In corsa per 9 statuette, Birdman e The Grand Budapest hotel sono tra i favoriti alla prossima notte degli Oscar, le cui nomination sono espressione di un’America in balia tra il conformismo incalzante e la voglia di stupire ancora.
Qualche sorpresa e solite ovvietà hanno contraddistinto l’annuncio delle nomination per i film che concorreranno agli 87esimi Academy Awards, il prossimo 22 febbraio al Dolby Theatre di Los Angeles. Quasi scontata la presenza del filo repubblicanesimo a stelle e strisce dell’Eastwood nazionale, ultimo dei classicisti (e patrioti) americani, sempre poderoso e amaro nei suoi resoconti dal fronte bellico. Con il cineasta di San Francisco, autore di American Sniper, concorrono nella categoria miglior film The Grand Budapest Hotel, The Imitation Game, Whiplash, Selma, Boyhood, La Teoria del tutto e Birdman. I diari di guerra del cecchino Chris Kyle in “American Sniper”, magistralmente interpretato da Bradley Cooper, gli fruttano la candidatura a miglior attore protagonista, in compagnia di Steve Carell (“Foxcatcher”), Benedict Cumberbatch (“The Imitation game”), Michael Keaton (“Birdman”) e Eddie Redmayne (“La Teoria del tutto”). Tra le favorite per la conquista della statuetta come migliore attrice protagonista ci sono invece Marion Cotillard, volto tragico e dimesso della crisi economica e sociale in “Due giorni, una notte” e Rosamund Pike, la più conturbante e spietata tra le femme fatale del’ultimo anno (Eva Green in “Sin City 2” a parte); si contenderanno la statuetta con Julianne Moore (“Still Alice”), Reese Witherspoon (“Wild”) e Felicity Jones (“La Teoria del tutto”). Annunciate dal Samuel Goldwyn Theatre di Beverly Hills, le nomination premiano la fierezza indie di Wes Anderson e Alejandro González Iñárritu, outsider messicano di stanza a Hollywood.
I loro film, rispettivamente “The Grand Budapest hotel” e “Birdman”, rappresentano l’autorialità che fa coraggiosamente capolino nella mecca hollywoodiana, salvaguardando quei sottili equilibri tra cinema mainstream e sperimentalismo. La galleria di stralunati e bizzarri personaggi che popolano le fantasticherie di Anderson, illumina un vaudeville circense, comico e tragico insieme, che fin dall’esordio nel 1994 ha sempre fatto breccia nella critica e trionfato al box office. “The Grand Budapest Hotel”, storia semiseria di un concierge spalleggiato nelle avversità dal portiere Zero, eredita la leggerezza d’autore di Ernst Lubitsch, mostrando nella sgargiante favola un cast stellare perfettamente caratterizzato. “Birdman” è invece una commedia dagli accenti agrodolci, velata di nero e realizzata attraverso piani sequenza di rara intensità emotiva. Il bilancio delle ultime nomination riflette una serie di problematiche legate, da una parte alle forzate scelte di marketing, che non possono escludere titoli forti come “The Imitation game”, e dall’altra, alla capacità di fare interagire l’universo blockbuster con l’autenticità del cinema autoriale. Insieme ai grandi narratori classici e agli usuali abitué dell’Academy, scorgiamo infatti anche l’esordio di Damien Chazelle “Whiplash”, meteora fugace, mai visto nelle sale italiane e assolutamente sorprendente nel ritrarre il percorso di formazione di Andrew, un giovane batterista reclutato in una scuola prestigiosa dall’inflessibile insegnante Fletcher. Rispettando quella che è ormai una tendenza acclarata, David Fincher con “Gone Girl – L’Amore bugiardo” è fuori dalla corsa agli Oscar, nonostante ci abbia regalato un thriller psicologico di cristallina eleganza formale, mentre l’Alan Turing di Benedict Cumberbatch, candidato a ben 8 statuette, giganteggia nelle categorie più importanti, pronto a divenire il “12 anni schiavo” del 2015. Se l’America post Obama aveva scelto la storia di Solomon Kane per esorcizzare fenomeni razziali in nome di una (ben nota) propaganda sociale intrisa di retorica, quest’anno punta tutto sulla favola, intesa sia come reazione al mondo ostile a cavallo tra le due Guerre (“The Grand Budapest Hotel”), sia come riflessione amara sull’entertainment e sullo star system (“Birdman”). L’America degli eccessi, causticamente ritratta da Cronenberg in “Maps to the stars”, sceglie in controtendenza di escludere la tecnologia de “Lo Hobbit” per affidarsi allo spazio tempo reale di “Boyhood”, candidato a 6 Oscar. Il film di Richard Linklater porta la vita vera nello spazio scenico della finzione, (cast reclutato per più di dieci anni che invecchia realmente insieme al film), raccontando la storia di Mason, dall’infanzia fino alla partenza per il college. Virtuosismo naturalistico al posto dei classici film “formato statuetta”.
Non manca mai nel novero delle candidate Meryl Streep, regina dell’Academy, anche lei in lizza come attrice non protagonista in una favola con cui si vogliono scacciare fantasmi non rimossi di un turbolento e recentissimo passato. Nel musical “Into the woods” di Rob Marshall interpreta la strega cattiva pronta a scagliare una tremenda maledizione contro un fornaio e sua moglie. Tra i grandi sconfitti ricordiamo Angelina Jolie, che non ha convinto la giuria portandosi a casa solo tre nomination per “Unbroken”, il suo secondo lungometraggio dietro la macchina da presa. C’è anche un po’ d’Italia pronta a ritagliarsi un pizzico del colore sgargiante messo in scena da “The Grand Budapest Hotel”, grazie a Milena Canonero, fresca nominata per la realizzazione dei costumi nel film di Anderson. Siete, dunque pronti per la notte degli Oscar? L’appuntamento per scoprire tutti i vincitori degli 87esimi Academy Awards è per il 22 febbraio prossimo, al Dolby Theatre di Los Angeles con Neil Patrick Harris, star della serie tv “Doggie Howser” e di “How i met your mother” per la prima volta nelle veci di conduttore. E` il cinema, portandosi dietro anche il piccolo “grande” schermo, a raccontare l’America che cambia, tra favole poetiche e commedie nere, racconti dal fronte e storie individuali di rivincita e riscatto.
Vincenzo Palermo