Una volta c’erano le telenovelas e oggi ci sono i film come Joy. David O. Russell trasforma Jennifer Lawrence in un’eroina dei nostri giorni che fatica a trovare la propria dimensione di donna e di lavoratrice. Nelle telenovelas degli anni Ottanta il fil rouge era l’amore, conquistato alla fine duramente, in Joy è il lavoro o meglio il desiderio di rivalsa della protagonista, succube della sua famiglia che, prima la induce a rischiare, e poi l’accusa di essere una fallita. Il lungometraggio in realtà è un enorme calderone in cui si mescolano generi cinematografici diversi con la finalità di raccontare quel sogno americano, descritto magistralmente anche da Gabriele Muccino ne La Ricerca della Felicità. Il ritmo iniziale del film è nevrotico; la macchina da presa catapulta lo spettatore, sin dalle prime sequenze, nella vita “infernale” e caotica di Joy che si divide tra i figli, il lavoro, le incombenze domestiche e i bisogni dei suoi parenti sui generis, subendo le angherie di una sorellastra frustrata e facendo da balia alla madre, una donna che dipende dalla televisione, al padre (Robert De Niro), un imprenditore sull’orlo del lastrico, e all’ex marito che continua a vivere con lei. Le uniche a credere veramente nel suo talento sono la nonna, che fa da voce narrante, e la migliore amica; mentre l’ex consorte, nonostante la passione amorosa sia scemata, è lungimirante e le dà degli ottimi consigli.
Joy non è un capolavoro per alcuni evidenti difetti stilistici e diverse incongruenze nella sceneggiatura, che in alcuni punti è poco credibile, eppure la pellicola ha un messaggio forte. Jennifer Lawrence impersona con disinvoltura e talento la donna di origini italo-americane che ha inventato il mocio e altri oggetti per la casa, diventando miliardaria grazie alle televendite e a un intuito inconsueto. I continui flash back fanno da spartiacque tra il mondo dei sogni, dove la fantasia rende tutto possibile, e la dura realtà esorcizzata verso il finale con un semplice colpo di forbici, segno evidente che proprio in quel gesto simbolico – ad alcuni forse incomprensibile perché tutto poi si svolge con eccessiva rapidità – si originano motivazione e desiderio di cambiamento. La salita verso il successo, come abbiamo già visto in altre pellicole motivazionali, sarà lunga e difficile per Joy Mangano che dovrà tenere duro per dimostrare a se stessa e agli altri il proprio valore.
David O. Russell – oltre ad avvalersi di Jennifer Lawrence, che ha ricevuto la nomination all’Oscar come attrice protagonista proprio per questo film – torna a lavorare con Robert De Niro e Bradley Cooper che interpreta un esperto di telepromozioni, ricordando per certi versi l’ambizioso Eddie Morra di Limitless. Il regista si avventura nelle pieghe di rapporti familiari fragili, attraverso strani gesti, malumori e invidie, dove i padri non hanno più ascendente sui figli e le madri sono disorientate. Joy, però, non ha l’appeal de Il lato positivo (commedia dello stesso regista, uscita in America nel 2012); la storia è accattivante, di per sé convince ed emoziona verso il finale, ma non decolla mai, non coinvolge pienamente e disorienta più di una volta lo spettatore a causa di alcune sbavature nella fase di montaggio. La pellicola, tuttavia, merita di essere vista soprattutto per la performance del cast, in particolare per l’interpretazione di Jennifer Lawrence, senza la quale il film sarebbe stato deludente, e per l’ottima Isabella Rossellini.