Jurassic World, recensione e trailer

Con Jurassic World, dopo 22 anni il “theme park” di Steven Spielberg riapre i cancelli. Benvenuti nella più grande attrazione turistica di tutti i tempi dove, oltre a Velociraptor, Mosasauri e T-Rex, ha dimora il feroce Indominus Rex. L’evoluzione avrà (di nuovo) inizio dall’11 giugno al cinema. Trama, recensione e trailer di Jurassic World.

Jurassic-World

 

In principio ci fu il brontosauro che il ricercatore Challenger trasportò tra le nebbie londinesi da uno sperduto avamposto nella foresta amazzonica. Era il 1925 e Il Mondo perduto (The Lost world) di Harry Hoyt sarebbe stato l’archetipo cinematografico di una serie di opere che da lì a venire avrebbero ricreato l’immaginario giurassico dimenticato. Insieme al titano preistorico sopravvissuto dopo 65 milioni di anni, compariva sullo schermo un vasto assortimento di giganti – Allosauri, T-rex, Triceratopi e Pteranodonti – ricreati dagli effetti speciali di Willis O’Brien e fuoriusciti dalla penna romanzesca di sir Arthur Conan Doyle. Parecchi anni più tardi un cineasta di Cincinnati, dopo aver visto Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille, decide che i suoi corti in 8 mm girati con i parenti, sarebbero divenuti materia onirica per la “New new Hollywood”, quella dei blockbuster spettacolari realizzati dall’ “ala pragmatica” del movimento che avrebbe cambiato per sempre il significato di cinema commerciale. Il regista è Steven Spielberg, re Mida della Fabbrica dei sogni, sodale del papà di Star Wars, George Lucas, entrambi alfieri di un ritorno, con debita tecnologia all’avanguardia, agli spettacoli mélèsiani improntati alla meraviglia, pieni di trucchi, magie e storie avventurose. Dopo autocisterne assassine (Duel), squali killer (Lo Squalo) alieni benevoli in visita sulla terra (Incontri ravvicinati del terzo tipo, E.T.), decide di rimpinguare il vasto assortimento immaginifico di mostri pescando da mitologie mesozoiche e dando vita al primo, vero ed inimitabile Jurassic Park, luogo in cui i dinosauri, ricreati dal sangue di una zanzara intrappolata nell’ambra, calpestano di nuovo la terra. Zona franca in cui è facile passare dalla meraviglia (chi può dimenticare lo sguardo incantato di Sam Neill e Laura Dern di fronte all’epifania del Brachiosauro?) all’orrore (i due ragazzini racchiusi nelle cucine del parco inseguiti da due Velociraptor famelici hanno terrorizzato due generazioni di spettatori). Ventidue anni e due sequel dopo (Jurassic Park – Il Mondo perduto, Jurassic Park III), continuando la tradizione filmica legata al monster movie (basti ricordare il King Kong del 1933, Gojira del 1954 e la tradizione giapponese di Gamera, un tartarugone di dimensioni colossali) e fondendola con il post-moderno concetto di “avventura” digitale, Spielberg sceglie di far salire in cabina di regia il giovane talento Colin Trevorrow dopo aver visto e ammirato il suo esordio indie Safety Not Guaranteed. Dall’iconico luna park “a conduzione familiare” del 1993 in cui John Hammond, ricco patriarca interpretato dallo scomparso Richard Attenborough offriva lo stupore preistorico ai suoi nipotini prima di catapultarli in una caccia all’uomo adrenalinica, alla nuova, mastodontica struttura di Isla Nublar, molti film hanno provato a concepire, senza molta fortuna, spaventi a misura di dinosauro. Basti pensare a Carnosaur, da un progetto di Roger Corman e Pterodactyl di Mark L. Lester. Solo Spielberg, e, come vedremo più avanti, il suo epigono Colin Trevorrow, sono riusciti a dosare, nei lungometraggi dedicati agli animali redivivi, paura e incanto, avventura e horror, sgomento e stupore. Se nel 1993 era pratica diffusa l’uso di animatronics a grandezza naturale, non era inusuale, tuttavia, l’immissione di una buona dose di CGI, come nella scena del brachiosauro. jurassic-world-trailer-recensioneOggi, nella nuova frontiera ipercinetica in cui l’avventura è tale solo se tutto si svela e nulla rimane velato come hanno recentemente insegnato Transformers 4 e Mad Max – Fury Road, il presupposto su cui si basa il quarto capitolo della saga è l’infestazione genetica. Ben consci del fatto che i visitatori del parco vogliono creature più spaventose e, soprattutto, molti più denti, gli ingegneri biogenetici decidono di creare un ibrido in laboratorio, l’Indominus Rex, bianco, grosso e cattivo, una vera “war machine” a cui è stato impiantato, come a tutti i più pericolosi predatori, un microchip di localizzazione. Inutile dire che qualcosa va storto, l’esperimento genetico escogita un furbo tranello scappando via e i Velociraptor, ammaestrati da Owen Grady (il Chris Pratt di Guardiani della galassia), un novello Indiana Jones dal fascino ruvido e testosteronico, avranno un ruolo assolutamente inedito. Anche in Jurassic World, come nel primo film si perdono due ragazzini, i nipoti di Claire Dearing (Bryce Dallas Howard) e militari senza scrupoli proveranno a intessere losche trame mentre pterodattili in volo, liberatisi dalle enormi voliere, faranno a gara per acciuffare turisti assortiti. In mezzo al caos genetico e all’anarchia evoluzionista, ci sono anche degli “Oltremostri”, nietzschianamente parlando, che diverranno alleati dell’uomo contro la sua stessa follia prometeica, un po’ come aveva fatto il Godzilla di Gareth Edwards. Che tutti si preparino quindi a fughe rocambolesche, stati d’assedio prolungati e senza respiro, sterminati paesaggi in CGI, mostri e creature in motion capture, immancabili scontri tra uomini e dinosauri e fra titani tra di loro. Jurassic World è un’opera di puro cinema, oggetto dinamico e rutilante plasmato dalle sapienti mani di un demiurgo della (fanta)scienza che, tra attacchi e assedi sovraesposti, non rinuncia a riflettere sul dominio egemonico dell’uomo, indiscriminato e dallo sguardo non più etico, e sulle potenzialità negative della genetica che tutto trasforma e tutto annienta. Quell’ “età di mezzo” in cui modelli a grandezza naturale contendevano il posto a creature prodotte con i software più all’avanguardia, lascia ora spazio a un “cinema-organismo” in cui tutto è corpo pulsante, ma filtrato sullo schermo grazie al digitale. Ai muscoli guizzanti di Pratt e alle eleganti corse di Bryce Dallas Howard si alternano i movimenti realistici compiuti dai dinosauri interpretati da mimi travestiti da animale preistorico. E questo avviene per la prima volta, dopo le prodezze di Andy Serkis, attore-camaleonte che è stato già Gollum e Cesare, il primate leader de L’Alba del pianeta delle scimmie. Nel Jurassic World la meraviglia si dispiega sulle corse in girosfera e lungo panoramici tour su monorotaia, quando la Specie (umana) incontra le diverse e svariate specie, dal Mosasauro che è nutrito a squali calati sulla piscina all’Indominus Rex, frutto (marcio) dell’avanzata tecnologia umana che uccide senza una precisa strategia e che, una volta sfuggito dalla recinzione, impara a comunicare con i suoi simili e a comprendere qual è il suo posto nella (nuova) catena alimentare. L’intero film potrebbe essere definito Special effect, termine usato per la prima volta per il film di Raoul Wash del 1926 Gloria, che, da una parte è un sincero omaggio a Spielberg e alla sua “pop-art” (il merchandise del vecchio parco abbandonato, le jeep, la vecchia sala controllo, il logo rosso, giallo e nero con lo scheletro del T-Rex) e dall’altra opera una delle tante, piccole e continue rivoluzioni linguistiche e stilistiche che revisionano generi troppo logori con invenzioni mirabolanti e sequenze d’effetto o che, semplicemente costruiscono sulla solita trama convenzionale un meccanismo perfetto e sincronizzato che produce a getto continuo paure ancestrali, suspense e azione.

Jurassic World, trailer

Voto: [usr 4]

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