“Napoli è mille culture. Napoli è mille paure. Napoli è la voce dei bambini”. Così cantava Pino Daniele in “Napule è”, colui che della città partenopea era figlio devoto e appassionato cantautore. La luce del suo sorriso si è spenta improvvisamente qualche ora fa, durante la notte tra il 4 e il 5 gennaio. L’artista di “Nero a metà” e di “Quando” è morto a causa di un infarto che lo ha strappato alla vita non ancora sessantenne (era nato il 19 marzo 1955) mentre si trovava in Toscana con la figlia Sara. Il suo cuore pazzo, come spesso lo definiva lo stesso Pino, lo ha tradito, optando per un silenzio che confonde e ferisce più di mille parole.
Non così, non adesso, viene da pensare. Pino Daniele lascia tutti noi orfani di bellezza, classe ed energia. Le sue canzoni hanno accompagnato intere generazioni e colorato la vita di tante persone, brani scanditi dal ritmo internazionale del blues, del soul, del funky, del jazz, e avvolti dalla magia della poesia napoletana.
Beffardo il destino, che strappa dalla sua culla, senza troppi scrupoli, i geni dell’arte e della cultura. Perché è questo che Pino Daniele ha rappresentato e continuerà a rappresentare per tutti, napoletani e non. Un geniale bluesman dall’animo latino, mr neapolitan power per eccellenza. Facile ora, post mortem, parlarne bene ed elogiarne l’opera e l’inventiva. Ma a Pino Daniele dobbiamo davvero tanto, perché è solo grazie alla sua musica, alla sua passione e al suo modo di giocare e di sperimentare (sul palco soprattutto) con le amate sette note, che l’Italia ha aperto la mente e spalancato le porte a nuovi suoni dal sapore internazionale, guardando oltreoceano, oltre il proprio naso, pur restando ben ancorata alle sue origini e tradizioni.
Cuore pazzo, dicevamo. Lo stesso che tradì nel 1994 l’indimenticabile Massimo Troisi, grande amico e conterraneo di Pino Daniele. Entrambi esponenti di quella Napoli che è “sole amaro” ma anche “profumo di mare”, come recita “Napule è”, una delle canzoni più belle e conosciute del cantautore scomparso, pubblicata circa quaranta anni fa. Con l’inseparabile chitarra e la voce che era espressione della sua nobile anima, Pino ha incantato il capoluogo campano e milioni di italiani semplicemente facendo ciò che più lo stimolava e divertiva: cantare e raccontare gioie e dolori della sua città, pregi e difetti che sono segno indelebile della storia del nostro Paese. L’unicità di Napoli, tra meraviglia e disincanto, risuonano nelle note e nelle parole di “Napule è”: “Napule è ‘na carta sporca e nisciuno se ne’mporta e ognuno aspetta ‘a sciorta”. Napoli è un simbolo, è un sogno. E’ famosa nel mondo e, perciò, tutti pensano di conoscerla bene, ma la sua verità è nascosta dietro un muro di silenzi, stereotipi e menzogne.
A Napoli e al sud Pino Daniele ha dedicato tutto se stesso. Ne ha descritto luci e ombre, senza retorica, senza veli che potessero celarne anche le macchie più profonde. A differenza dei grandi autori neomelodici nati e cresciuti all’ombra del Vesuvio, tutto pizza, amore e mandolino, “Pinotto” ha scelto di seguire altre vie artistiche per partorire canzoni che hanno dato spazio a un nuovo modo di concepire la musica e di vivere la “napoletanità”. Attraverso i suoi brani, in particolare quelli di inizio carriera come, appunto, “Napule è” (scritta da un Pino Daniele appena diciottenne), i più deboli e gli ultimi, quelli del “ghetto” per intenderci, hanno trovato una via di fuga, un mezzo per far sentire la propria voce e le proprie ragioni. Tra contraddizione e rivoluzione, tra orgoglio e denuncia. “Napoli è vicina all’Africa, ma anche all’America”, disse una volta Pino Daniele durante un’intervista. Ed è questa doppia natura, sono queste due anime a (con)vivere nella sua musica e nei suoi testi. “Nero a metà”, il nostro Pino. Cuore mediterraneo che batteva il ritmo d’oltreoceano, sempre e solo con passione e amore per la verità. Per Napoli, con gli italiani.
Ascolta Napule è: http://youtu.be/zeLb-G8GXfk
Silvia Marchetti