Che cosa significa saper dire di No a certe dinamiche? È uno degli interrogativi che ci presenta, con delicatezza e al contempo senza mezzi termini, Le ultime cose, il film di Irene Dionisio. Siamo a Torino, al banco dei pegni; sotto gli occhi dello spettatore di turno scorrono le vite di uomini e donne che devono fare i conti con la crisi. In particolare, conosciamo e partecipiamo a tre storie che s’intrecciano sottilmente, anche inconsapevolmente, sotto l’egida del debito morale e non solo meramente materiale. Il banco dei pegni è un luogo che non fa semplicemente da sfondo alle vicende, ma è co-protagonista insieme ai personaggi. Parallelamente, idealmente, assurge all’idea di non-luogo nell’accezione di straniamento e spersonalizzazione umana, diventando nella struttura e nello sviluppo narrativo il perno centrale di tutto. La giovane Irene Dionisio (classe 1986), formatasi alla scuola di Daniele Segre e Marco Bellocchio, forte del suo background da documentarista, punta l’occhio di bue su una situazione e su un ambiente poco frequentato dal nostro cinema per affrontare, da un’altra prospettiva, le conseguenze della crisi economica e non solo. «Le ultime cose nasce dall’esigenza di raccontare in maniera “laterale” la crisi: dal punto di vista non soltanto di chi la subisce, ma di chi la infligge attraverso un sistema legalizzato. Il banco dei pegni racconta in un solo luogo, attraverso il percorso degli oggetti e una moltitudine di storie, le dinamiche del capitalismo di oggi, di una società fondata sullo scontro nuovo ed epocale tra debitore e creditore. Il banco dei pegni è il luogo in cui questo scontro si “materializza”», si legge nelle note di regia. Così se, per esempio, La Grande Scommessa di Adam McKay faceva vedere cosa ci fosse dietro la crisi del 2008, chi sapeva e chi aveva intuito come sarebbero andate le cose, la Dionisio in questo film punta il suo sguardo sugli ultimi, rappresentati nello specifico da Sandra (Christina Rosamilia), giovane trans, da Stefano (un Fabrizio Falco espressivo anche nei silenzi), nuovo perito alle prime armi coi retroscena del banco e, infine, da Michele (Alfonso Santagata), pensionato che deve fare i conti col peso del debito.
Le ultime cose è, però, un racconto corale, nel quale si sommano altri volti e racconti tra cui quello di Anna (Anna Ferruzzo) e Angelo (Salvatore Cantalupo). A gestire quel luogo da cui dipendono tante vite c’è su tutti Sergio (un inappuntabile Roberto De Francesco), pronto a muovere le fila di ciò che si dà in pegno, a mandare avanti la baracca e istruire Stefano a compiere il suo ruolo, invogliandolo a indossare quasi una maschera, senza chiedersi perché quell’uomo o quella donna sono costretti a indebitarsi. «Noi non siamo i servizi sociali», si sottolinea a un tratto, ed effettivamente nel film emerge anche tutto l’individualismo e la difficoltà all’ascolto causati dalla crisi, non solo economica, ma di valori. Quant’è difficile attribuire un prezzo a beni che la gente non può più permettersi? Cosa si è disposti a fare pur di sopravvivere? E quanto l’orgoglio, anche con le persone che più ci amano, ci condiziona? La regista riesce a mostrare come il banco di pegni sia una rete potente e imponente, capace di denudare l’essere umano facendolo sentire e, ancor più, mostrandolo in tutta la propria fragilità. In alcuni momenti torna in mente Giulio (straordinariamente interpretato da Valerio Mastandrea) de “Gli equilibristi” di Ivano De Matteo; certo non è la stessa storia e soprattutto non è il contesto del banco dei pegni, però anche lì si percepiva come il cosiddetto sistema possa arrivare a far sentire un lusso la dignità umana.
La regista torinese (anche autrice della sceneggiatura) non ha paura di dire né di mostrare e anche per questa ragione, insieme a chi impegna qualcosa di proprio al banco, ci fa vedere gli speculatori-strozzini. Il titolo scelto, per l’esordio al lungometraggio, della Dionisio – Le ultime cose, appunto – parla da sé. A rinforzare questo concetto ci pensano pure inquadrature che trasmettono il vuoto e lo svuotamento e una fotografia (Caroline Champetier) che, nel connubio con le musiche (a cura di Matteo Marini, Gabriele Concas e Peter Anthony Truffa, alias Sweet Life Factory), comunica una sensazione di camera mortuaria, come se fosse un “funerale” ideale, ulteriore parabola della commedia umana di balzachiana memoria. Ci preme dire che ne Le ultime cose non c’è solo disincanto. Ai giovani e, in particolare, a uno è affidata una parte più idealistica, ma come si evolverà ve lo lasciamo scoprire. Che cosa resta se si sfiora un punto di non ritorno? È tutto riscattabile? Alla visione del film (forse) la risposta e a ognuno di noi la propria. Di seguito alcune immagini de Le ultime cose e il trailer del film.