Intervista a Paolo Pallante, cantautore e musicista nato a Tivoli ma con il cuore che batte sulle rive del Mississipi. Artista “vegano” e indipendente, amico e collaboratore di Alex Britti da oltre venti anni, Pallante ci racconta il suo nuovo album, “Ufficialmente pazzi“, in uscita il prossimo 20 marzo. Dodici tracce, un’ora di musica, tra ballate, swing, canzone popolare e assoli di chitarra.
Nel tuo nuovo album racconti diverse storie, come ad esempio in “King, un nome da re”.
King è un mio amico, è uno dei tanti, è l’emblema del lavoro sommerso, nascosto, sfruttato e mal digerito da molti. La sua camminata la riconosco da lontano, si avvicina silenziosamente e a due metri da me esclama il mio nome, ci salutiamo. Dapprima il saluto è “tipico”, passami il termine, come si usa tra “fratelli”, con il pugno chiuso, il gomito e di nuovo la mano chiusa sul cuore. Adesso ci abbracciamo, abbiamo sorpassato le convenzioni e King sorride, sa che non compro calzini perché se ne porto un altro paio a casa mia moglie mi uccide. Comunichiamo in inglese, in italiano, in nigeriano, in un miscuglio di lingue che ci fa divertire e mangiamo insieme parlando della sua terra e della sua famiglia. A tavola ci emozioniamo molto quando dice a Mina, mia moglie, che ha cucinato, che gli sembra di sentire nuovamente i sapori della sua terra. Quante sono le cose che King non ha potuto dirmi io non posso sapere, so solo che le ho intuite tutte, so solo che un giorno di qualche anno fa mi è capitato sotto gli occhi un articolo di giornale sui mercati di Milano e all’orizzonte stava arrivando King.
Qual è il messaggio di tale brano?
Questa non è la sua storia “specifica”, è la storia di tutti i King, di tutti gli esclusi e degli emarginati che vivono a migliaia di chilometri dalle loro case, lontano dalle famiglie, sfruttati da chi ha bisogno di lavoro a basso costo e usa la loro vita come mercanzia. Eppure King sorride, sorride sempre. Questo mi ha colpito fin dal primo giorno. Non è un sorriso falso, come i nostri, quelli che siamo abituati a vedere sulle labbra degli impiegati: è un sorriso di speranza, di ricordo, di vita aggrappata con le unghie al corrimano dell’inferno. Eh già, King “guarda sempre la luna, la guarda dolcemente salire e pensa a sua madre, che un giorno ha visto i suoi figli tornare”. Il messaggio, dunque, è di speranza.
Che mi dici, invece, di “Caroppa e Carmelo casalingo”, altro brano del tuo nuovo album?
La storia passa direttamente per l’asse che collega la Puglia al mio cuore. Questa donna, la Caroppa, partiva dal suo paesino di provincia con la “vetturina” per andare a prestare servizio presso le case delle famiglie abbienti di Taranto, la Taranto degli anni Sessanta, in breve tempo distrutta e avvelenata dalle promesse dell’industria dell’acciaio che sterminò campagne, ulivi secolari e non ultimi i tarantini stessi per far spazio al “futuro”. Carmelo stava a casa, aspettava la Caroppa tornare e io non so se sia vero, ma giuro che quando la vedeva in fondo alla strada, allungava le braccia a dismisura fino a prenderla tutta e ballavano, ballavano felici volteggiando, lei più alta, lui con due belle manone ruvide con le quali aveva preparato la cena. E’ il primo esempio di emancipazione femminile al sud, lei va a lavorare e lui prepara la cena. Scherzo, ovviamente. (ride. ndr)
E come va a finire la storia?
Nei ritornelli del brano la storia passa di mano e si parla dei “ricchi”, categoria a parte. I ricchi, lasciamelo dire, non sono assolutamente tutti uguali. Ci sono anche i signori, che è tutta un’altra cosa. Questi di cui parlo sono i ricchi poveri, quelli che “si puliscono il cuore con le parole e il culo coi guanti”. La storia mi da lo spunto per parlare di lotta di classe, di amore, di antispecismo e si offenderanno gli allevatori che cito dicendo: “Come sbuffa un vacca sudata al macello che ha capito l’orrore e non vuole più andare, scalpita e strilla che non è certo un onore morir per finire nelle tasche di un porco…di un allevatore”. Con l’assoluto rispetto che ho per il maiale, animale meraviglioso, è uno strano mondo quello in cui, la maggior parte di noi, dice di amare gli animali e poi non si chiede cosa ci faccia la zampa di un essere vivente nel proprio piatto accanto alle lenticchie.
Veniamo al singolo che lancia il disco: “Tutto quello che resta (del perduto amor)”, accompagnato da un bellissimo video, vede la partecipazione di Alex Britti e di Erica Mou. Come li hai conosciuti?
Il video è del giovane e talentuoso Federico Toraldo che sfidando il caldo di agosto con un manipolo di eroi, fra cui il grande chitarrista Pino Forastiere, ha girato la clip per le strade di Tivoli, la mia città. Alex e io ci conosciamo da almeno vent’anni, dai tempi dei club e dei viaggi (suoi) dentro a uno strano contenitore bianco che lui chiamava auto. E’ una bella amicizia quella con Alex Britti, è come un fratellone, mi ha insegnato moltissimo e abbiamo sempre avuto un grande rispetto l’uno per l’altro. Istintivamente abbiamo sempre lasciato il lavoro al di fuori di ciò che è la nostra amicizia, seppure ci siamo sempre confrontati e abbiamo visto nascere uno le canzoni dell’altro. Scherzando, dice di me che sono “troppo generoso quando scrivo” e probabilmente anche quando parlo … forse ha ragione. Il brano in questione durava sette minuti e mezzo prima del restyling e a me sembrava normale.
Come avete trasformato la canzone?
L’idea è venuta mentre suonavamo sul divano, come sempre, il brano era già scritto e si intitolava “La calamita da frigo”. Sembrava buono, ma un po’ nascosto dietro il solito fiume di cose che mi piace raccontare, così ci siamo messi a fare un provino suonandoci un po’ tutto da soli e alla fine abbiamo lasciato una delle versioni iniziali in cui Alex suona batteria, basso e lap steel guitar e io chitarre, ukulele e voci. L’arrangiamento messicaneggiante è sua, che è convinto che io sia una specie di messicano sotto mentite spoglie. Erica Mou, invece, l’ho conosciuta che aveva forse 17 anni. Ero a suonare con Eric Daniel a Bisceglie e mi si avvicina un tipo simpatico, Marco Valente, che mi chiede se una brava cantautrice del posto può suonare in apertura del mio concerto in teatro. Io dico ovviamente di si e mi siedo in prima fila. Dopo i suoi venti minuti chitarra e voce decido che non voglio più suonare e che intendo ascoltare tutto il suo concerto! Era già strepitosa, pura, incantevole e con delle canzoni scritte benissimo a soli 17 anni. Ora sta dimostrando tutto il suo talento e sono orgoglioso di lei.
Chi è “L’egoista” nel disco? Paolo Pallante?
Sì, l’egoista sono proprio io.
E “Fino alle ossa” è autobiografica?
Potrebbe essere altrimenti?
“Ufficialmente pazzi” si chiude con un brano strumentale di undici minuti in cui emerge il tuo grande talento di chitarrista: è vero che avresti preferito nascere in Mississipi e non a Tivoli? E’ il richiamo del bluesman che è in te?
Adoro suonare la chitarra. Amo il suono che fanno le mani sopra le corde e sorrido quando passo la mano sul legno della cassa e poi l’unghia a grattare il basso. Non so suonare senza parlare e non so parlare senza suonare. Per questo faccio il cantautore ma, se potessi, se davvero io potessi per un istante avvicinarmi alla poesia di un Wes Montgomery, smetterei volentieri di cantare. Amo il blues, il jazz, la musica sinfonica e la canzone napoletana. Amo la musica e la musica è anche nei luoghi, perché è nell’aria. Come dice Antonello Salis, “un vero musicista è un antenna”, uno che sa cogliere la musica dell’universo e portarla a tutti, raccontarla con perizia. Un po’ come facevano gli oratori tramandando storie che ancora non venivano scritte. Io vivo a Tivoli e ti dico che sono felicissimo di questo. Il Mississipi mi piacerebbe vederlo ma in effetti scherzo quando dico che avrei preferito nascere altrove. Sono nato dove avevo qualcosa da risolvere.
Dicono che Paolo Pallante sia un “cantautore vegan”: ma cosa significa concretamente?
Io faccio il cantautore e mi alimento in modo vegano. Questo è un fatto. Siccome queste due cose risiedono contemporaneamente nella stessa persona si possono mettere insieme, ma finisce che una delle due cose diventa aggettivo qualificativo dell’altra. E’ come se io dicessi del mio postino che è un “postino buddista”. Non ha molto senso, una delle due cose finisce per essere sminuita. Quello che penso è che la mia natura sia vegana, come anche la tua e anche quella del resto degli uomini, solo che ci hanno insegnato a fare cose crudeli agli animali e in molti finiscono per farle anche alle persone stesse. Ci hanno detto che abbiamo “bisogno” di alimenti di cui non abbiamo alcuna necessità e infine ci hanno messo sopra pure le tradizioni culinarie confondendo clamorosamente e definitivamente la nutrizione con le trasmissioni della Clerici.
Personalmente come la vivi?
Concretamente faccio il mio percorso cercando di distruggere meno possibile il meraviglioso mondo che mi ospita e che non è mio né di nessun uomo. Rispetto la vita di tutti dunque non uccido né gli uomini,né i ragni, né le zanzare e nemmeno i bambini che, in quanto a “vita”, godono degli stessi identici diritti senza distinzione di sorta. L’uomo si è appropriato di qualcosa che non è suo ed è tempo che restituisca il malloppo. Del resto la crudeltà che dimostra nei confronti degli animali e di tutta la natura lo rende impunito anche di fronte ai suoi simili, cattivo e cieco. Questo disco è certificato da Vegan Ok, per la prima volta al mondo. Io mi batto per i diritti della vita, impiego moltissimo del mio tempo a fare incontri e attività reali volte al miglioramento della condizione animale e in definitiva anche della condizione dell’uomo. Non canto perchè sono vegano, né sono vegano perché canto. Faccio il musicista e mi alimento in modo vegano.
Pallante, sei un artista totalmente indipendente: non ti fidi degli altri?
Quello che faccio è cercare il più possibile di essere aderente a ciò che penso. Voglio dire che sia nella vita di tutti i giorni che in generale, do importanza totale e primaria all’azione concreta svolta nel pieno rispetto dell’etica che mi guida. Se credo fermamente in qualcosa, lo metto in pratica. Vale ovviamente anche per i progetti lavorativi. Mi faccio un’idea, un pensiero di come dovrà essere il risultato e mi metto all’opera. A volte è semplice a volte no e quando hai accumulato molta esperienza lavorativa ti accorgi che alcune cose le cominci a saper fare molto bene e anche meglio da solo.
Come “Ufficialmente pazzi”.
Questo disco me lo sono missato da solo. Io non sono un fonico, anche se ho avuto la fortuna di lavorare per tantissimi anni con uno dei più grandi, Maurizio Montanesi. Da lui ho imparato tanto e oggi so dove mettere le mani per ottenere il suono che voglio. Ciò non fa di me un fonico, neanche per idea, ma nel caso del mio disco, nel caso particolare del mio lavoro, è stato più semplice per me affrontare il missaggio da me piuttosto che spiegare a qualcun altro ciò che volevo raggiungere. Quando hai le idee molto chiare su un risultato da ottenere, devi puntare dritto al sodo e se sai anche come ottenerlo, basta farlo. Avevo in testa un suono, un modo di lavorare, una semplicità di esecuzione che non sono riuscito a passare ad altri così mi sono missato il disco da solo. E il risultato mi piace. Per il resto, ho sempre suonato più di uno strumento e per le parti che avevo in mente, la mia “perizia” era più che sufficiente anche su strumenti come il piano o l’ukulele.
Ti sei occupato anche degli arrangiamenti?
Sì. Ho cercato molto, fatto molte prove e mi sono confrontato comunque con grandi artisti. Alla fine ho sentito che dovevo semplicemente rimettermi a lavorare seguendo il mio istinto e dando importanza primaria al testo. In questi passaggi è stata fondamentale la presenza di Pino Forastiere, compositore e musicista a cui debbo il fatto di aver cominciato a capire veramente cosa è la musica. Senza il suo aiuto e senza la sua musica, non sarei così soddisfatto di questo lavoro come invece sono. Indipendenza è poter dire quello che sto dicendo senza che nessun produttore e nessun agente possa venire a dirmi che ho messo in cattiva luce questo o quel personaggio, che ho detto una cosa scomoda e che così mi taglieranno i soldi per il prossimo disco. Indipendenza è scegliere, indipendenza significa che se il disco non è finito e pronto per me, non lo è per nessuno, indipendenza è molta fatica e bellissimi risultati guadagnati uno per uno. Puoi capire che tutto questo ha una contropartita e cioè non ho la forza “commerciale” di aprire canali nazionali che mi facciano vetrina. Posso sopportarlo e vivere tranquillo …
Quando e dove ti vedremo in concerto?
Sarò in giro a suonare dove sarà il caso di farlo. Ho smesso di suonare ovunque e per qualsiasi somma. Me lo sono promesso molto tempo fa e io rispetto le promesse. Prediligerò posti anomali, famigliari, possibilmente House concert dove incontrare le persone al di fuori della logica dello show. Il tour prevederà una parte da farsi appunto nelle case private e ha un nome che è tutto un programma: “Ufficialmente pazzi a casa tua”. Ci sarà una sezione sul mio sito dedicata a questo e basterà mettersi in contatto con me o con i miei organizzatori della parte live per fare dei concerti di questo tipo. Mi interessa recuperare il rapporto umano e praticare la scelta. Non suono per tutti, non suono dovunque. Suono per chi ha voglia di ascoltare e mi concede la possibilità di farlo nel modo migliore. Altrimenti il mio divano è molto più comodo del palchetto arroccato di fianco al bancone di un bar rumoroso. Ci sarà anche un Veg-tour che ancora devo definire, che vuole toccare solo posti vegani. Ai miei concerti, comunque, ci sarà da mangiare Veg, rigorosamente. Non mi piace suonare negli obitori.
Quali artisti, italiani o stranieri, stimi particolarmente?
A parte gli amici che ho già citato, favolosi musicisti, voglio menzionare Michele Rabbia con cui ho avuto l’onore di suonare in questo disco. E’ un vero genio e sperimentatore, un creatore di suoni e di ritmi. Adoro il suo mondo musicale. Ne potrei citare molti, anche fra gli artisti più pop, ma in generale amo e stimo chiunque abbia il coraggio di suonare davvero ciò che sa, come lo sa, senza chiedersi se funzionerà o no.
Prossimo step? Paolo Pallante collaborerà ancora con Alex Britti o c’è altro che bolle in pentola?
Per ora voglio solo godermi questa piccola creatura che viene al mondo, ci sono voluti anni e ho rifatto tutto da capo per ben due volte. Circa tre anni fa ho presentato il disco in teatro e poi il giorno dopo ho deciso che il disco non mi piaceva e l’ho rifatto da capo. Puoi dunque immaginare che adesso ho solo intenzione di guardare “Ufficialmente pazzi” uscire allo scoperto. Con gioia.
Silvia Marchetti