Nei suoi occhi azzurri è passata parte della storia di Hollywood, la sua prima volta dietro la macchina da presa ha dato vita a quel miracolo della settima arte che è Balla coi lupi, espressione coraggiosa di un cinema fuori dagli schemi e oltre le mode.
Kevin Costner, da sempre icona di bellezza e intelligenza del cinema d’Oltreoceano parlando del mestiere dell’attore una volta ha detto “quando ti trovi di fronte a milioni di spettatori, o dai il meglio di te o dai il peggio” e nella sua carriera lui ha fatto entrambe le cose vestendo i panni di Eliot Ness per Brian De Palma ne Gli intoccabili, dando un volto nuovo al controverso avvocato Jim Garrison nel film di Oliver Stone JFK – Un caso ancora aperto per poi, più di recente, farsi ammaliare dalle luci del cinecomic e diventare, per una manciata di minuti solamente, il padre di Superman ne L’uomo d’acciaio di Zack Snyder.
Dalle pellicole d’autore a quelle mainstream Costner ha attraverso trasversalmente il meglio e il peggio del cinema americano coltivando al contempo ogni passione, anche quella della musica rock che è diventata una sorta di secondo lavoro quando nel 2010 ha pubblicato il suo primo album Turn it on. L’istrione Costner è co-protagonista, insieme alla collega Premio Osca, Octavia Spencer, e produttore del nuovo lungometraggio diretto da Mike Binder, Black and White, che esplora le tensioni razziali in un dramma familiare sull’affidamento potente e attualissimo. La pellicola è stata presentata al Festival del Film di Roma 2014.
Black and White è un film che parla, tra le tante cose, principalmente di razzismo. Secondo lei come mai ancora c’è bisogno di sensibilizzare, dopo anni di lotte, la gente su questo argomento?
L’argomento è così delicato e non posso pretendere di avere delle risposte ma la bellezza del mondo è sempre stata rappresentata dalle differenze e alcune delle cose più belle che mi sono capitate mi sono successe insieme a persone con le quali non ho neanche la lingua in comune. Negli Stati Uniti il razzismo è un grande problema: la creazione e la formazione del nostro Paese è passata attraverso lo schiavismo. Attraverso la fatica, il sangue e la morte di uomini che hanno contribuito a costruire l’America ma che sono stati sempre visti come inferiori. Questo errore, che è l’errore più grande che possa essere fatto da esseri umani nei confronti di altri esseri umani l’abbiamo pagato e lo stiamo pagando ancora carissimo.
Kevin, oltre ad essere il protagonista lei è anche produttore di Black and White. Perché ha deciso di dare lei stesso un’opportunità a questo lungometraggio?
I grandi Studios non vedevano Black and White come un film che potesse incassare, io invece ho ritenuto che questa pellicola potesse avere grandi chances di successo perché si affronta l’argomento anche con ironia. Credo che Black and White sia un film che aiuta perché ha aiutato per primo me a capire meglio certi meccanismi.
C’è una nuova tendenza a Hollywood che vede sempre più spesso attori affermati, come per esempio Leonardo Di Caprio o Richard Gere, produrre di tasca propria alcuni lungometraggi. Lei che più volte e non solo di recente lo ha fatto sa spiegare perché?
A Hollywood c’è molto spazio e molto denaro per le grandissime produzioni, quelle che arrivano a spendere anche 200 o addirittura 500 milioni di dollari per un film ma paradossalmente per i lungometraggi che richiedono un budget minore, che non hanno la presunzione di essere kolossal, sembra che non ci siano fondi. Sembra che nessuno voglia investire su storie, magari più semplici da realizzare, per paura che non possano avere successo. Per paura di perdere il proprio denaro. Perciò alcuni attori prendono coraggio e mettono mano al portafoglio perché piccoli progetti siano girati. E così faccio anche io in quanto so per esperienza – visto che per esempio Balla coi lupi è costato solo 16 milioni di dollari – che non è detto che il costo contenuto di un progetto cinematografico equivalga a un flop al botteghino, anzi. Gran parte dei miei grandi successi in realtà erano a basso costo, erano nati come piccoli film.
Oltre che di razzismo Black and White è anche una storia di affetti, a suo modo di famiglia. Lei da uomo impegnato e di successo come riesce a conciliare il suo lavoro con l’esigenza di essere presente per i suoi cari?
Nella vita abbiamo l’opportunità di essere tante cose e, a prescindere da quello che faccio, sono convinto che la responsabilità di padre sia fondamentale. Io in realtà sto molto a casa e sono un papà normale che porta i figli a scuola e li va a riprendere. Spesso mi ritrovo a fare da paciere tra i primogeniti, visto che ho ben sette figli, o a guardare con mia figlia più piccola che ora ha quattro anni Frozen; lei è appassionatissima di Frozen e non posso esimermi dal guardarlo con lei ogni volta che vuole! Questo per dirle che mondo mi vede come attore ma quello che il mondo non vede è forse la mia più grande gioia: la mia famiglia.
Oltre a quello di padre, che è il più importante, nella sua carriera lei ha interpretato diversi ruoli senza mai relegarsi a una tipologia specifica né di personaggio né di film…
La parte più divertente del mio lavoro è cercare l’approccio giusto, diverso in ogni occasione anche se forse sarebbe stato più intelligente fare una sola tipologia di film per essere sempre riconoscibile in un certo tipo di ruolo ed essere richiamato ogni volta per interpretare quel personaggio. Io però ho bisogno di sentirmi libero – anche di sbagliare – e soprattutto di poter scegliere di partecipare a piccoli progetti qualora per me siano interessanti. Nella vita c’è solo una chance di dire qualcosa di diverso e io non ho mai voluto perderla. E comunque sì, tra i tanti ruoli che per lavoro ho dovuto interpretare il mio preferito è quello che ogni giorno interpreto lontano dalle telecamere, a casa mia: il padre.
Ascolta uno stralcio dell’intervista rilasciata da Kevin Costner (con interprete)
Sandra Martone