Maria Cristina Mastrangeli è da annoverare tra quegli artisti da riscoprire. La notorietà l’ha colpita nei gloriosi Anni ’80, quando era adolescente e l’offerta televisiva si incrementava grazie anche all’avvento della tv commerciale, poi ha iniziato a lavorare soprattutto in Francia, per cui non è conosciuta quanto meriterebbe nel Bel Paese.
Ha iniziato a sedici anni con la danza, faceva parte di una compagnia – “Crazy gang” – «che ha posto le premesse italiane del punk», il resto l’ha fatto la nascita di Canale5. «Fummo notati e così mi son ritrovata nella trasmissione Popcorn condotta da Claudio Cecchetto – ci racconta -. Si trattava di un programma musicale che andava in onda tutti i pomeriggi, perciò è stata una palestra, mi ha insegnato il rigore artistico, il rispetto del pubblico che ti guarda e anche a relativizzare la notorietà e a capire che se vieni riconosciuto per strada è perché stai lavorando».
Contrariamente a quanto accade oggi, tempo in cui si cerca sempre più la strada televisiva, Maria Cristina Mastrangeli decise di abbandonare quel mondo perché un po’ “intellettualina” (e lo dice con il sorriso, non con un atteggiamento snob-sprezzante), mossa, al contempo, dal desiderio di formarsi masticando la polvere del palcoscenico. Ed è così che dalle cantine romane, grazie a workshop su workshop, arriva alle tavole del Teatro Argentina di Roma. A sceglierla è Nikita Mikhalkov, tra i più autorevoli rappresentanti del panorama cinematografico russo. Quando parla di lui e di quella fase della vita, gli occhi le si illuminano, è merito di quella chiamata inaspettata se nel 1987 ebbe il ruolo della serva in Partitura incompiuta per pianola meccanica tratto da “Platonov” di Čechov con protagonista Marcello Mastroianni. Sin dai primi ricordi che riaffiorano emerge tutta l’umanità di un attore che ci ha lasciati troppo presto, ma che è stato molto generoso sia sul piano artistico che su quello umano, tanto più con chi ha avuto la fortuna di conoscerlo.
La nostra artista ci regala un aneddoto a riguardo: «Si era all’inizio della tournée in Francia. Dopo lo spettacolo lui cenava spesso con noi giovani anche perché era schivo verso le mondanità superflue. Una sera, dopo aver cenato insieme, Mastroianni ci chiede se vogliamo fare due passi verso la casa dove alloggiava. Durante il tragitto troviamo una macchina in panne con due ragazzi che la spingono in salita, Mastroianni immediatamente li soccorre.
Mentre noi stiamo per raggiungerlo, uno dei ragazzi gira la testa e vede Mastroianni che spinge accanto a lui! Lascia subito la presa e grida al suo amico «Mais c’est Mastroianni!», l’altro guarda e, per lo stupore, lascia anche lui la macchina. Mastroianni si ritrova da solo a tenere l’auto e dice: «Oui oui c’est moi, mais bon je ne tiens pas tout seul!». A parte la comicità della situazione, credo che l’aneddoto racconti la persona; in quell’anno di vicinanza regalato dalle lunghe prove e dalle tournée, non ho mai visto Marcello recitare il “personaggio Mastroianni”. Senza contare poi la lezione di recitazione incommensurabile che ci ha donato». Ecco i grandi artisti son capaci anche con piccoli gesti di trasmettere la loro profondità d’animo, incontrare chi gli è stato accanto ci permette di addentrarci in un mondo che spesso viene etichettato con lustrini e paielletes.
Ma ritorniamo al background artistico della Mastrangeli, romana di nascita, francese di adozione, ma soprattutto con una mente elastica e aperta alle nuove esperienze e a mettersi in gioco.
Dopo questa chance con l’interprete de “La dolce vita” e altre pièces come il “Galileo” di Brecht per la regia di Scaparro, negli Anni ’90 emigra in Francia per seguire il proprio compagno. Qui trova terreno fertile – merito anche delle sovvenzioni pubbliche – per dar vita a percorsi personali come regista-drammaturga.
Cavalcando, in particolare, la linea del teatro politico inteso come un rilanciare delle domande sociali senza la pretesa di dar risposte, nel corso degli anni, con la sua compagnia, “Octogone”, realizza diversi lavori sulla Shoah – tra questi citiamo “Le garçon de la photographie” – e sull’immigrazione – nel 2009 mettono in scena, infatti, un lavoro sui primi emigrati in Francia.
Questo percorso che sfocia in rappresentazioni teatrali, vede anche un apporto sul territorio, con una continua interazione con le associazioni locali e un’attenzione alla provincia. In quest’ottica si inserisce anche il Festival Biennale: “Les Théâtrales Charles Dullin”, diretto da Guillaume Hasson, in cui è consulente artistica dal 2004. Dal respiro internazionale, questa kermesse porta il meglio della drammaturgia contemporanea nella provincia francese, mettendo in atto un vero e proprio confronto con gli abitanti delle città in cui si svolge – un gruppo segue tutti gli spettacoli.
Nell’ultimo periodo ha scoperto un’altra attitudine, quella di traduttrice, grazie a Babel di Letizia Russo che le ha dato il là per contribuire, anche in tal senso, alla diffusione dei testi scenici italiani in Francia – ha appena finito di tradurre Vita di Angelo Longoni.
Se un po’ vi abbiamo incuriositi, sappiate che a febbraio 2015 potrete vederla al Théâtre de Belleville (Parigi) proprio con un testo dei nostri artisti più acuti e prolifici, Pier Paolo Pasolini, per la regia di Gerardo Maffei. Si tratta di Un pesciolino, un atto unico scritto nel ’57 per Adriana Asti, la quale, però, non lo recitò mai.
Maria Lucia Tangorra