A distanza di 40 anni, il leggendario doppio album dei Led Zeppelin, “Physical Graffiti”, torna in un’edizione Deluxe rimasterizzata e arricchita di 7 inediti. Dopo il successo delle riedizioni dei primi cinque Lp degli Zeppelin, interamente rimasterizzati dal chitarrista e producer Jimmy Page, ora è la volta del sesto album del gruppo. Si tratta indubbiamente di uno dei migliori dischi della band britannica, senz’altro il più monumentale, nonché il lavoro che ha consacrato definitivamente i quattro, che hanno dato prova, ancora una volta, di essere in grado di destreggiarsi in generi diversi.
Ascoltando Physical Graffiti, che a buon diritto può essere considerato l’ultimo grande album prima del declino della band, troviamo l’onnipresente hard-rock in brani come “Night Fly” e “Custard Pie”, il rock melodico della bellissima “Ten Yars gone”, il trascinante funk di “Trampled Underfoot”, il blues della lunghissima “In My Time Of Dying”, le sonorità acustiche di “Black Country Woman” e quelle orientaleggianti di “Kashmir”, punta di diamante del disco. L’apertura è affidata alle sonorità dure ed energetiche di “Custard Pie”, che trae le sue origini da alcuni brani blues come “Shake ‘Em On Down” di Bukka White, “Drop Down Mama” di Sleepy John Estes e “I Want Some Of Your Pie” di Blind Boy Fuller.
L’intro graffiante della chitarra, un assolo wah-wah riprodotto attraverso un sintetizzatore ARP, il suono di un clavinet elettrico e un assolo di armonica a bocca sono le caratteristiche essenziali di questo brano, che è hard non solo dal punto di vista musicale, ma anche tematico (espliciti i riferimenti sessuali presenti nel testo). La seconda traccia dell’album è la splendida “The rover” (lett. vagabondo), vera perla blues-rock, che inizia con un ritmo di batteria. Per tutta la canzone, Page suona con la chitarra un caratteristico riff utilizzando un effetto Phase Shifter. “In my time of dying” è in realtà un traditional gospel. La versione dei Led Zeppelin supera gli 11 minuti di lunghezza, diventando così il brano più lungo della storia registrato in studio da una band. Nell’esecuzione, Page ha utilizzato la tecnica chiamata “slide guitar”, su un differente tipo di accordatura rispetto a quella abituale della chitarra. L’iniziale melodia lenta si velocizza e si intensifica sempre di più fino a esplodere in un ritmo energico. Al termine della canzone, il suono prodotto dallo slider si dissolve lentamente, mentre la voce di Robert Plant si spegne. Chi è appassionato degli Zeppelin o comunque li conosce piuttosto bene, saprà che “Houses of the Holy” è il titolo del loro quinto album. In realtà, tale titolo proviene dall’omonima canzone, registrata nel 1973, ma inserita in “Physical Graffiti”. Le Houses of the Holy in questione sono i locali in cui il gruppo si esibiva.
Altro brano coinvolgente e trascinante è “Trampled under foot”, il cui testo prende spunto ancora una volta da un classico pezzo blues di Robert Johnson intitolato “Terraplane Blues” e dal quale sono estratte metafore dal carattere spiccatamente sessuale. La canzone venne composta durante le sessioni di prova per il precedente album, il già citato “Houses of The Holy”, ma non venne mai registrata fino al 1974. Anche in questo brano, John Paul Jones suona un clavinet e Page utilizza l’effetto wah-wah. Capolavoro in termini assoluti è la celeberrima “Kashmir”, canzone che ha ispirato i Queen per un altro meraviglioso brano, “Innuendo” e Phil Collins per la linea di batteria “Squonk”, contenuta nell’album “A trick of the tail” dei Genesis. In anni più recenti, il rapper P. Diddy ha utilizzato parte della canzone nella sua “Come with me”, colonna sonora del film “Godzilla”. Nel videoclip appare anche Jimmy Page. Kashmir è stata sempre considerata dai quattro membri del gruppo come uno dei loro migliori lavori. In un’intervista del 1988, Plant dichiarò che Kashmir poteva senza dubbio essere definita come “la canzone dei Led Zeppelin per eccellenza”. Nel brano, imponente e maestoso, gli Zeppelin hanno sperimentato la forma musicale del raga, tipica della musica tradizionale indiana, nonché l’uso di alcuni strumenti particolari, come il mellotron.
Il testo è stato scritto da Plant nel 1973 mentre stava attraversando in auto il deserto del Sahara, anche se nel brano si parla della regione montuosa del Kashmir, appunto, situata tra il Pakistan settentrionale, l’India e la Cina. “Kashmir” è stata eseguita in ogni tour dal 1975 al 1980, anno dello scioglimento del gruppo.
La melodia di “In the light” è invece basata su una precedente composizione della band, “In the Morning”. L’intro della canzone è costituita da un suono unico e particolarissimo, prodotto dall’utilizzo di un archetto di violino per strofinare le corde della chitarra acustica. Jimmy Page aveva già utilizzato questa tecnica anche in lavori precedenti, come “Dazed and Confused” e “How Many More Times”. Nel disco sono presenti anche brani acustici come “Bron-Yr-Aur”, la canzone più corta registrata in studio dalla band. Si tratta di un pezzo inizialmente inciso da Page nel corso del 1970 per l’album “Led Zeppelin III”, poi scartato e inserito così in “Physical Graffiti”. Bron-Yr-Aur era un cottage di proprietà dei genitori di Plant situato in Galles, dove Page e Plant avevano soggiornato durante la fase di scrittura di “Led Zeppelin III”.
Splendida e coinvolgente è “Ten years gone”, il cui testo racconta una vicenda sentimentale vissuta da Robert Plant dieci anni prima , i famosi “ten years gone”: a quell’epoca, infatti, una ragazza lo aveva messo alle strette, chiedendogli di scegliere tra lei o la musica. Il pezzo è profondo, riflessivo, ipnotico: la melodia cattura e i riff trascinano l’ascoltatore, trasportandolo in un vortice di emozioni. In “The Wanton Song”, risultato di una jam session tra una prova e l’altra, vengono riprese le caratteristiche della celeberrima “Immigrant Song”, poiché il riff, piuttosto aggressivo, si basa sul’alternanza di due note su un’ottava differente. Per l’assolo di chitarra, Page ha utilizzato l’effetto riverbero e ha collegato lo strumento ad un Leslie Speaker, un particolare amplificatore, con l’obiettivo di ottenere un effetto Doppler, proprio come aveva fatto il mitico Jimi Hendrix in capolavori quali “Little Wing” ed “Angel”.
Tra i 7 inediti troviamo alcune versioni iniziali o mix di brani già presenti nel disco. Qualche esempio? “Sick again” ha sicuramente un carattere più heavy ed è costituita da un’intro differente rispetto alla versione finale. “Everybody makes it through” conserva la melodia di “In the light”, ma lo stile utilizzato è differente. Vi è poi un mix iniziale di “Trampled under foot” intitolato “Brandy & Coke”, un sunset sound mix di “Boogie With Stu” e “Driving Through Kashmir”, mix orchestrale del capolavoro della band.
Physical Graffiti ha rappresentato un grande successo per gli Zeppelin: l’album, molto apprezzato sia dai fan, sia dalla critica, ha consacrato definitivamente il gruppo, che è stato definito “The biggest band of the seventies”. E, in effetti, l’esperimento è molto ben riuscito: ascoltandolo non si può non notare una vera e propria sintonia tra tutti i membri della band. Ciascuno di essi, inoltre, in quest’opera ha dato massima prova delle proprie abilità. L’interesse nei confronti della mitica band britannica continua a essere alto: nel mese di gennaio 2014, il gruppo si è aggiudicato il suo primo Grammy come best rock album per “Celebration Day”, la registrazione del live all’Ertegun tribute concert, mentre il progetto della riedizione dei dischi procede a gonfie vele. Gli anni passano, le mode cambiano, i gusti e gli stili musicali pure, ma il mito di una band del calibro dei Led Zeppelin è ancora intramontabile.
Chiara Bernasconi