Pensando alla recensione che avrei scritto per lo spettacolo La Via Del Successo – Dreamsisters avevo anche pensato a un titolo: Amii Stewart è tornata al suo primo amore, il teatro musicale. Ma purtroppo però non tutti i musical riescono col buco e La Via del Successo, ahimè, ne è la prova. Non credo mi sia mai capitato di essere stato così perfettamente diviso tra due sensazioni contrastanti assistendo a uno spettacolo. Di solito bianco e nero si fondono, mediano, si incontrano. Capisci che qualcosa funziona, qualcosa no, dappertutto ci sono aree di miglioramento… in questo caso, parafrasando una canzone di A Chorus Line, in cui una ballerina bravissima ma non avvenente scopre il motivo per cui non viene mai scelta alle audizioni rubando il proprio foglio di valutazione, intitolata “Dance 10, look 3” (Danza 10, bellezza 3) direi che si potrebbe pensare a una cover intitolata “Musica 10, teatro 3” e dedicarla a La Via del Successo. Dove il 3 è voto generoso. Cominciamo a parlare della musica quindi. Le voci in scena sono incredibili. Amii Stewart, va da sé, è il nome da botteghino. Americana di Washington, da anni residente in Italia, attrice, cantante e ballerina, ha legato il proprio nome non soltanto alla sua versione dance di “Knock On Wood”, ma anche ad altri grandi successi di musica leggera come “Grazie Perché” in coppia con Morandi, “Friends” con Mike Francis o la splendida “Saharan Dream” che il Maestro Ennio Morricone le ha affidato. Stewart dimostra ancora una volta come il talento e lo studio siano la base per una carriera che dura nel tempo. Voce agile, potente con una ottima estensione e una perfetta padronanza del palco (che dire? essere sia una ballerina che una splendida donna aiuta). Accanto a lei due incredibili cantanti: Lucy Campeti e Francesca Haicha Tourè. Ero estasiato nel sentire sia i brani solisti, che quelli interpretati a duetto o a terzetto, e continuavo a cambiare idea su quale fosse la mia voce preferita: bastava che una attaccasse a cantare e automaticamente dicevo a me stesso “è lei, oh sì, è la mia preferita”. Fino alla canzone dopo. Belli gli arrangiamenti di Marco Tiso, che usano in maniera intelligente lo strumento voce completando di fatto l’orchestra di 12 elementi che suona dal vivo e di nuovo brave, anzi: bravissime le cantanti. A dividere il palco con Stewart, Campeti e Tourè Will Weldon Roberson che ha saputo trascinare il pubblico italiano in una sorta di estatico delirio collettivo in stile messa gospel (ma con un ritmo soul. Meraviglia!).
La Via Del Successo – Dreamsisters voleva trattare il tema del razzismo e di come la musica sia stata negli anni ’60 in America (e per certi aspetti, anche se in maniera molto diversa, è tuttora) un ponte che ha unito le persone di razze e culture diverse. Credo che gli applausi, lunghi e convinti, tributati agli artisti al termine di ogni esibizione e la standing ovation nel bis la dicano lunga in questo senso.Concludo la parte dedicata all’apprezzamento citando i luccicanti costumi di Martina Piezzo, il progetto luci di Massimo Tomasino e le scene (che poi in realtà si riducono a un grande boccascena luminoso e una serie di pedane) di Andrea Bianchi. Mi rendo conto che possa sembrare una battuta ma non vuole esserlo: a un certo punto mi sono chiesto “ma dov’è che attracchiamo domani?” perché sembrava l’allestimento perfetto per uno show da grande nave da crociera. Uno show all’americana, in cui pailettes, lustrini, luci, musica e soprattutto professionalità garantiscono un momento di svago e intrattenimento di altissimo livello (e visto che nella colonna sonora sono state inserite molte canzoni da Dreamgirls, val la pena ricordare che la protagonista del film, Jennifer Hudson, proprio in una nave da crociera ha iniziato la propria carriera come cantante. No, per dire…). Ahimè, avendo comunque finito di parlare della parte musicale, sono finite anche le cose buone da dire. Lo spettacolo è definito musical. Sinceramente non capisco il perché. Perché lo chiamino musical e perché abbiano pensato di fare un musical. Fare musical non è cosa che ti prescriva il medico. Che ti può salvare la vita. Da cui dipenda la felicità delle persone che ci sono care. È un genere complicato il musical. Che unisce una storia a una colonna sonora in maniera stretta. Che necessita di attori capaci di recitare e cantare (a volte anche ballare) in maniera credibile. Di un testo con un senso e un ritmo (e se la cosa ti dice bene, potrebbe anche vincere il Pulitzer per il teatro, come Hamilton a Broadway quest’anno). Non basta avere dei cantanti eccezionali. Non basta mettere insieme delle splendide canzoni (ma anche lì, senza un metodo. Se vuoi raccontare la storia delle Supremes negli anni ’60 scegli le canzoni del periodo: non vale saccheggiare Dreamgirls e Sister Act 2). Non basta una grande orchestra. Non basta Sergio Muniz. Non basta la voglia di trasmettere un messaggio encomiabile e una decina di pagine di dialogo didascalico che illustrano l’ovvio. Non basta e anzi, rischia di diventare controproducente, di togliere ritmo a quanto di buono, di oggettivamente buono hai da offrire.
Vuoi uno spettacolo con i ballerini? Benissimo, mettici i ballerini. Ma se poi i ballerini passano davanti e impallano la cantante allora c’è un piccolo problema. In conclusione se dovessi rivedere la prossima stagione la locandina de La Via del Successo – Dreamsisters a cui è stata tolta la dicitura “musical”, trasformando di fatto quello che già in massima parte è, e cioè un bellissimo concerto di musica soul, gospel e R&B, con dei grandi artisti e una big band (a proposito: ma fare fin da subito una serata in stile Apollo Theater no?) prenoto fin da adesso il posto in prima fila. Ma se, malauguratamente invece la dicitura dovesse restare… ahimè. Cosa danno in televisione quella sera? Lo spettacolo è in scena, dopo Milano e Napoli, al Teatro Olimpico di Roma, dal 3 al 15 maggio, al Teatro Ariston di Sanremo, il 17 maggio, al Teatro Mario Apollonio di Varese, il 19 maggio, al Politeama di Genova, il 20 maggio, e infine al Teatro Verde di Montecatini, il 22 maggio.