“Pareidolìa” è il decimo album di Marina Rei, uscito nei negozi lo scorso 30 settembre. Va detto subito: è un disco splendido, un lavoro attento ed estremamente curato che sviluppa al meglio la creatività di un’artista che, a 45 anni, si esprime forse al massimo delle sue potenzialità. Affiancata da Giulio Ragno Favero (One Dimensional Man, Teatro degli Orrori) qui nelle vesti di produttore, Marina scrive 10 canzoni eccellenti e riarrangia “Annarella” dei CCCP in una veste struggente, con la delicatezza con cui di solito si stringe un prezioso oggetto di cristallo tra le mani. Disco multiforme che ospita un enorme numero di argomenti, la chiave di “Pareidolìa” sta esattamente nel suo significato, cioè “l’elaborazione fantastica di percezioni reali incomplete […] che porta a immagini illusorie dotate di una nitidezza materiale”. Guardare una nuvola e vederci un volto, ad esempio. Ascoltare questo disco regala una deriva sensoriale ricca e sorprendente. Abbiamo chiesto a Marina di parlarcene.
Marina, hai scritto un disco bellissimo, onesto e sincero. Complimenti. Raccontaci dell’idea alla base di questo tuo nuovo lavoro.
Non c’è stata nessuna idea in particolare. Semplicemente con Giulio ci siamo conosciuti, abbiamo suonato insieme, siamo andati l’uno ai concerti dell’altra ed era molto ansioso di fare un disco con me. Quindi, abbiamo cominciato questo percorso insieme e credo che il risultato sia stato equilibrato. Nonostante ci sia il suo grande apporto musicale e di produzione, poi, si può comunque dire che questo è un disco di Marina Rei.
In “Pareidolìa” c’è un po’ di tutto: molto rock, pop, ma anche dance e hip hop. C’era alla base la volontà di sperimentare? E su quale pezzo (se ce n’è stato uno) ti sei trovata più in difficoltà nella stesura finale?
Sono canzoni venute fuori molto naturalmente, a parte “Pareidolìa” che è un pezzo a sé con un arrangiamento molto rock ed elettronico sul quale Zona Mc, che io considero eccezionale, ci fa su un rap. Ma non è nato come un pezzo hip-hop. Per gli altri brani, alcuni escono dalla mia scrittura al piano e alla chitarra e col lavoro successivo di Giulio, altre cose invece sono partite da idee sue sulle quali poi ho lavorato io. Per quanto riguarda le difficoltà, a livello di scrittura non ne ho avute. Solo su “Avessi Artigli” ho dovuto studiare un po’ di più per registrare la batteria, perché erano parti più complicate. Per più di un anno abbiamo lavorato davvero duramente e scegliere i brani da inserire nel disco non è stato facile.
Parlaci della collaborazione con Giulio Ragno Favero nelle vesti di produttore. Siete due personalità apparentemente molto lontane, eppure nel disco sembrate estremamente affiatati.
In realtà abbiamo molte più affinità di quanto la gente possa immaginare! E’ vero che lui ha un background particolarmente rock col Teatro degli Orrori, però come attitudine siamo molto simili. Tant’è che quando lui mi ha vista nei concerti, mi ha detto “tu devi fare assolutamente un disco rock, perché tu sei così!”. Ci siamo trovati in maniera molto fluida e così abbiamo fatto il disco.
C’è una grande attenzione per i suoni, gli arrangiamenti sono splendidi, tutto l’album è estremamente curato. Allora ci siamo chiesti: questa ragazza che altro vuole dimostrare?
Innanzitutto grazie per la “ragazza”! (ride, ndr). Questo disco effettivamente ha tanto, dentro. E’ un album su cui abbiamo lavorato duramente dando molto di noi stessi e un risultato così non esce fuori spesso, nella tua vita. Potrebbe essere il tassello che chiude il cerchio come potrebbe diventare un nuovo inizio, questo non lo so.
Rispetto a “La Conseguenza Naturale dell’Errore” del 2012, che vantava numerose collaborazioni (tra gli altri, Paolo Benvegnù, Cristina Donà, Max Gazzè, Ennio Morricone, Riccardo Sinigallia), qui hai scelto una specie di “solitudine” artistica. Come mai?
C’è stata solo una collaborazione di scrittura con Andrea Appino degli Zen Circus su “Avessi Artigli” e con Pierpaolo Capovilla (voce del Teatro degli Orrori, ndr) su “Sole”, anche se il pezzo era quasi terminato. Il disco precedente era stato proprio improntato sulla scrittura creativa insieme ad altri artisti, mentre qui ci sono stati solo dei contributi. Devo dire che, assieme a Giulio, è stato un anno di scrittura e di lavoro molto faticoso.
Perché la scelta di “Annarella” dei CCCP in chiusura di disco?
“Annarella” è una canzone che, con grande rispetto e grande coraggio, normalmente canto dal vivo. E’ stata la mia band che mi ha convinto a cantarla davanti al pubblico e per fortuna è piaciuta tantissimo. Giulio l’ha sentita e mi ha detto “tu la devi mettere nel disco!”. Abbiamo parecchio discusso su questa cosa. Soprattutto, ripeto, per il rispetto che si deve sia alla canzone sia al gruppo. Avevo molto timore nel farlo, però alla fine credo che ci stia bene.
La Marina Rei del 2014 come la descriveresti, in una parola?
Oddio, non ne ho idea! (ride, ndr). Sicuramente grande. Diciamo solo che sono cresciuta.
Paolo Gresta