La vedova allegra, ovvero centoundici anni e non sentirli. Anzi, di più: centoundici anni e non curarsene affatto. Con questo titolo che dal lontano 1905 affascina il pubblico si chiude tra applausi scroscianti la rassegna dedicata all’operetta (grazie all’illuminata direzione artistica di Marco Vaccari) nell’ambito della stagione 2015/16 del Teatro San Babila di Milano. Uno dei pochi, ma fortunatamente non pochissimi, templi rimasti in Italia dove questo genere ha ancora modo di essere rappresentato e apprezzato. Del resto la storia d’amore che lega Milano a questa celeberrima operetta è di lunga data: narra la leggenda che questo titolo fosse stato stroncato prima ancora di andare in scena, ma Franz Lehár, che si era innamorato del libretto scritto da una coppia di autori, Victor Leon e Leo Stein, basato sulla farsa “L’attaché d’ambassade” di Meilhac (sui maneggi di uno sciocco ambasciatore e del suo furbo assistente per far sposare una ricca vedova a un conte squattrinato, il tutto per amor di una patria sull’orlo della bancarotta), si intestardì e lo fece debuttare lo stesso ottenendo un grande successo. Due anni dopo, nel 1907, anche Milano ebbe la sua “vedova” grazie all’allestimento che vedeva nel ruolo di Hanna Glavari una famosa cantante del periodo, Emma Vecla, che lo portò in scena al Teatro Dal Verme per oltre 500 repliche. E proprio alla 500esima rappresentazione il compositore in persona si presentò per godersi orgogliosamente gli applausi del pubblico milanese.
Tornando ai giorni nostri, la messa in scena de La Vedova Allegra diretta da Gianni Versino, che invece ha rallegrato il Teatro San Babila, è a opera della Compagnia Grandi Spettacoli, che si gioca subito due veri assi, i “capocomici” Elena D’Angelo e Umberto Scida. Soprano dall’eccellente voce con una lunga esperienza e molti spettacoli in repertorio lei (spaziando tra opera, operetta, recital eccetera), performer diplomato alla BSMT di Bologna con una lunga militanza nel musical oltre che nell’operetta, e attore brillante dai tempi comici perfetti lui (riesce a modernizzare tutte le battute del libretto in maniera geniale. Artisti come lui sono una risorsa), sono stati capaci di scaldare il pubblico sfondando la quarta parete celebrando così un vero e proprio rito collettivo. C’è stato infatti uno spettacolo nello spettacolo di cui è obbligatorio dare conto. L’età media in platea, come credo fosse logico aspettarsi, era ovviamente abbastanza alta. Ma non poi così tanto più alta rispetto ad altre platee di teatri storici milanesi, e quello che mi ha colpito è che tra tante coppie âgée, c’erano comunque molti giovani. Di più: c’erano anche diversi nonni con nipotini al seguito. Il che è un dato sul quale vale la pena riflettere: se i teatri ciclicamente piangono per mancanza di pubblico, e un’operetta riesce a fare un sold out tecnico a metà settimana con un pubblico di diverse età, allora evidentemente esistono nicchie inesplorate o dimenticate che vale la pena ricercare. Tanto per i produttori che per i direttori artistici.
E in questa considerazione va anche sottolineato come si trattasse per di più di un pubblico esigente e consapevole. Trattandosi di uno spettacolo itinerante forse i costumi o le scene di questa edizione de La Vedova Allegra non reggono il confronto con altri spettacoli della stagione (sto pensando ai grandi musical) su cui sono state investite ben altre cifre, così come la recitazione è più da vecchia scuola operistica che da prosa, e le coreografie non sono quelle a cui la nuova generazione di coreografi ci ha abituati negli spettacoli che strizzano l’occhio a Broadway o al West End, ma la Compagnia Grandi Spettacoli ha evidentemente scelto su quali elementi puntare quando ha pensato come impiegare il budget di produzione. Niente economiche basi musicali quindi, ma una giovane e brava direttore d’orchestra, Marcella Tessarin, e dieci orchestrali che… sorridevano mentre suonavano le arie più allegre della partitura; più un cast formato da cantanti davvero all’altezza della situazione, visto che evidentemente nel settore è il merito a far guadagnare il ruolo, e non la notorietà. Il pubblico, come dicevo prima, era esigente e consapevole, di conseguenza gli applausi a scena aperta e gli apprezzamenti nei saluti finali sono andati agli Artisti, non alle star da botteghino come accade altrove. Applausi per tutti, con picchi a chi è stato apprezzato di più e (leggere) flessioni per chi forse avrebbe potuto fare meglio (“Bravo al tenore!” ha urlato una voce dalla platea, “Sì ma quale? Sa, ne abbiamo due…” ha ironizzato Elena D’Angelo, capocomico con la geniale battuta pronta). Il momento più emozionante della serata è stato però a metà del secondo atto, con il coro degli uomini che canta “È scabroso le donne studiar” (e per chi non lo avesse immediatamente presente basta un veloce ripassino su Youtube). Finito il numero Niegus/Scida si è rivolto direttamente al pubblico e ha diretto un coro a cui tutta, ma veramente tutta la platea ha partecipato. Le persone meno giovani cantando le parole giuste, gli altri con il più ovvio dei la-la-la-la-là. Superfluo dire che nemmeno una coppia di mani è rimasta ferma. E sono sicuro che per la seconda volta, fosse stato presente in sala, monsieur Lehár sarebbe stato orgoglioso dell’affetto che dopo più di cento anni il pubblico milanese continua a dimostrare a La Vedova Allegra.