Se in film come “Più buio di mezzanotte” di Sebastiano Riso (2014) il tema dell’omosessualità veniva affrontato con un registro drammatico, Veronica Pivetti per il suo esordio dietro la macchina da presa, dal titolo Né Giulietta né Romeo, sceglie quello più rischioso della commedia. Si pensa che utilizzare un tono più leggero su argomenti così delicati sia “blasfemo”, ma la storia della Settima Arte ci insegna il contrario. La chiave giusta sta nel rispetto e l’attrice milanese dimostra di averne sia nella fase di scrittura che in quella di messa in quadro. Quest’approccio le consente di sfuggire alle sabbie mobili della morale a buon mercato. Lezione, questa, che le viene dall’aver lavorato in diverse commedie per il piccolo e grande schermo con registi come Carlo Verdone o Lina Wertmüller, abili, ognuno a proprio modo, nel trattare tematiche importanti e seriose con uno humor amaro e pungente. Le va, pertanto, riconosciuto il coraggio di aver corso un simile rischio, a maggior ragione tenendo conto che si tratta di un’opera prima. Ma non è tutto oro ciò che luccica.
Né Giulietta né Romeo presenta delle debolezze sia sul piano drammaturgico che su quello tecnico, derivanti dalla poca esperienza. Il film purtroppo stenta a decollare. Quando ciò accade, ossia nell’ultimo quarto, la scrittura acquista forma e sostanza, di pari passo col ritmo narrativo, regalando allo spettatore risate e spunti di riflessione. Ci troviamo di fronte a un classico coming of age con Rocco (Andrea Amato) alle prese con la ricerca della propria identità e le prime esperienze sessuali. Corollario di tutto ciò è il rapporto con i genitori e come questi apprendono e reagiscono alla confessione della sua omosessualità. Ne scaturiscono una serie di argomenti come il bullismo, i rapporti generazionali, le relazioni tra gli adolescenti, che non trovano sempre un adeguato approfondimento. Il lavoro drammaturgico non scava quanto dovrebbe, rimanendo spesso in superficie, tanto da scivolare in più di un’occasione in una serie di stereotipi, come, ad esempio, l’immagine che si dà dell’analisi e della figura dello psicanalista. Rispettando alcuni canoni del percorso di formazione, il plot porta il protagonista a fare un viaggio (breve), accompagnato dai due amici che enfatizzano la goliardia di quegli anni, soprattutto lei, Maria, una ragazza sgamata e molto simpatica con la cadenza romana (molto in arte Carolina Pavone). «Per raccontare questa storia mi sono smaccatamente alleata con il mio giovane protagonista, Rocco, e siamo andati a braccetto alla scoperta dei pregiudizi familiari, tanto imprevedibili quanto radicati», ha dichiarato la Pivetti.
Nell’ottica del confronto tra persone di varie età, colei che si rivela più matura e quasi all’ “avanguardia” è la nonna (bravissima Pia Engleberth in questi panni) – il personaggio meglio delineato – capace di capovolgere coi fatti l’appellativo affibbiatole, quello di “fascista”. Nel suo caso le battute sono assolutamente ben scritte e calzanti. Dal punto di vista tecnico, Né Giulietta né Romeo è caratterizzato da una regia accademica e di stampo televisivo che non riesce a far scattare un’empatia con il pubblico. Sicuramente è una pellicola che vuole cavalcare l’idea di mettere da parte l’omofobia, i pregiudizi e alcuni atteggiamenti estremi. Gioca anche un po’ ironicamente con quel perbenismo che spesso ci contraddistingue quando parliamo di qualcosa che non ci tocca in prima persona, basti pensare al mutamento della madre (la stessa Pivetti) di fronte alla rivelazione del figlio. Il punto è che tutto questo non basta alla completa buona riuscita del film. Entriamo nel vivo della trama del film: Rocco è un adolescente e come tale è alla scoperta di sé, delle proprie pulsioni e anche del sesso. Prova a sperimentare con l’amica di una vita, Maria, con cui fa ripetutamente cilecca. Figlio di due separati, la madre giornalista e il padre psicanalista, in teoria si aspetterebbe una certa apertura di fronte alla presa di coscienza della propria identità, ma non tutto filerà liscio.