Cinquecento opere e sette sezioni: report sulla mostra Egitto. Splendore millenario – Capolavori da Leiden a Bologna.
Si dice, o meglio, lo riporta il passo di un celebre epigramma, che l’Egitto sia uno dei doni più importanti del Nilo. Certamente, il fiume sulle cui acque ancora oggi si può cogliere il riflesso di riti ancestrali, mai scalfiti dal tempo, alimentò le popolazioni che vi crebbero intorno e presso le sue rive i faraoni, primi sovrani tra cielo e terra che la storia conobbe, plasmarono la civiltà. Fin dai resoconti di Erodoto (V secolo a.C.) e dei viaggiatori stranieri, come Ecateo di Mileto, l’antica civiltà egiziana ha esercitato sull’uomo un fascino inesauribile che dura fino ai giorni nostri.
È con la scrupolosa perizia scientifica che caratterizza i più eminenti studiosi e con la curiosità folcloristica della riscoperta di un mondo lontano ma anche così vicino a noi contemporanei che prende vita la mostra Egitto. Splendore millenario – Capolavori da Leiden a Bologna, un percorso tra i millenni che va dall’Età predinastica al lento declino iniziato con la conquista di Alessandro Magno e terminato con la dominazione araba del VI secolo d.C.
La mostra accoglie parte della prestigiosa collezione proveniente da Leiden – stimata in 500 reperti – e si unisce a quella bolognese che brilla per numero e per l’eccellente metodologia di conservazione di oggetti e manufatti.
Sotto le due torri si respira dunque una ventata “fresca” d’antico, nell’ottica di una valorizzazione sia scientifica che dal forte impatto visivo, capace di coinvolgere eruditi, appassionati e neofiti. L’ingresso è un vero e proprio ritorno alle origini scandito dalle decorazioni vegetali, animali e umane di oggetti – come il vaso risalente al periodo “Naqada IID” – che ancora oggi rappresentano il vivo tramite attraverso cui percepire e studiare la cultura di un popolo il cui immaginario è parte integrante della nostra storia occidentale.
Dalla bellezza di un mondo incontaminato donato dal Nilo al popolo delle stelle, il visitatore è introdotto in un percorso in cui monili, lucenti ori e stele funerarie, raccontano misteri e quotidianità di una civiltà millenaria. Dalla maestosità delle piramidi, che si elevano verso il cielo, si scende a piccoli e preziosi arredi che, pur nella loro semplicità, rimandano a immagini consuete di vita colta nella sua normalità. Il supporto per un grande specchio di metallo lavorato finemente in legno e avorio, ad esempio, ci riconduce alla vanitas di signore di alto rango sociale o semplicemente facoltose; l’intaglio a forma di fanciulla con in mano un piccolo uccello rappresenta forse l’augurio migliore che potessero farsi le donne abbienti durante la loro toeletta: rimanere per sempre giovani.
L’itinerario della mostra, articolato in sette sezioni distinte, diventa così l’occasione unica per ammirare uno dei più nutriti e importanti nuclei dell’antica Menfi rappresentati dalle due collezioni, bolognese e olandese, provenienti dalla necropoli di Saqqara. Qui campeggia il monumentale gruppo statuario di Maya e Meryt ascrivibile al regno di Tutankhamon, che lascia per la prima volta il museo di Leiden dal lontano 1828, anno in cui vi giunse con le collezioni di Giovanni D’Anastasi. Testimoni dell’assoluta grandezza artistica riconducibile alla fine della XVIII dinastia, le figure a grandezza naturale del sovrintendente al tesoro reale di Tutankhamon e di sua moglie, la “cantrice di Amon”, si ergono in tutta la loro magnificenza nella sezione museale dedicata al sito archeologico di Saqqara. Sempre nella stessa sezione della mostra, a duecento anni dalla scoperta della tomba del comandante e principe ereditario di Tutankhamon, Horemheb, per la prima volta i rilievi dell’alto funzionario sono qui raccolti per far risplendere le vicende del Nuovo Regno, periodo di massima espansione dell’antico Egitto.
In questa epoca illuminata i grandi faraoni che dominarono terre e cieli, da semplici nomi diventano identità reificate nei loro carri, nelle loro armi, negli scettri del potere e negli oggetti personali giunti fino a noi, simbolo di gloria immortale e dominio. Testimoni dei fasti raggiunti con la politica espansionistica dei sovrani del Nuovo Regno sono anche i giochi da tavola, i lussuosi gioielli, gli arredi eleganti e i raffinati rilievi che compongono un mosaico della vita di tutti i giorni. Chiude il percorso espositivo l’area tematica dedicata all’Egitto del primo Millennio. Tra le opere che si possono visitare sono di grande rilevanza i corredi funerari di sacerdoti come il sarcofago di Peftjauneith che raffigura il Dio Osiride nella sua veste abituale, avvolto nelle bende e col volto verde, colore simbolo di rinascita.
Risplende, nelle sale di quest’ultima tappa, la devozione pia riservata al defunto e la capacità, per mezzo dell’artificio umano, di rendere concreto il simbolismo ineffabile del divino. Oltre ad essere uno degli appuntamenti imprescindibili nel variegato panorama internazionale artistico la mostra Egitto. Splendore millenario è l’occasione per visitare il Museo Civico Archeologico di Bologna nella sua veste rinnovata, con una nuova sala che si estende oltre i 1000 metri quadri, la pavimentazione nella Sala del Risorgimento e la fontana della corte interna completamente ristrutturate.
La città rivive l’antico fulgore di una civiltà immortale grazie all’unione di due tra le più imponenti e preziose collezioni a cui si aggiungono fondamentali prestiti dal Museo egizio di Torino e da quello di Firenze. Un’occasione unica e irripetibile per approfondire e valutare, con criteri scientifici, antropologici ed etnografici, un patrimonio che, sotto la patina dei secoli, vive e trasmette tuttora il fascino di un territorio magico e misterico, di faraoni e piramidi, professionisti della guerra e alti dignitari, sacerdoti e guerrieri sacri, ma anche di uomini comuni in cerca dei propri dei.
Voto: [usr 4]
Dove? Al Museo Civico Archeologico di Bologna
Quando? Dal 16 ottobre al 17 luglio 2016
Per info? www.mostraegitto.it
Si ringrazia l’Ufficio Stampa della mostra nelle persone di Barbara Notaro Dietrich, Adele della Sala, Anastasia Marsella e Salvatore Macaluso.
Foto di copertina: Stele di Aku XII-XIII dinastia (1976 –1648 a.C.) – Calcare con tracce di policromiaAbido. Collezione Palagi, già Nizzoli Museo Civico Archeologico, Bologna, inv. EG 1911 – Altezza: 64cm, larghezza: 41,5cm, spessore: 10cm – Aku, ‘maggiordomo della divina offerta’, è il dedicante di questa stele a Min-Hor-nekhet, la forma del dio itifallico Min adorata ad Abido. La preghiera che Aku rivolge al dio ci racconta di una esistenza ultraterrena in un mondo concepito come tripartito: in cielo dove il defunto si trasfigura in stella, in terra dove la sepoltura è luogo fondamentale del passaggio dalla vita alla morte e in oltretomba dove il defunto è giustificato da Osiride ad una vita eterna.