Marco Travaglio sul palco del Teatro Carlo Gesualdo di Avellino è incontenibile. Durante il suo nuovo spettacolo teatrale “Slurp – Vent’anni di Lecchini, Lecconi & Leccalecca al servizio dei potenti che ci hanno rovinato” attacca intellettuali, opinionisti, politici, giornalisti con la sua satira sferzante, senza mezze misure, e lo fa con la regia di Valerio Binasco e con l’intelligenza di chi non si adatta al sistema e neanche accetta i lati oscuri di una categoria professionale che, per troppo tempo, è stata ed è al servizio dei potenti. Da Ferrara a Vespa, l’elenco dei giornalisti-lecchini è lungo e Travaglio lo compila partendo dagli anni Venti del Novecento (quando la propaganda fascista elogiava Benito Mussolini per le sue attività sportive, così come certa stampa e alcune trasmissioni della televisione pubblica oggi fanno con Matteo Renzi), attraversando il periodo della Prima Repubblica, gli anni Tangentopoli, il Berlusconismo, le brevi parentesi governative del centro-sinistra e arrivando ai governi delle larghe intese, stipulati dopo la caduta dell’esecutivo di Silvio Berlusconi nel 2011.
Un golpe bianco ha consentito a Monti, Letta e Renzi di governare, avverte Marco Travaglio, che non risparmia nessuno, neanche i presidenti della Repubblica, Giorgio Napolitano – definito «il sovrano che condizionava la vita politica» – e Sergio Mattarella, capo dello Stato che «non interviene mai». “Slurp – Vent’anni di Lecchini, Lecconi & Leccalecca al servizio dei potenti che ci hanno rovinato” è uno spettacolo ironico, divertente, ma non scontato. Il recital fa riflettere, senza tuttavia annoiare, e invita a vigilare sull’informazione italiana la quale, anziché garantire agli utenti un servizio eccellente, scrive articoli o manda in onda servizi celebrativi sul potente di turno per poi rimangiarsi quanto scritto oppure detto quando quest’ultimo passa all’opposizione o finisce in manette come accaduto negli anni di Tangentopoli.
Sul palco con Marco Travaglio il 19 e il 20 dicembre 2015 c’era l’attrice Giorgia Salari. Lo spettacolo, che ha aperto la rassegna del Teatro Civile, organizzata dal Teatro Carlo Gesualdo con il Teatro Pubblico Campano, è tratto dal libro omonimo del giornalista, uscito per Chiare Lettere e dedicato, scrive Travaglio, «a chi usa la lingua per parlare, per denunciare, per urlare, per fare pernacchie», perché – sosteneva Pulitzer – «una stampa cinica e mercenaria prima o poi creerà un pubblico ignobile». Il giornalista dovrebbe essere come un cane da guardia che vigila sulla democrazia per informare l’opinione pubblica e quindi i lettori/telespettatori. Ed è proprio in questa visione idealistica per l’Italia (e… forse non solo per il Bel Paese) il senso di un recital un po’ cinico ma non ipocrita e, quindi, necessario.