Fuoco, fiamme e polvere in Mad Max: fury road. Le terre desolate in cui George Miller sprofonda, trent’anni dopo la trilogia con Mel Gibson, il suo nuovo cowboy cyberpunk, ruggiscono e feriscono più di mille lance acuminate. La trama e la recensione di Mad Max: fury road, al cinema dal 14 maggio.
L’asfalto fatto di polvere, le alture circondano i sentieri abbandonati, i motori tuonanti rombano e le cisterne blindate solcano le piste color ocra, il popolo assetato e vessato dal vecchio dittatore con la maschera dai denti aguzzi attende nell’ombra, un eroe senza passato scorta una pericolosa Valchiria con le sue ancelle. Totalitarismi repressi nel sangue, zone frontaliere in cui si uccide per una tanica di benzina o per una tinozza d’acqua, beni ormai al collasso nell’imprecisato futuro distopico creato dal veterano del post-apocalittico, mr. George Miller. Benvenuti nel mondo delirante e ipercinetico di Mad Max: Fury road, vero punto di non ritorno per l’action contemporaneo. Un capolavoro sferragliante e senza tregua che riscrive la storia del film d’azione. Ideale continuum della trilogia firmata da George Miller a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 – Interceptor (1979), Interceptor – Il guerriero della strada (1981), Mad max – Oltre la sfera del tuono (1985) – questo nuovo, folle e immenso progetto ha fatto gridare al miracolo gli spettatori del Festival di Cannes – in cui è stato presentato fuori concorso – meritandosi la standing ovation e i consensi unanimi del pubblico in visibilio. Le premesse altissime, prefigurate già dagli entusiasmanti trailer ufficiali, sono state mantenute, anzi, si è riusciti ad andare oltre, a sfondare la cosiddetta “sospensione dell’incredulità” che, il più delle volte, ci trattiene dall’elargire elogi a buon mercato o ci frena di fronte all’inverosimile “rumore visivo” di sottofondo prodotto da certo cinema videoclip; quello di Michael Bay, per esempio. Ma qui siamo su un altro pianeta, anzi, rimaniamo con i piedi ben piantati a terra, su un suolo rossastro illuminato a giorno anche quando è sera, poi veniamo sballottati in una corsa frenetica di automobili-relitti circondate da ossa e teschi, camion giganteschi con armi incorporate, moto-carcasse pilotate da indigeni bianchi che aspirano, schiantandosi in velocità, al paradiso germanico del Valhalla. Un ribollente e magmatico calderone di corpi arrostiti dal sole e dai lanciafiamme nemici, un crogiuolo esplosivo che sa di napalm e benzina, gomme bruciate e sangue. Un inferno che si consuma al ritmo di tamburi battenti e velocissimi accordi di Fender. In quest’apocalisse visiva e sonora, spazio fuori dal tempo storico e da qualsiasi coordinata geografica, viene al mondo (per la seconda volta) Max Rockatansky (Tom Hardy), ex ufficiale di polizia sconvolto dai trascorsi di un passato oscuro. Catturato dai seguaci di Immortan Joe, perfido capo tribù con ghigno meccanico e voce cavernosa, leader di una gang di ribelli che controlla lo smistamento dell’acqua e il carburante sottratto alla vicina Gastown, viene tenuto in vita per farne vera e propria “sacca di sangue” vivente. Sfuggito ai suoi persecutori incrocia Furiosa (Charlize Theron), guerriera con un braccio meccanico un tempo alleata di Immortan Joe e ora fuggitiva insieme alle donne-oggetto del capo sottratte alla sua ferocia. Ne è passata di acqua (e di benzina) sotto i ponti, dall’ultimo episodio del Mad Max interpretato da Mel Gibson. Era il 1985 e, dopo i primi due capitoli che hanno aperto la strada al road movie post (e pop) apocalittico, l’immaginario cinematico ricevette grande impulso dal millenarismo della vecchia saga, infarcito di rituali di strada, psicopatici di ogni tipo e fughe rocambolesche su Honda, Kawasaki e strambi veicoli corazzati. Oggi il reboot-sequel delle avventure del giustiziere su ruote amplifica ciò che si potrebbe definire esperienza sensoriale totalizzante in cui l’immagine sullo schermo non conosce sospensione, neanche quando si aprono improvvisi momenti introspettivi (la scena in cui compare il carillon, già presente in Mad Max – Oltre la sfera del tuono). Strepita, convulsa, come se volesse fuoriuscire dallo schermo, come scheggia impazzita di una lamiera accartocciata per poi continuare a vagare senza sosta. Lo stile del maestro Miller si basa sulla presenza accecante e prorompente di un’azione che non conosce limiti, sull’ “omnivedenza” di uno show che unisce le due anime della sua poetica registica: quella della violenza parossistica artigianale e digitale e l’altra, più virante verso i toni monumentali del western o delle mitologie epiche. Non trascurabile è l’apertura narrativa alla componente femminista, incarnata dall’indomita Furiosa e dalle sue vendicative seguaci, adepte di un culto della madre che rivive, in forme esoteriche e stregonesche, anche nell’ultimo film di Alex de la Iglesia Le streghe son tornate. Inserite in un preciso racconto-cornice al limite della stilizzazione coreografica, le sequenze velocissime costruiscono un fervido immaginario che influenzerà, ne siamo certi, tanto cinema a venire. Cinema di genere, ma soprattutto cinema di qualità, d’autore. Lunga vita a Mad Max, lunga vita a George Miller.
Voto: [usr 5]
Trailer
Vincenzo Palermo