La recensione del nuovo album dei Marilyn Manson The Pale Emperor.
Inutile fare premesse, perdersi in preamboli, girarci intorno, quando una cosa deve essere detta, si dice: questo disco è un capolavoro. Punto. Inchinatevi di fronte al Reverendo perché questo è un grande, grandissimo ritorno. A tre anni dall’ultimo album i Marilyn Manson, guidati dalla loro Antichrist Superstar, pubblicano il The Pale Emperor e lasciano tutti a bocca aperta.
Un lavoro di qualità, composto da dieci brani (più tre inseriti nell’edizione deluxe) profondi, convincenti, cupi come solo Manson sa essere. Nessun riempitivo, nessuna minestra riscaldata, neanche una “stonatura”. Il disco scorre via che è un piacere. Per cinquantadue minuti si entra in un’atmosfera fatta di alt metal, blues rock, gothic rock e, senza quasi rendersene conto, si arriva alla fine sperando che sia solo l’inizio.
Erano anni che i fan dei Marilyn Manson attendevano un prodotto così, e finalmente il gruppo di Brian Warner li accontenta pubblicando un nuovo album all’altezza dei più grandi, in cui si riascolta quei suoni e quello stile che tanto li avevano fatti amare negli anni Novanta. E diciamoci la verità, dopo anni di delusioni, ci voleva proprio. Nel 2012 Born Villain aveva fatto ben sperare. Tre anni dopo con The Pale Emperor è arrivata la conferma di un percorso artistico in lenta risalita che finalmente è arrivato in cima.
Non ci sono stravolgimenti, ma il rinnovamento operato dalla band è palese e visibile anche nei testi. Questi ultimi possono anzi rappresentare una sorta di novità. Manson è cresciuto, ha raggiunto una nuova maturità, come ha affermato lui stesso beve meno e conduce una vita più sana, e a 46 anni scrive parole forse meno provocatorie, ma più profonde, introspettive e, per quanto possibile, ancora più buie e malinconiche.
In questo ambito, l’Antichrist Superstar si è avvalso della preziosa collaborazione di Tyler Bates, celebre compositore di colonne sonore per televisione e cinema, il cui contributo risulta notevole.
Scendendo nel dettaglio dei singoli brani, il nuovo album di Marilyn Manson The Pale Emperor si apre con l’ottimo blues rock di Killing Strangers, in cui Manson rende note le sue intenzioni “We got guns, you better run, we’re killing strangers”. Deep Six è un rock più classico, ma è con Third Day of a Seven Day Binge che l’album sale a un livello superiore. Uscito come singolo lo scorso ottobre (e non è difficile capire perché) il pezzo è un blues enigmatico, adrenalico, in cui la voce e lo stile di Brian Warner raggiungono i livelli di un tempo. The Mephistopheles of Los Angeles non è da meno, mentre Slave only dream to be king e Cupid carries a gun sono due canzoni potentissime, modulate, quasi irresistibili. Quando però si arriva a Odds of Even, si capisce di non aver ancora ascoltato il meglio. L’atmosfera diventa ancora più cupa, la voce sempre più profonda di Manson ci immerge in un universo quasi ossessivo e ci fa entrare nella “house of death, where even angels die in arms of demons”. Un pezzo praticamente perfetto.
Spesso, quando si scrive di cantanti o gruppi con alle spalle una carriera più che ventennale, si tende a pensare che il meglio sia già stato ascoltato, che le meraviglie degli esordi, i dischi che ci hanno conquistato non torneranno più. Si continua a sentirli perché è la musica che amiamo e che abbiamo amato, perché quei suoni comunque qua e là riemergo, anche se non con la stessa potenza di un tempo. The Pale Emperor è al contrario uno dei migliori album registrati dalla band di Warner, un lavoro in grado di rivaleggiare con Antichrist Superstar e Mechanical Animals. Un risultato del genere stupisce ancor di più se si riflette sugli anni trascorsi e sulle delusioni che i fan hanno dovuto digerire in passato. A questo punto non resta che aggiungere una sola parola: chapeau!
Vittoria Patanè