Atmosfere dark, velate d’inquietudine, accese da alterazioni elettriche e impreziosite da una smisurata raffinatezza. E’ il dub psichedelico dei Massive Attack, una delle band inglesi più importanti e influenti del panorama musicale degli anni Novanta. Le trame cupe ma squisite ricamate dal cantato e dalle sonorità offerte del duo di Bristol, hanno regalato una performance live di rara intensità emotiva. Energia misteriosa, quella sprigionata da Robert Del Naja e Grant Marshall, artisti molto diversi tra loro ma uniti da lucidità, capacità di analisi e talento unici. Sono pochi i musicisti che, attraverso la propria arte, sono in grado di scavare nell’anima, immergersi nella profondità del vissuto e raccontare i meandri più sinistri del cervello umano. Giusto una manciata di grandi nomi di cui fanno rigorosamente parte i Massive Attack.
Eppure ieri sera ci saremmo aspettati qualcosa in più da “3D” e soci. Il concerto andato in scena all’Ippodromo del Galoppo di Milano, in occasione del City Sound Festival, non ha infatti offerto colpi di genio e grandi momenti di esaltazione collettiva. Pubblico abbastanza fermo, quasi immobile, di fronte a una band che si è limitata a svolgere “il compitino”. Dialogo ridotto all’osso, scaletta corta con alternanza di brani più o meno famosi (peccato non aver potuto ascoltare successi quali “Karmacoma” e “Butterfly Caught”). Scenografia essenziale, con poche tiepide sorprese tecnologiche.
Partenza alle 22, con il buio (e le zanzare) a circondare le migliaia di persone presenti. “Battlebox” apre le danze, miscelando elettronica e sonorità tetre, impreziosita dalla splendida voce di Martina Topley-Bird immersa in una nube celeste. I padri del trip-hop ipnotizzano con “Risingsong”, pezzo incalzante datato 1997, primo singolo estratto dal fortunatissimo album “Mezzanine”. Il live prosegue con “Paradise Circus”, più delicata, dolce e sofisticata delle canzoni precedenti, fino a incantare con “United Snakes”, brano strumentale tratto da “Heligoland” quinto lavoro in studio della band. Un pezzo dalle sonorità più tenebrose e sporche, a cui fa seguito “Psyche”, che Martina canta come fosse una nenia per rapire i sogni di chi la ascolta e impossessarsi delle loro anime.
Tocca a “Future Proof” svegliare il pubblico dallo stato di narcolessia in cui è caduto. Una delle canzoni più riuscite di 3D e Daddy G, inserita in “100th Window”, bellissimo e tortuoso album del 2003 con il quale i Massive Attack hanno cambiato il modo di scrivere e di miscelare ritmi e generi diversi. Dopo “Girl I Love You”, che narra una storia d’amore e di tormento con una fanciulla difficile e sfuggevole, ecco la tanto attesa “Teardrop”, pezzo culto degli anni Novanta, qui in una versione live da brividi. Un’esplosione di sensazioni contrastanti, da vivere e assaporare a occhi chiusi, nuotando nei ricordi e nell’oblio d’immagini che la mente partorisce.
Non poteva mancare “Angel”, pezzo electro-rock in cui le chitarre prendono il sopravvento sul finale, catapultandoci alle migliori produzioni dei primi Cure. “Jupiter” è un altro figlio di Robert Del Naja, come la meno recente “Safe from harm”, brano che ha segnato il debutto della band, con basso, chitarra e batteria “rubate” a “Stratus” di Billy Cobham (celebre jazzista panamense degli anni Settanta). Altro tuffo nell’elettronica più feroce con “Inertia Creeps”, sei minuti di viaggio nelle viscere dell’inquietudine, tra salti nel vuoto e immersioni nella palude delle fobie più profonde. Colpiscono le frasi che si susseguono sullo schermo, parole che come titoli di coda scorrono alle spalle degli artisti, vere e proprie provocazioni e perle di gossip esclusivamente made in Italy, che toccano a 360 gradi politica, attualità, spettacolo, sport, economia. Non mancano, infatti, riflessioni e battute sulla nostra Nazionale di calcio che tanto ha deluso agli ultimi Mondiali in Brasile, ma anche su Silvio Berlusconi (e la sua costante presenza), sul recente matrimonio di Eros Ramazzotti, sul difficile momento di crisi mondiale che colpisce diversi settori, tra cui la musica e la cultura in generale. Finale tutto da ballare con “Unfinished Symphaty”, altro brano simbolo dei Massive Attack: “Come un’anima senza la ragione, e un corpo senza un cuore, mi manca ogni parte di te”, recita il testo. E poi “Atlas Air” e “Splitting the Atom”, due pezzi vestiti con abiti nuovi, moderni, futuristici, ma che non tradiscono l’intensità caotica e la cruda verità dell’old sound di una band che ha nel proprio DNA la capacità e il coraggio di azzardare e di andare sempre oltre la siepe dell’ovvio e della convenzionalità che delimita il parco artistico odierno.
Silvia Marchetti