ILVA, LO SCANDALO RACCONTATO DA GIANNI DRAGONI

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Dopo il successo ottenuto con il suo libro “Capitani Coraggiosi”, Gianni Dragoni torna con il suo nuovo lavoro formato e-book: “Ilva. Il padrone delle ferriere”. Inviato de “Il Sole 24 Ore”e ospite fisso della trasmissione “Servizio Pubblico” di Santoro, il giornalista di Fusignano dopo aver pubblicato un libro – inchiesta sulle vicende dell’Alitalia, decide adesso di occuparsi del disastro ambientale che ha colpito Taranto.  Un lavoro interessante per approfondire minuziosamente uno dei temi più scottanti del momento.

Perché ha scelto di pubblicare proprio adesso questo suo lavoro?

Avevo già lavorato sulla figura di Emilio Riva un po’ di tempo fa. Quando ho scritto il libro “Capitani coraggiosi”, ne avevo parlato poiché Riva è stato uno dei partecipanti alla cordata berlusconiana che ha comprato Alitalia nel 2008. L’imprenditore fu quello che mise più soldi nell’operazione: ben 120 milioni di euro. Nonostante tutto questo però, la sua figura resta poco conosciuta. A fine luglio, esploso il problema dell’Ilva e dopo il sequestro degli impianti, ho pensato che fosse il momento giusto per fare più luce su quest’imprenditore. Ho ritenuto opportuno descrivere i suoi metodi, raccontando del modo in cui si è arricchito e ha gestito l’Ilva stessa.

Proprio all’inizio del suo libro, infatti, lei definisce lo stesso Riva come il “padrone delle ferriere”.  Può spiegare meglio il perché?

Emilio Riva è un imprenditore che da sempre ha lavorato nel ramo dell’acciaio. Nel 1954, insieme al fratello Adriano ha fondato la prima attività legata al commercio del ferro. Ha realizzato la prima acciaieria in provincia di Varese.  Inoltre, il suo stile è quello patronale, è un vero e proprio padrone duro. Benché il suo gruppo con l’acquisto dell’Ilva sia diventato una multinazionale di livello mondiale, lui è rimasto un uomo a capo di un’impresa familiare. A lavorare con lui ci sono, infatti,  tutti i suoi figli e tutti i suoi nipoti, solo i maschi però. Lui stesso ha detto che per le sue due figlie femmine non c’era posto in azienda. Ha quindi uno stile da padrone di fine Ottocento. Ecco quindi perché è un vero e proprio “padrone delle ferriere”.

Un altro aspetto di Riva che lei sottolinea nel libro, è la figura di un uomo che non è mai stato fuori dai giri giusti, un uomo che ha saputo sfruttare bene le sue conoscenze in ambito politico…

Emilio Riva ha sempre mantenuto un profilo basso: la sua regola era non apparire. Ha fatto poche interviste, stando sempre attento a selezionare controparti da cui non si aspettava domande scomode. Nonostante questo però, è stato sempre molto attivo nel costruire e coltivare dei rapporti importanti. Era ancora uno sconosciuto quando Berlusconi ha vinto le elezioni del ’94, eppure fu tra quelli che parteciparono con lui a una cena intima a Roma, questo vuol dire che tra loro c’era un rapporto molto solido. Contemporaneamente però, aveva un ottimo rapporto anche con l’opposizione. In particolare è esploso il caso del finanziamento da 98mila euro dato personalmente a Bersani nella campagna elettorale del 2006. Un finanziamento a colui che è stato ministro dell’industria e che adesso è l’attuale segretario del PD. Finanziamento pubblico e non occulto, reso però discutibile per via dei metodi di Riva. Non dobbiamo dimenticare che dalla vicenda di Taranto è venuta fuori l’accusa che siano stati dati dei soldi anche a uno dei periti che doveva fare le indagini proprio sull’inquinamento dell’Ilva stessa.

Qual è l’idea che si è fatto di un altro personaggio – chiave per l’Ilva,  Corrado Clini?

Corrado Clini è stato Direttore Generale della Protezione Internazionale dell’Ambiente finché non è diventato ministro. Quando Clini era Direttore, nel 2008, Riva entrò nella nuova Alitalia versando 120 milioni di euro. In quel momento, a Taranto, le contestazioni ambientali fatte dalla regione erano molto pesanti e l’Ilva rischiava di chiudere.  Dal ministero di Roma però, il ministro Prestigiacomo e il Direttore Clini misero in discussione i dati della regione. L’Ilva superò così quell’ostacolo e qualche anno dopo ottenne dal Ministero dell’ambiente, l’autorizzazione integrale ambientale. Clini dice di non aver partecipato a tutta quella procedura, tuttavia, da quando l’Ilva è stata sequestrata, lo abbiamo visto battersi personalmente per la sua riapertura. Clini ha affermato che l’Ilva non doveva chiudere, ma soprattutto che la questione dell’inquinamento andava risolta senza l’intervento della magistratura. Insomma a mio avviso il suo comportamento lo pone molto dalla parte dei Riva. Dico questo perché non ha messo lo stesso rigore nel cercare, nei mesi precedenti, di costringere l’Ilva ad accettare delle prescrizioni più rigorose che potessero consentire di ovviare ai lavori di bonifica e di ridurre l’inquinamento.

Leggendo il suo libro risulta subito chiara una cosa: un industriale si è arricchito senza pensare ai danni ambientali e salutari. Secondo lei è possibile salvaguardare sia salute sia posto di lavoro?

Il problema dell’inquinamento a Taranto esisteva anche prima della privatizzazione e dell’arrivo di Riva. Nel 1995, dopo la sua venuta però possiamo dire che si sia aggravato. Sarà forse che anche le prescrizioni ambientali sono diventate più severe, ma è fuori discussione che a capo sia arrivato un imprenditore che ha pensato a spremere gli impianti anche dal punto di vista della manutenzione. Si racconta che Riva non abbia mantenuto gli standard industriali trovati, eppure quando ha rilevato l’azienda senza debiti, gli impianti erano nuovissimi e li ha pagati anche poco rispetto il loro valore.  Credo che sicuramente ci sia la possibilità di contemperare produzione e salute. Il binomio non è produrre o essere sani, ma produrre ed essere sani. Ci riescono in tanti paesi del mondo: l’acciaio è prodotto nei paesi più avanzati anche da un punto di vista di norme per la sicurezza e l’ambiente. Due esempi? Francia e Germania. Certo, l’ambiente non sarà mai indifferente alle attività industriali. Questo credo sia impossibile. Non si può ridurre a zero l’impatto ambientale, ma è possibile abbatterlo, soprattutto facendo una lunga serie di accorgimenti alle volte anche banali.

Una delle affermazioni iniziali del suo saggio – reportage è quella in cui dice che «a Taranto quasi ogni famiglia piange per la tragedia dell’acciaio». Dov’erano prima queste famiglie? Perché se n’è iniziato a parlare così tardi?

In realtà questo l’ho raccontato perché ho conosciuto e conosco persone che mi hanno riferito questi problemi. Credo che intanto l’Ilva sia vitale per la città di Taranto. Sono però convinto che il problema sia diventato noto solo per via della magistratura e non perché ci sia stato un allarme sociale sull’inquinamento. Se non ci fosse stato l’intervento della magistratura che ha sequestrato gli impianti, credo che quest’argomento sarebbe ancora più o meno sconosciuto ai più al di fuori della Puglia.

Quanto sono state importanti le inchieste giudiziarie per tutto il suo lavoro? 

Allora, io non seguo direttamente la cronaca giudiziaria. Vedo però che sempre più spesso (anche per ragioni che non sono sempre di tipo ambientale) le inchieste rivelano e consentono di conoscere tanti aspetti della vita sociale ed economica delle industrie e del mondo della finanza. Inoltre, sempre tramite le inchieste, si possono osservare minuziosamente i rapporti tra imprese, finanza e politica.

Possiamo inoltre definire il suo lavoro come la ricostruzione della storia di una famiglia che riguarda e intacca però le coscienze di ognuno di noi?

Questa definizione non credo sia giusto che me la dia da solo.  L’affermazione così com’è però, la sottoscrivo.

Maria Rosaria Piscitelli

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