Lydia Lunch a Roma con “A Fistful of Desert Blues”

L’estate del Roma Vintage 2014 propone lo show decadente e oscuro di Lydia Lunch, un’artista decisamente poco conosciuta dai giri mainstream della musica ma in realtà una vera e propria leggenda vivente, punto di riferimento e ispirazione principale di tante musiciste degli anni ’80 e ’90. Madre del movimento No Wave, un fenomeno nato alla fine dei ’70 a New York dopo la sbronza flower-power e incentrato essenzialmente su suoni nichilisti e spettrali, la Lunch è musicista, poetessa, sceneggiatrice, attrice, fotografa. Arriva sul palco della manifestazione romana per presentare “A Fistful of Desert Blues”, l’ultimo lavoro di studio con a fianco il chitarrista Cypress Grove (Tony Chmelik), già con il compianto Jeffrey Lee Pierce. La Lunch si presenta al microfono poco dopo le 23 del 3 agosto 2014. Ad accompagnarla, oltre a Chmelik, ci sono due quarti dei Gallon Drunk, ovvero Ian White alla batteria e James Johnston alla chitarra elettrica.

Le atmosfere sono subito dense e abrasive, la chitarra di Johnston domina su tutto il resto ma il cantato-recitato della Lunch è di gran classe e mestiere e ha carisma da vendere. Sfilano “Can’t Have You”, “Devil Winds”, “I’ll be Damned” in un continuo di blues acidi e caldi, i quattro sul palco si divertono, sbagliano gli attacchi, bevono, scherzano col pubblico ma poi ci danno dentro coi volumi. Lydia Lunch (al secolo Lydia Ann Koch), classe ’59, di Rochester nello Stato di New York, tiene la scena come una regina navigata, segnata immancabilmente dagli eccessi del passato che tuttavia non l’hanno spezzata. La band propone gran parte dell’ultimo album, uscito pochi mesi fa: “End of my Rope”, “Jericho”, “Summer of my Disconnect” mantengono alta la tensione della notte romana, che la chitarra di Johnston trasforma per lunghissimi minuti in minimali scorci londinesi degli anni ’80. Poi una piccola digressione nel passato e la Lunch intona “Trust the Witch”e “Baby faced Killer” prima di chiudere con “When You’re Better”e “TB Sheet”. Il tutto in poco più di un’ora di show davanti a un centinaio di spettatori, molti assai attempati, altri assai giovani. Uno spettacolo per pochissimi intimi, insomma. Ma d’altro canto, come dichiarò l’artista diversi anni fa, “voglio essere umiliata se qualcosa di quello che faccio dovesse diventare un successo commerciale”.

Paolo Gresta

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