Le proprietà del vino erano note agli antichi Romani che hanno lasciato ai posteri diversi trattati sulla coltivazione delle viti e sulla produzione di questa gustosa bevanda, tanto cara a Bacco. Tra questi, ci sono il secondo libro delle ‘Georgiche’ di Virgilio e il ‘De Agricultura’ di Columella. Sulla base dei nozioni contenute nei trattati, l’Istituto per i beni archeologici e monumentali del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibam-Cnr), con la cattedra di Metodologie, cultura materiale e produzioni artigianali nel mondo classico dell’Università di Catania, tradurrà nella pratica le istruzioni dei Romani. In che modo? Coltivando le viti e producendo il vino alla loro maniera in una terra fertile come la Sicilia. La coltivazione delle viti, secondo i metodi dei Romani, avverrà su un terreno che si estenderà, in cinque anni, fino a 5mila metri quadri, mentre la prima produzione è prevista entro quattro anni con un raccolto di 100 chili di uva e 70 litri di vino, raddoppiabili già dall’anno successivo fino al raccolto ottimane di 50 quintali.
Daniele Malfitana, direttore dell’Ibam-Cnr, afferma che l’iniziativa si prefigge l’obiettivo di verificare la fattibilità delle indicazioni degli antichi Romani e soprattutto comparare i risultati sperimentali con le indagini archeologiche condotte in Italia. I ricercatori hanno costruito addirittura la “cicogna”, uno strumento che consentiva ai proprietari terrieri di capire se i contadini eseguivano bene il loro lavoro, come ha spiegato in una nota pervenutaci in redazione, Mario Indelicato, esecutore del progetto.