Dopo dieci anni dal debutto è tornato a volare sulle scene italiane Peter Pan – il musical, lo spettacolo con le canzoni che Edoardo Bennato aveva composto per l’album Sono solo canzonette del 1978. Ispirato al libro di J.M. Barrie la storia del bambino che non voleva crescere, di Capitan Uncino, di Wendy, John e Michael Darling e dei bimbi sperduti sull’Isolachenonc’è lo spettacolo tenta di conquistare nuovamente il grande successo delle passate edizioni. Cominciamo con il dire che il regista Maurizio Colombi è assolutamente onesto nel proporre al pubblico il suo stile. Se vai a teatro per vedere un suo spettacolo sai che troverai contaminazioni con un certo tipo di umorismo e comicità, qualche citazione di cultura “pop”, gag e trovate. I “puristi” del teatro musicale storcono il naso, ma a Colombi va innanzitutto riconosciuto il merito di rispondere a una specifica fascia di pubblico con un prodotto sempre coerente. Rapunzel, il blockbuster della scorsa stagione teatrale con Lorella Cuccarini ne è stato la prova, sold out dopo sold out. Gli Sposi Promessi e la Divina Commedia, con un taglio da musical “off”, pure. Purtroppo però, pur tenendo presente il suo originale stile, questa volta qualcosa mi pare non funzioni. Colombi ha scelto bene i suoi protagonisti, anzi: molto bene. Giorgio Camandona è un Peter Pan perfetto. Spettacolo dopo spettacolo Camandona affina le sue doti e in calzamaglia verde recita, canta e balla facendo sfoggio di talento e competenza. Non esce mai dal personaggio. Nemmeno quando “vola” perde concentrazione e le sue caratteristiche isolazioni apparentemente facili sono in realtà frutto di un’ottima base tecnica (piccola annotazione polemica: in altri spettacoli abbiamo visto sollevare performer a sacco di patate. Vi prego, fateli andare a ripetizione di leggerezza aerea da Camandona). Dal canto suo Marta Belloni dimostra come un attore (mi si perdoni la scelta del termine che potrebbe sembrare maschilista: non lo è. La scuola americana che ha prodotto Streep, Pacino & C. stabilisce che al di là del genere devono essere tutti “attori”) debba stare su sul palco, malgrado la più brutta camicia da notte che il teatro musicale ricordi. Regala alla sua Wendy una infinità di sfumature in ogni singola, minuscola battuta. Petulante, svagata, caparbia… la piccola Miss Darling di Belloni è viva esattamente come nelle pagine di Barrie (e molto più che nel cartone animato della Disney). Brava. E come spesso succede negli spettacoli firmati Colombi anche l’ensemble è fatto da persone capaci, che hanno già lavorato con questo regista e quindi sanno rispondere con prontezza e intelligenza scenica a ogni improvvisazione o imprevisto sul palco… Mi si permetta di citare Manuel Mercuri (ottimo acrobata), Pierluigi Lima, Samantha Bellaria e Carlotta Sibilla in rappresentanza di tutti. Daniela Pobega, al suo solito, canta davvero bene, le scenografie sono adeguate, le canzoni di Bennato hanno ancora appeal ma… per il resto la nave si arena.
Cominciando dalla mancanza di lucidità e presenza nella coppia Spugna e Uncino. Max Cavallari è un Fico d’India. Il che non vuole essere una ridondante banalità che tutti sanno: intendo dire che anche in Peter Pan – il musical è proprio e soltanto un Fico d’India. Sono favorevole alla contaminazione dei generi, si invitino pure il cabaret o la televisione a teatro, e si permetta a questi due elementi di fondersi con il musical, ma se ti limiti a portarli in scena senza un progetto non si tratta di contaminazioni, ma di invasioni di campo. Lo stesso dicasi delle coreografie di Rita Pivano. Televisive, e con un senso di già visto. Non erano citazioni di show del sabato sera anni ’90 (e anche, nel caso, che senso avrebbe avuto come citazione?) erano proprio numeri da show del sabato sera fatti e pensati in funzione di una telecamera che non c’è. Qualcosa meglio, qualcosa peggio… non sono davvero riuscito a trovare un senso malgrado l’onesto tentativo dell’ensemble. Le coreografie televisive sono un genere di assoluto rispetto, ma per essere valutate in maniera equa devono essere riferite al proprio ambito, e palco e piccolo schermo hanno esigenze del tutto diverse. Per non parlare poi dell’inspiegabile scelta di mettere due donne (più impegnate a cercare di far dimenticare di essere donne che a fingersi bambini) nei panni di John e Michael. Va bene essere “attore” al di là del genere… ma non credo che la cosa fosse da intendere esattamente in questo senso. E per finire Maurizio Colombi nei panni di Uncino. Colombi è una vecchia volpe del palco. Ho sempre ammirata la simpatica vena guascona e scanzonata con cui affronta la vita e la sua professione. In Cave Man, un one man show che da anni propone un grande successo, è davvero bravo. In quell’ambito sperimenta, si evolve, cambia lo spettacolo e lo rinnova. Nei musical penso che spesso alcune sue idee registiche siano interessanti. Quello che però qui gli manca è un contrappunto, qualcuno che gli dica se le gag non funzionano e – se funzionano – quando farle finire, viceversa slegano e invecchiano il prodotto (che avrebbe semmai bisogno di coesione e nuova linfa) con un sapore fané da avanspettacolo. In questo caso specifico l’ho visto poco convinto, più impegnato a collegare gli elementi in corso d’opera che a costruire il suo personaggio. Fosse stata, la sua, una sostituzione del regista per l’indisposizione di un attore all’ultimo minuto (succede, nel mondo del teatro succede) gli avrei tributato una standing ovation.
Quel discorrere empaticamente col pubblico, quel renderlo partecipe con battutine a mezza voce di quanto accade in scena, fornendo uno spaccato del “dietro le quinte” mentre sottolinea cose non in ruolo sarebbe stato fantastico. Così era solo Maurizio Colombi. Regista guascone, attore guascone che se vuole sa prendersi il palco, ma che in questo caso se lo prendeva per il motivo sbagliato e soprattutto con poca convinzione. Per concludere: Peter Pan – il musical è uno spettacolo che si rivolge, come dicevo, a una fetta – potenzialmente cospicua e specifica di pubblico che comunque apprezza e partecipa. Ma anche quella fetta di pubblico affezionato che andrà a vederlo ha diritto di applaudire non soltanto Camandona, Belloni & C. che ci mettono del proprio perché, come si dice in scena, per volare non basta pensare a cose belle. Serve anche un pizzico di polvere fatata (che speriamo arrivi per la tournée prevista dopo l’estate).