Natalia Titova è stata una delle ballerine di punta del famoso programma di Rai Uno “Ballando con le stelle” per ben dieci edizioni, quest’anno è approdata, come professoressa di danza, nel programma “punta di diamante” di Mediaset, “Amici”, il suo rigore e la sua tenacia nell’insegnamento dei balli latino americani sono, ormai, proverbiali. La vediamo sempre impeccabile, bellissima e intenta a motivare i suoi allievi. Il suo stile elegante e aggraziato non passa inosservato, così come la tecnica perfetta; Milly Carlucci, che di arte e ballo se ne intende, notò subito, fin dal primo incontro, il talento insuperabile di Natalia e, riuscì, nonostante i dubbi di quest’ultima, a trasformarla in una vera e propria stella della danza. Fin qui potrebbe sembrare la storia di una giovane ragazza nata e cresciuta in Unione Sovietica che, per un colpo di fortuna, si ritrova catapultata nel mondo dello spettacolo. Una fiaba dal lieto fine quasi scontato. Come spesso accade nella vita, però, la sorte non ha che un ruolo da comparsa; certo, il fatto di trovarsi al posto giusto al momento giusto, conta, ma potrebbe non essere determinante e la ballerina ce lo racconta nel bel libro “Puoi volare anche se non hai le ali” (Sperling & Kupfer, 2010), racconto autobiografico di grande pathos. Anzi, se proprio vogliamo parlare di fortuna, potremmo dire che l’esistenza sfolgorante della Titova ha un inizio che non prometteva nulla di buono.
Nata a Mosca, il primo marzo del 1974, alla piccola Natalia venne diagnosticata, a sole due settimane di vita, una grave malattia che le aveva compromesso il ginocchio destro: l’osteomielite. I medici fecero di tutto per scongiurare l’amputazione e riuscirono nell’impresa, pur avvertendo la giovane madre di appena vent’anni, Tatiana, che sua figlia non avrebbe avuto un’esistenza normale. Pattinare, ballare, tutte azioni fuori discussione per una bambina affetta da una simile patologia. Il destino sembrava già scritto e i genitori di Natalia non potevano che prenderne atto. Il padre, Boris, militare addetto alla costruzione di aerei, non vide nascere Natalia, poiché impegnato in una missione, ma divenne una delle persone più importanti per lei, l’uomo capace di spronarla, con bonaria severità, di invogliarla a forzare i limiti, facendo perno sull’ambizione, mentre Tatiana sulla voglia di fare e sulla vanità tutta femminile della figlia. Entrambi seppero tirare fuori tutta la creatività della ragazzina, facendole credere che avrebbe potuto “rompere gli schemi”, ovvero alleviare il più possibile la gravità dello svantaggio. Nel libro c’è una bellissima frase che riassume l’energia di questi due genitori eccezionali, detta proprio da Boris e che divenne, per Natalia, il fulcro attorno a cui far ruotare ogni suo sforzo, anche quelli che sembrano inutili, impossibili: “C’è una cosa che non devi mai dimenticare, Natalia: devi sempre dare il meglio di te. Sempre. Ogni giorno devi fare qualcosa meglio del precedente. Anche una cosa piccola, piccolissima, ma comunque qualcosa più di prima. E’ solo così che si migliora, dando ogni giorno un po’ di più”. Un insegnamento di vita, teso verso la determinazione più testarda, anzi, all’autodeterminazione; sì, perché in queste poche parole c’è un messaggio che quasi tutti, trasportati dalle gioie e dai dolori quotidiani, dimentichiamo: il destino dipende da noi. Ce lo costruiamo noi, giorno per giorno in base alle scelte che compiamo, a ciò che facciamo e a ciò che non facciamo.
Natalia Titova decise di tentare il tutto per tutto, non accontentarsi di quella che, a tutti gli effetti, era una sentenza già scritta e firmata. Imparò a non sovraccaricare con il suo peso la gamba, provò diversi sport che le consentissero di muoversi senza forzare il ginocchio, cosa piuttosto difficile; la giovane, però, resisteva, ce la metteva tutta, con le dovute accortezze. Non voleva deludere se stessa e i suoi genitori. Ogni giorno era, per lei, una nuova sfida da superare. Fu così che si accese, nel suo cuore, la passione per la danza. Le avevano detto che non avrebbe mai potuto allenarsi come le altre ragazze, ma Natalia non sentì ragioni. Faceva più fatica delle coetanee, ci metteva più tempo per imparare i passi e coordinare i movimenti della gamba, che le doleva sempre. Eppure, dopo anni di fatiche, riuscì in quella che sembrava una battaglia persa in partenza. Il dolore, come spiega nel libro, l’accompagna ancora oggi, nelle gare e fuori; ha imparato a conviverci grazie alla resilienza che parte direttamente dalla forza interiore. Non è stato facile e tuttora non lo è, ma il senso dell’autobiografia e della stessa vita di Natalia Titova è proprio questo: crederci soprattutto quando sembra impossibile, perché ogni persona possiede un’energia insospettabile, che viene fuori nei momenti in cui è in gioco la sopravvivenza e, quindi, il futuro e la capacità di affrontarlo, di “respirarlo”. Possono sembrare parole dette e ridette, che sanno un po’ di “teoria da guru”, invece sono il racconto puro e semplice della voglia di vivere di una ragazza.
Se la malattia era un ostacolo insormontabile, almeno in apparenza, l’ambiente d’origine presentava pro e contro. A distanza di anni Natalia Titova vede con più obiettività l’influenza che ebbe nella sua vita il regime sovietico; spiega, nel libro, che lo Stato, in cambio di fedeltà assoluta, “donava” ai cittadini la possibilità di curare corpo e mente attraverso gare di tutti i tipi, che potessero tenerli impegnati. Uomini e donne costantemente presi dalle competizioni, dalla voglia di essere migliori, di vincere. Molti, tra cui Natalia, non percepivano il regime come tale, né sentivano la mancanza di libertà, poiché non potevano, come giustamente ci spiega la stessa ballerina, desiderare qualcosa che non avevano mai conosciuto. Il loro mondo, insomma, iniziava e finiva nei confini dell’URSS. Per noi che non abbiamo vissuto quella particolare epoca storica o l’abbiamo intravista solo attraverso giornali e televisione, questa opinione suona molto strana. Invece è del tutto normale: possiamo lamentare un’assenza o una mancanza perché siamo consapevoli del fatto che ha lasciato un vuoto, ovvero uno spazio dove prima c’era qualcosa. Se, però, non possediamo tale consapevolezza, se per diverse ragioni non sappiamo (e non ci fanno sapere) che quello spazio era occupato prima del nostro arrivo, non potremo far altro che vedere il nulla. Il lato positivo di tutto questo è la possibilità di forgiare il carattere, di agire con i pochi mezzi a disposizione: ciò che fece la Titova e con, in più, lo svantaggio fisico. La determinazione, la tigna con cui oggi impartisce lezioni agli allievi, la imparò così, anche perché il fallimento non era contemplato tra i cittadini sovietici e diveniva, anzi, motivo di pubblica vergogna. E qui iniziano i lati negativi: la stessa danzatrice sa bene che si può insegnare poco con lo spauracchio delle punizioni o le moderne forme di gogna e ricorda con tristezza le umiliazioni a cui la sottoponeva Elena, la sua insegnante di ballo: riuscì in poco tempo, con battute e modi pungenti e subdoli, a demolire completamente la sicurezza che Natalia aveva faticosamente costruito. Fu solo grazie al carattere tenace se la ragazza riuscì a porre un limite al timore che aveva di lei e alla smania di compiacere quella donna già interiormente molto infelice e ipercritica.
Superata quella fase, nelle successive esperienze di apprendimento, Natalia Titova scoprì donne molto più affabili e sicure e capì che tipo di danzatrice e insegnante, un giorno, sarebbe diventata. Non mancarono paure e delusioni, ma la voglia di ballare risultò, ogni volta, più forte, ossigeno senza il quale non si può vivere. Il resto è storia: il trasferimento in Italia nel 1998, la love story con il ballerino Simone Di Pasquale (anche lui nel cast fisso di “Ballando con le Stelle”) e, nel 2005, il debutto nella competizione di ballo condotta da Milly Carlucci. Seguono apparizioni televisive in programmi di successo, musical a teatro e perfino la partecipazione in un film, “Il ritmo della vita” (2010) per la regia di Rossella Izzo. Proprio durante la terza edizione del programma “Ballando con le stelle”, Natalia conobbe il campione di nuoto Massimiliano Rosolino, che le era stato assegnato come partner di ballo. I due si innamorarono ed ebbero due figlie, Sofia Nicole e Vittoria Sidney. La loro relazione dura ancora oggi, più salda che mai, ma Natalia ha voltato pagina per quel che concerne il lavoro: abbandonata la trasmissione che le ha permesso di farsi conoscere al pubblico italiano è, ora, maestra di danza nella grande scuola di Amici, condotto da Maria De Filippi. Per questa decisione Natalia è stata fortemente contestata da una parte del cast di Ballando, ma la realtà è che non possiamo giudicare scelte personali e artistiche, solo avere opinioni che non dovrebbero, comunque, trasformarsi in aspre polemiche. Natalia Titova ha scelto una nuova sfida e non c’è dubbio che sarà all’altezza. Ci ha insegnato che il talento è poca cosa se non c’è impegno costante, sforzo nel lungo termine, fallimento e delusioni. La Natura non l’aveva dotata di ali, così lei le ha costruite da sola e ha iniziato a volare. Quanti di noi, benché in possesso di tutti i requisiti, rinunciano (o magari nemmeno iniziano un percorso) per paura o per indolenza? Se, invece, imparassimo a fortificare le ali che abbiamo “in dotazione”? Natalia Titova lo fa tuttora e come lei tanti altri, nonostante le critiche e le cadute. Non è forse questo il senso della vita?