Recensione – Ci sono cinquantenni e cinquantenni. Così come esistono musicisti e musicisti. Ci sono gruppi che non stringono accordi commerciali con gigantesche aziende tecnologiche e altri che, in cambio di un compenso milionario, “regalano” un disco nuovo di zecca, salvo poi scoprire la mediocrità di quel materiale. Mark Lanegan compirà 50 anni il prossimo 25 novembre. Circa un mese dopo aver pubblicato “Phantom Radio”, questo suo nuovo lavoro discografico uscito il 21 ottobre. La storica voce degli Screaming Trees non ha niente a che sparire con una delle due categorie di artisti descritte poco fa. Uomo da sempre perseguitato dai suoi demoni, dotato di un’ugola unica al mondo, Lanegan è uno di quelli “affidabili”, che non ti ritrovi a tradimento nella libreria di iTunes da un giorno all’altro. Come la sua musica e la sua arte, questa leggenda del rock entra in punta di piedi nel nostro sentire, senza imporre niente a nessuno. E sottopelle, i dieci nuovi pezzi che compongono “Phantom Radio” rilasciano una sostanza impossibile da codificare ma con un’efficacia del 100 per cento. Al decimo ascolto del disco, in realtà sembra passato un attimo. Il timbro avvolgente di Mark penetra morbido in testa, con una classe debordante e uno stile compositivo eccelso. Non sono dei capolavori, i brani del successore di “Blues Funeral” del 2012, ma dieci buonissime canzoni con alcuni episodi di livello superiore. E’ il complesso del lavoro, a fare la differenza. Organico, coerente, scandito come l’intreccio di un ottimo libro che si fa leggere tutto d’un fiato. E` soprattutto per questo che non si fa alcuna fatica ad ascoltarlo di continuo: tutto è legato assieme dal preciso intento di raccontare qualcosa, di parlare al proprio pubblico, ancora. E di farlo nel modo più semplice possibile, con la sua evocativa voce gutturale e scura e con una chitarra acustica. I due strumenti predominanti di questo album, di cui ne sono anche i valori aggiunti. Certo poi ci sono drum machine, sintetizzatori, cori, chitarre dal riverbero meraviglioso, organi funerei.
L’attitudine, però, e la volontà di scrivere ancora qualcosa di onesto e di diretto, per un artista come Lanegan e la sua band, fa di nuovo la differenza. “Floor of the Ocean” e “Harvest Home” sono i due pezzi che hanno anticipato il disco, entrambi splendidi, molto accessibili, eppure di sottile complessità. Due sono anche gli episodi imperdibili che fanno guadagnare a “Phantom Radio” almeno un punto in più. “I am the Wolf” gira intorno a un arpeggio ipnotico di chitarra acustica, che tessuta assieme alla voce di Lanegan diventa una trappola diabolica e richiama i suoi vecchi lavori in coppia con Isobel Campbell. Una traccia di grande purezza ed efficacissimo veleno. Poi c’è “Judgement Time”, sorta di acida preghiera con una ossessiva tastiera liturgica in sottofondo, sulla quale Mark canta: “Ho visto i piedi dei pellegrini sanguinare / Ho visto intere città
affondare e interi eserciti morire / il momento del giudizio è vicino”. Impossibile non credere a ogni sua parola e al fatto che lui abbia davvero visto tutto questo. Perché al cinquantenne Mark Lanegan non interessa fare soldi raccontando menzogne alla gente. Lui, qualcosa da dire, ce l’ha sempre avuta.
Paolo Gresta