L’uomo che vide l’infinito: trama, trailer e recensione del film – Sempre più spesso matematica, scienza e tecnologia e i personaggi a esse connessi stanno attraendo il cinema. L’uomo che vide l’infinito di Matt Brown è un altro frutto di quest’attrazione e/o moda, a seconda dei punti di vista. Dopo esser stato presentato al Bif&st 2016, arriva in sala dal 9 giugno grazie a Eagle Pictures e potrebbe conquistare la platea di turno soprattutto per le interpretazioni di Dev Patel e Jeremy Irons. Il punto è che loro due non bastano a salvare un’opera che ha forti cali di ritmo pur partendo da una storia di base che avrebbe avuto tutte le carte in regola per coinvolgere lo spettatore. Protagonista è il matematico indiano Srinavasa Ramanujan (Patel) con un talento innato per i numeri, pieno di folgorazioni originali e geniali pur non avendo la laurea. È, infatti, tutta farina del suo sacco, dell’intuito e degli studi da autodidatta. Si ritrova con i professoroni di Cambridge a combattere il pregiudizio di non avere un titolo, ancor più alla loro altezza. Sarà l’eccentrico professore, GH Hardy (Irons) a dargli la possibilità di riscatto e dal loro incontro nascerà un connubio non solo scientifico ma anche amicale.
Va detto che un po’ bisogna conoscere la materia per mantenere alta l’attenzione quando la sceneggiatura si addentra in teoremi ed equazioni e questo è uno dei difetti de L’uomo che vide l’infinito. Se in A Beautiful Mind (con uno straordinario Russell Crowe nei panni del Premio Nobel John Forbes Nash jr.) il personaggio era a tal punto forte da far commuovere con le allucinazioni provocate dal suo folle amore per la materia, qui quando si ascoltano espressioni come «funzione gamma» talvolta, il tutto, passa in un modo superficiale, come se quelle formule non c’entrassero con la nostra vita quotidiana. I due interpreti principali provano ad andare a fondo dei loro ruoli, ma al di là di alcun momenti felici in cui viene veicolata la passione per la matematica, non riescono a conferire più sfumature. Ciò accade, in particolare, con Ramanujan che viene raccontato, a conti fatti, in un biopic che (s)cade spesso nell’elegia. L’obiettivo della macchina da presa punta a inquadrarlo (nella prima parte) nelle sue umili origini per poi proseguire con le difficoltà con cui si è dovuto confrontare, cercando di restituire grazie al grande schermo l’eredità che ha consegnato ai posteri, i quali, magari, non sanno neanche della sua esistenza. Sarebbe stato interessante, però, che emergessero ancor più paure, preoccupazioni e fragilità e non principalmente la straordinarietà dei pensieri e dei calcoli.
L’uomo che vide l’infinito è un ritratto di ciò che Ramanujan e Hardy hanno rappresentato a livello scientifico ma non di quello che sono stati umanamente. Gli eventi si susseguono cronologicamente e lo spettatore si ritrova così ad assistere al percorso anche sul piano della scalata sociale, ma a parteciparvi molto poco (soprattutto emotivamente parlando). Lo script (curato dallo stesso Brown) si concentra tanto sulla relazione col mentore Hardy e su quella amorosa, così da strizzare l’occhio anche a più fasce di pubblico. C’è un elemento di questa storia che qualcosa di favoloso, tanto più se si pensa alle dinamiche dei nostri giorni: i due sono entrati in contatto grazie a una lettera che Ramanujan, da povero impiegato contabile dell’India del sud, scrisse ad Hardy, già noto matematico del Trinity di Cambridge affinché gli desse un riscontro sulle sue formule. Ecco, la domanda sorge spontanea: quante possibilità ci sono, oggi, perché possa instaurarsi un dialogo simile? Ancor più quasi alla pari andando oltre gli schemi mentali e i preconcetti? È con questo interrogativo che chiudiamo, con un po’ di amaro in bocca per l’occasione mancata. Di seguito il trailer del film e alcune immagini.