Abbiamo partecipato in questi giorni, come cittadini e giornalisti, a uno degli eventi più importanti della storia repubblicana, cioè alle elezioni del dodicesimo presidente della Repubblica Italiana. Il successore di Giorgio Napolitano, che è stato il primo presidente a essere eletto per due mandati, è Sergio Mattarella. Il nuovo capo dello Stato questa mattina ha giurato in Parlamento, interrotto più volte dagli applausi dei parlamentari.
Il discorso del neoeletto presidente è stato alquanto moderato, come prevediamo possa essere il suo settennato. Mattarella ha parlato delle numerose donne in Parlamento e dei giovani deputati, «risultato prezioso che troppe volte la politica stessa», ha detto, «finisce per oscurare dietro alle polemiche». «La politica è un bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti», ha continuato Mattarella aggiungendo che la democrazia non è una conquista definitiva. Il nuovo presidente della Repubblica, che ha accennato anche alle nuove riforme, ha affermato che è prioritario rafforzare la corretta dialettica parlamentare. Non si è dimenticato della necessità di varare una nuova legge elettorale, definendosi arbitro imparziale. «I giocatori lo aiutino con la loro correttezza», ha precisato. «Il presidente della repubblica è il garante della Costituzione», affinché siano tutelati i diritti di tutti, in particolare dei giovani, dei lavoratori, dei ricercatori, dei disabili, dei giornalisti. Ha poi fatto riferimento alla pace, ai malati, ai beni culturali e addirittura alla Resistenza per non dimenticare, ha continuato, «il sacrificio di quelle persone che settant’anni fa liberarono l’Italia dal Nazifascismo». Sergio Mattarella ha poi fatto riferimento alla lotta alla Mafia, senza dimenticare di citare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino né il messaggio inviatogli da Papa Francesco. Poi, il neo capo dello Stato Mattarella ha parlato del terrorismo. «La pratica della violenza in nome della religione va condannata», ha dichiarato aggiungendo che «la comunità internazionale deve mettere in campo tutte le sue risorse per lottare contro il terrorismo». L’Europa del diritto e della democrazia, secondo Sergio Mattarella, «è una speranza per l’Italia».
Un discorso, dunque, che ha tenuto conto di tutte le problematiche sociali, ma qual è esattamente il ruolo del capo dello Stato? Ne abbiamo parlato con Carlo Fusaro, professore ordinario di Diritto elettorale, parlamentare dal 1999 e autore di diversi libri tra cui “Il Presidente della Repubblica” (Il Mulino, 2003).
«In generale il presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale. Così recita il comma 1 dell’articolo 87 della Costituzione: “Rappresenta”: non promuove, tutela, garantisce, assicura… Rappresenta, simboleggia (qualcosa che esiste…, se e finché esiste!)”. Per il resto è titolare di una serie di poteri che si traducono in atti che – a pena di validità – devono essere tutti, nessuno escluso, controfirmati da un ministro. La Costituzione dice: “Dal ministro proponente”. Ciò indica senza equivoco che, secondo i costituenti, si trattava di poteri del governo adottati con la forma del decreto del presidente della Repubblica, in quanto vertice (formale) dello Stato. Tutto il resto è prassi… tutto il resto sono ricostruzioni dottrinali. Anche se la Corte costituzionale stessa in una famosa sentenza ha assecondato la curiosa interpretazione secondo la quale la parola “proponenti” sarebbe stata una sorta di refuso, dovendosi leggere invece “competenti”. Di qui la dottrina sui poteri formalmente, sostanzialmente presidenziali o misti che è però pura invenzione», ci spiega Fusaro.
Qual è il ruolo del presidente della Repubblica oggi e com’è cambiato nel corso degli anni?
I presidenti ben presto hanno cominciato – come dire – “ad allargarsi”: ma ci sono stati presidenti e presidenti. Sia per ragioni idiosincratiche (legate alla singola personalità) sia per ragioni di politica istituzionale, cioè derivante dal contesto. Anche nelle monarchie (come il Belgio in tempi attuali) il capo dello Stato è chiamato a esercitare un ruolo un po’ più incisivo in corrispondenza inversa con la capacità del sistema politico di interpretare virtuosamente e attivamente la costituzione. In termini più espliciti: se le coalizioni non reggono, se i partiti non sono in grado di esprimere in Parlamento maggioranze coese, sufficientemente omogenee e durature, ecco che il sistema chiede di più ai capi di Stato. Ci sono eccezioni, una è la Svezia, dove anche l’indicazione del primo ministro è non del capo dello Stato (il re) ma del presidente della Camera. In Italia le circostanze hanno portato diversi presidenti a un interventismo che non era nella mente della grande parte dei costituenti (di alcuni sì). Un autentico interventista fu Gronchi: ma allora il sistema dei partiti teneva e fu stoppato. Poi si ebbero presidenti come Segni, Saragat, Leone sostanzialmente garanti degli equilibri partitici in voga. Il primo presidente mediatico fu Pertini, i cui interventi non furono nella sostanza invasivi ma furono evidenti e soprattutto tali apparvero allora: ma si era già nella grande crisi della fine anni Settanta dopo il delitto Moro. Cossiga partì prudentissimo e discretissimo e finì addirittura stimolatore di riforme radicali dell’ordinamento. Le sue intenzioni erano buone ma il modo di esprimersi e il contesto le equivocarono. Scalfaro si trovò a gestire la transizione e fece scelte che – nel rispetto della Costituzione – ne dettero però un’interpretazione che guardava all’indietro e non avanti. Ciampi fu un presidente di grande equilibrio e saggezza, intervenne poco, respinse il tentativo di trasformarlo in una specie di ombudsman anti-Berlusconi ma fu comunque avvantaggiato dal fatto che il suo settennato per cinque anni vide una salda maggioranza (il centro destra dal 2001 al 2006). Di Napolitano non c’è bisogno di dire. Ha dovuto sobbarcarsi supplenze incisive, talora per scelta prevalentemente sua, nel 2013 per largamente maggioritaria invocazione parlamentare. Ha commesso errori, ma le intenzioni sono state sempre quelle giuste e gli ultimi due anni gli stanno dando ragione.
Rispetto a Giorgio Napolitano, che capo dello Stato potrebbe essere Mattarella?
Come personalità sono diversi assai, ma più che da loro – insisto – dipende dal contesto. Se la riforma elettorale (ma anche quella costituzionale) va in porto, Mattarella – com’è nelle sue corde, nella sua storia e nel suo stile, sarà quel presidente discreto, non interventista, garante nel senso stretto del termine che può e deve essere un presidente di una repubblica parlamentare che funzioni (come in Germania). Io spero che il sistema dei partiti non gli imponga di misurarsi con altre emergenze politico-istituzionali.
Fa sorridere che al colle un ex comunista lasci il posto a un ex democristiano…
Dopo un ex azionista, abbiamo avuto un ex comunista e infine un ex democristiano. Sono ex perché quei partiti non esistono più e alcuni da molti anni (PdA dal 1948, Pci dal 1989, Dc dal 1994): chi ha meno di 35 anni non li ha vissuti e conosciuti proprio. Altro discorso riguarda le culture politiche e le classi dirigenti. Quelle – e per fortuna, anche – non si cancellano. E’ solo naturale che gli uomini migliori delle classi dirigenti di poche decine di anni fa concorrano all’Italia di oggi: tanto più che la fase politica dagli anni Novanta in qua non ha prodotto – con alcune pregevoli eccezioni – gruppi dirigenti molto migliori rispetto a quelli del passato. Sotto questo aspetto – io la vedo così – l’elezione di un uomo che rappresenta al meglio la classe dirigente democristiana (che espresse uomini di grande valore e molti, come anche gli altri partiti: insieme a degenerazioni che tutti li coinvolse pur in misura differenziata) e che del resto non si ritirò alla fine di quella esperienza ma fu protagonista discreto anche della fase successiva (nei popolari, nel Pd sin dall’inizio) è cosa naturale: ed anzi andrebbe colta come occasione per fare una buona volta i conti con noi stessi e la nostra storia. Non sono stato mai democristiano, e anzi ho criticato e combattuto la Dc per tanti anni: ma quando sento persone che non sanno nulla della storia politica di questo Paese parlare letteralmente della Dc come di una specie di banda di ladri, m’indigno perché è una assoluta falsità. Da mai Dc, appunto, mi permetto di ricordare che buttare nel cestino tutta la classe dirigente italiana dal 1948 al 1994 è come buttare nel cestino tutto quello che siamo stati per non dire tutti i progressi eccezionali di un popolo intero che sarebbe l’ora smettesse di piangersi addosso o incolpare qualcun altro per affrontare con serietà e rigore i propri problemi. Nessuno in Europa si comporta come molti si comportano in Italia, a caccia di una tabula rasa dopo l’altra, quasi un’ansia continua di verginità che nasconde solo ignoranza e scarsa stima di se stessi. Io di un ex democristiano come Mattarella mi fido, eccome: e sono orgoglioso di averlo conosciuto e di aver lavorato, da posizioni di partito diverse, brevemente con lui, tanti anni fa.
Maria Ianniciello