza l’evoluzione timbrica e compositiva dei Verdena, prende a grandi mani dai lavori precedenti e ne rappresenta una sorta di upgrade in cui confluiscono una rabbia viscerale raccontata attraverso un songwriting maestoso. Ci sono i chitarroni di “Requiem”? Sì, ci sono. Ma più belli. C’è il pianoforte di “Wow”? Certo, ma stavolta è un piano acustico, più maturo e “consapevole”. E le liriche? Restano enigmatiche e allo stesso tempo cariche di fascino, come Alberto ci ha ormai abituato da 20 anni. Ma, ripetiamo, ci sono soprattutto tanti, tantissimi suoni, un vero bombardamento creativo in grado di spalancare innumerevoli mondi musicali che proliferano senza sosta, strisciando sotto pelle per poi diffondersi nel cervello e rivelarsi lentamente. D’altronde, l’attenzione del cantante ai dettagli è leggendaria: dopo le prove (dalle 7 alle 12 ore al giorno), Alberto si chiude in studio per tutta la notte a tagliare e cucire l’immensa mole di musica prodotta con i suoi compagni. In questo caso, al termine delle registrazioni del disco, i Verdena avevano qualcosa come 12 cd da 30 pezzi l’uno. Scegliere i brani da inserire nell’album (e scegliere quelli più “efficaci”, come ama ricordare il cantante) è stato un lavoraccio nel lavoraccio. Per il momento ne abbiamo 13 (come il primo cd di “Wow”). Di bellezza assoluta. Dalla malinconica psichedelia di “Alieni fra di Noi” alla rabbia grunge di “Derek”; dal pop sporco e “cantereccio” del primo singolo “Un Po’ Esageri” a “Rilievo” e “Nevischio”, pezzi di bravura autoriale che si distinguono per la loro grandissima scrittura. Fino al finale scuro e decadente di “Inno del Perdersi” e “Funeralus”, brani che fanno da ponte col secondo volume (anche se il gruppo concepisce “Endkadenz” come un unico album, in quanto la suddivisone in due capitoli è stata una scelta della casa discografica). Su tutto, poi, la tecnica espressiva dei tre musicisti, ormai consolidata, soprattutto di Luca, batterista di eccellente qualità. Hanno vinto ancora loro, insomma, anche se in fondo non c’era più niente da dimostrare. Insomma, il nuovo album dei Verdena, “Endkadenz Vol. 1”, è l’ennesima gemma del gruppo rock più bravo d’Italia. E in attesa di scoprire il secondo volume, che uscirà tra pochi mesi, ci godiamo il lavoro della band che è al massimo del suo splendore con questo disco che rischia di rimanere nella testa e sulla pelle di molti. “Come una cicatrice, che un brivido è già”.
Paolo Gresta