Lavia a Teatro con L’uomo dal fiore in bocca…e non solo

L’uomo dal fiore in bocca…e non solo, diretto e interpretato da Gabriele Lavia, con Michele Demaria, è a Teatro fino al 18 marzo 2017. Lo spettacolo riporta in vita il profondo e intricato universo del drammaturgo e scrittore Premio Nobel Luigi Pirandello. Un grande orologio senza lancette occupa il centro di un’antica sala d’attesa in una stazione ferroviaria del Mezzogiorno e un fragoroso temporale, inusuale nella calura estiva, si abbatte furioso nel cuore della sera. Gli occhi e le orecchie degli spettatori sono presi in ostaggio dai fulmini e dal rumore della pioggia mentre un uomo riposa su una panchina e un altro perde il treno e irrompe nella sala stramazzando al suolo. Quest’ultimo, bagnato dalla pioggia e appesantito da un enorme carico di pacchetti colorati, è prontamente aiutato dall’altro personaggio. Tra i due si accenderà un fitto dialogo sull’assurdità della vita e sui massimi sistemi. La pièce, frutto di un accurato mélange tra il testo de L’uomo dal fiore in bocca e altre novelle pirandelliane che gravitano intorno al tema della morte e della donna, regala al pubblico un vivido affresco della poetica dello scrittore siciliano. “Perché vivere se devo morire?”, “Ma chi l’ha inventato il teatro?”, sono questi e tanti altri i quesiti che Luigi Pirandello pone nella bocca delle sue creature.

L’uomo dal fiore in bocca – interpretato a Teatro, magistralmente, da Gabriele Lavia – alterna momenti gravi ad altri più giocosi in perfetta sintonia con il sentimento del contrario che lo anima; sa di non avere molto altro tempo da vivere e si aggrappa con l’immaginazione alla vita degli altri, di quelli che non conosce, ignorando le premure della moglie. Quest’ultima (Barbara Alesse) assume qui le sembianze di un fantasma che si lascia intravedere dietro all’opacità di una vetrata e trasmette, con la sua presenza, un senso di spaesamento e di lontananza che riporta a galla un quesito tanto caro a Pirandello: “realtà o finzione?”. Ricordi, riflessioni e smanie sono sulla bocca dei due personaggi che ciarlano di donne, croce e delizia dei loro giorni, e di morte, conclusione assoluta della realtà di ognuno. I pacchi colorati dell’”uomo pacifico” (Michele Demaria) si scontrano con i toni scuri della sala d’attesa ma i loro colori sgargianti non fanno altro che occultare l’insoddisfazione di chi se li porta dietro come pesanti zavorre. L’uomo dal fiore in bocca immagina, immagina altre vite per fuoriuscire dalla propria, fuori dai suoi turbamenti, c’è tanto mondo. “Muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori” pensava Vitangelo Moscarda in Uno, Nessuno, Centomila e Mattia Pascal, per un caso fortuito, venne creduto morto e rivisse in Adriano Meis.

Il bisogno di uscire dalla forma e di lasciare spazio al brivido della vita è nella rappresentazione ed è onnipresente in tutte le opere dello scrittore di Agrigento. Un treno fischia e la voglia di disperdersi nelle acque dei fiumi e nelle altitudini delle montagne si accende all’improvviso. Le luci soffuse, il legno di pioppo della sala d’attesa, l’orologio al centro che come un occhio scruta gli accadimenti e lo scrosciare insistente della pioggia rendono l’atmosfera surreale. L’uomo dal fiore in bocca…e non solo di Gabriele Lavia ci rimette allo specchio e, anche in questa caotica contemporaneità, ci porta a riconsiderare la nostra relazione con noi stessi e con gli altri.

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