La recensione “Le leggi del desiderio” di Silvio Muccino e la trama del film, uscito al cinema il 26 febbraio 2015.
Realizzare i propri desideri più profondi è possibile? Esistono leggi che, se rispettate, possono farci raggiungere la felicità? A queste domande tenta di dare una risposta Silvio Muccino nel suo ultimo film “Le leggi del desiderio”, nel quale Muccino jr oltre ad essere regista è anche attore protagonista. La macchina da presa si muove in un ambiente nuovo e poco definito. Siamo in una redazione di una casa editrice, che sopravvive grazie ai proventi del best seller “Le leggi del desiderio” di Giovanni Canton, famoso life coach che insegna a raggiungere successo e fama seguendo regole ben precise. Canton deve selezionare tre persone con ambizioni diverse per dimostrare, in un programma televisivo, la validità delle sue teorie. Luciana Marino (Carla Signoris) lavora in Vaticano come segretaria, è moglie e madre di due ragazzi ma nel tempo libero si diletta a scrivere storie erotiche, che lei fa leggere solo alle sue intime amiche. Ernesto Calapicchioni (Maurizio Mattioli) ha superato i cinquant’anni e ha perso il lavoro. La moglie è invalida e lui, per evitare di farla soffrire, chiede aiuto a Giovanni Canton con l’obiettivo di trovare presto una nuova occupazione nonostante la veneranda età. La macchina da presa indaga da subito nella modesta vita di Matilde Silvestri (Nicole Grimaudo), una correttrice di bozze che ha una relazione con il suo capo Carlo (Luca Ward), il quale è sposato e non ha alcuna intenzione di separarsi dalla propria consorte. I tre concorrenti conducono una vita poco soddisfacente, alla quale si sono adattati per paura e forse per convenienza. Canton, con le sue leggi, proverà a rendere le loro esistenze magiche facendoli uscire dalla mediocrità in cui sono incastrati. Infatti, Ne Le leggi del desiderio i personaggi sono intrappolati in un’ideale di perfezione che però non li rappresenta e che per loro è irraggiungibile. Tutti, compreso Giovanni, usciranno da questa esperienza rinnovati e il guru capirà di avere ancora molto da apprendere, perché i sogni non si realizzano seguendo le leggi del profitto bensì soltanto assecondando la propria intima natura. Quel che realmente ci motiva non è il successo fine a se stesso ma la bellezza del momento creativo che va assaporato e vissuto pienamente. I personaggi sono poco naturali, quasi artefatti, perché si muovono in un territorio inesplorato e artificioso. Indossano una maschera, fingendo con se stessi e ispirandosi a modelli precisi e inesistenti. Ognuno di loro non riesce a essere autentico e sincero con se stesso fino a quando una carezza, un bacio o lo sguardo di approvazione di un familiare non riporta i personaggi nel loro ambiente dove ritrovano semplicità e amore, giacché nel luogo del cuore tutto è possibile anche il vero successo che scaturisce da una sana passione. Con Le leggi del desiderio Muccino trasforma una buona idea in un discreto prodotto ma il film – sebbene sia più maturo del precedente e il suo personaggio un po’ più adulto – non decolla mai, quindi non ci appassiona perché manca di brio e naturalezza.
Maria Ianniciello