Referendum Grecia, il mito rivive nell’Atene di oggi

Il referendum greco non è solo una tappa politica ed economica che interessa la Repubblica Ellenica ma, lo abbiamo capito fin troppo bene, un vero esame a cui, sostanzialmente, è affidato il temibile compito di giudicare il ruolo, il potere e il futuro della moneta unica in Europa.

In queste ultime settimane di trattative tra la Grecia e l’Unione Europea, fatte di promesse poi ritrattate, conferme, smentite, dialoghi interrotti e poi ripresi, tutti gli Stati membri hanno tremato (chi più, chi meno, a esser franchi) pensando al destino dell’Europa. La Grecia uscirà dall’Unione e ripristinerà la dracma come moneta nazionale? Ciò avrà un effetto domino anche sulle altre nazioni? L’Euro morirà e, con essa, la speranza di un’economia più forte? Come sarebbe la vita se tornassimo alla lira, al franco, al marco e via di seguito? Nonostante le rassicurazioni provenienti dal mondo politico italiano e internazionale noi europei, tranquilli, non siamo per niente. La crisi economica di questi ultimi anni ha pesato come un macigno sulla quotidianità e, nonostante i deboli segnali di miglioramento, troppe cose ancora non vanno come dovrebbero, a partire, solo per rimanere in casa nostra, dalla forte pressione fiscale che attanaglia l’Italia.

L’esito del referendum greco, quindi, è importante per tutti. Gli ultimi sondaggi riportati dal quotidiano Kathimerini sembravano dare per certa la volontà dei cittadini greci di rimanere in Europa, votando per il sì. Ora sappiamo che le cose sono andate diversamente. Il 61,3% dei greci ha scelto il NO. 

Il voto di domenica 5 luglio valeva come giudizio sul governo Tsipras, in pratica una specie di fiducia data o meno al lavoro politico degli ultimi mesi dopo che il 30 giugno scorso è scaduto il piano internazionale di aiuti e la Repubblica Ellenica ha chiaramente dimostrato la propria insolvenza verso i creditori. Se il sì avesse ottenuto la maggioranza, inutile nasconderlo, la Grecia sarebbe stata costretta a nuovi sacrifici e, pare, Tsipras avrebbe dovuto dimettersi, come ha lasciato più volte intendere. A quel punto i creditori avrebbero dovuto rendere accessibili gli aiuti al Paese, ma solo dopo che Tsipras avesse ufficializzato a Bruxelles il consenso greco alle misure proposte dall’Europa nella persona di Juncker, ovvero privatizzazioni, riforma del sistema delle pensioni e liberalizzazione economica.

Ma ha vinto il no. Dunque la Grecia intende rifiutare le proposte europee, sperando di avere, almeno sulla carta, un maggiore “potere contrattuale” per rinegoziare con l’Unione Europea. Non è assolutamente detto, però, che Tsipras riesca a riaprire le trattative in suo favore, anzi, attualmente sembra piuttosto improbabile. Con la vittoria dei no, la Bce non finanzierebbe più la Grecia, le banche chiuderebbero e, in definitiva, non ci sarebbe più liquidità. Se ciò accadesse Atene avrebbe una sola possibilità: una nuova moneta. Ci sono due scenari possibili: tornare alla dracma e questo sarebbe il tracollo definitivo del Paese, pur garantendo la riapertura delle banche. La Grecia si sottrarrebbe alla zona d’influenza dell’Euro, ma non ci sarebbe più alcun tipo di liberalizzazione o privatizzazione o aiuto. Sarebbe il fallimento completo. Oppure la Repubblica Ellenica potrebbe decidere di far circolare una moneta parallela all’Euro per cercare di ridare ossigeno all’economia. In questo caso lo svantaggio è quello della svalutazione della valuta di un buon 40%, mentre le banche verrebbero ricapitalizzate.

Finora abbiamo parlato di politica, ma cosa sta accadendo in Grecia, per le strade, tra la gente? Il quotidiano La Repubblica ha diffuso la commovente fotografia di un pensionato disperato davanti a una banca a Tessalonica. Era lì per ritirare la pensione (massimo centoventi euro, non è consentito di più), ma il peso dell’incertezza deve averlo sopraffatto al punto che un poliziotto e un manager si sono prodigati per cercare di sostenerlo. In effetti le lunghe code dei pensionati agli sportelli per ritirare proprio la pensione fanno riflettere e rabbrividire; le banche sono chiuse da giorni e i prelievi dal bancomat non possono superare i sessanta euro. Per motivi di insolvenza iniziano a scarseggiare i rifornimenti di benzina e non sono consentiti acquisti online. Molte le prenotazioni disdette in varie parti della Grecia e, per un Paese che fa del turismo una delle principali risorse economiche, è un danno ingente che si somma alle altre crescenti difficoltà. I quotidiani italiani riportano un’altra notizia incredibile: su alcune delle Isole Cicladi mancherebbero generi di prima necessità come le medicine. La situazione, insomma, rischia di degenerare.

Tutti gli uomini, gli occidentali in particolar modo e i greci compresi, dovrebbero farsi una domanda: cosa è rimasto della culla della civiltà occidentale, del concetto di democrazia che lì è nato, della splendente Atene del V secolo a.C.? Qualcuno potrà obiettare che ci sono problemi più materiali e urgenti da risolvere e parlare di filosofia e Storia non è che una perdita di tempo, ma ne siamo davvero sicuri? La Grecia è la madre della nostra civiltà, eppure rischia di dover abbandonare quel mondo che essa stessa ha generato. E’ vero, questa madre ha delle colpe, non è mai stata perfetta e ora ne paga le conseguenze ma, forse, il castigo è troppo duro in confronto a ciò che ha donato.

Non perdiamo tempo ricordando di essere figli della Grecia, poiché ogni nostro giorno è scandito dalla cultura che ha attraversato i secoli per giungere dalle rive del Mar Egeo fino a noi. Non ci sarebbe la società così come la conosciamo senza la madre greca e non potremmo dire di aver compreso il senso della democrazia. Di più: probabilmente non conosceremmo neppure il significato di questo termine. La Grecia è il mito; il mito è l’archetipo delle nostre esistenze, dei nostri sogni, dei dubbi, delle paure, degli errori, della conoscenza che è scopo ultimo dell’insieme dei nostri giorni.

Vi racconto una cosa: quando ero al liceo (classico) il mio professore di italiano fece alla classe una domanda provocatoria: se il mondo corresse il pericolo di essere distrutto e voi poteste scegliere solo due libri da salvare dall’oblio, quali scegliereste? Sinceramente non ricordo cosa scelsi, ma rammento bene che il mio professore non ebbe un attimo di esitazione dicendoci che avrebbe portato con sé l’Iliade e l’Odissea.

Chiedemmo subito il perché. Molti, per esempio, avrebbero salvato la Bibbia, altri I Promessi Sposi, ma lui disse una cosa che da allora custodisco gelosamente nel mio cuore e nella mia memoria: i poemi omerici sono l’inizio della nostra civiltà, ci piaccia o meno. Il nostro tempo, quindi, inizia con una guerra (questo non giustifica nulla, il discorso è un altro, se avrete la pazienza di seguirmi), con una lotta di supremazia, ma anche di ingegno (il cavallo di Troia) e d’amore (la meravigliosa Elena, sposa di Menelao) in cui dei belli come il sole, su cui venivano proiettati i desideri dei greci, si affrontano al fianco degli uomini e sono più umani degli umani pur nella loro essenza divina.

Così inizia la nostra vita; sospesa tra la polvere dei campi di battaglia e i palazzi di antichi re, tra le spade e le parole d’amore, tra l’astuzia e la superbia. Da questo magma è nato il concetto di democrazia: la sovranità del popolo che possiede diritti, ma anche doveri e può e deve esercitarli entrambi con coscienza.

Siamo davvero immersi nella democrazia (di qualunque forma essa sia) oggi? Siamo ancora capaci di comprendere ed esercitare la democrazia e la libertà in questi giorni tumultuosi in cui la madre greca che ci ha insegnato a vivere da cittadini, cullandoci nell’Atene del V secolo e guardandoci crescere fino all’Illuminismo e al Novecento, se ne sta agonizzante sotto i nostri occhi?

Qualche anno fa, alle prime avvisaglie di crisi, molti dicevano che, se ognuno di noi occidentali avesse donato un euro alla Grecia, minima ricompensa per quanto ci ha dato, oggi non saremmo a questo punto. Ovviamente un euro non sarebbe stato sufficiente e, forse, se vogliamo rispondere alle domande suddette ci serve un altro approccio, meno “economico”.

Perché non cercare la risposta nel mito che ci è sempre venuto in aiuto? Diventiamo, per il breve tempo di poche righe, moderni Ulisse che scelgono di farsi legare a un palo pur di sentire la voce delle sirene, attratti dalla conoscenza, ma consapevoli che non dovranno ascoltare le voci negative di creature che abitano gli abissi e per cui la vita è un eterno declino celato sotto armonie melodiose.

L’Europa e la Grecia potrebbero essere ricondotti all’origine, agli archetipi. Se l’Europa fosse un uomo determinato e la Grecia una madre, il primo un eroe alla ricerca di un moderno Vello d’Oro in grado di sanare qualunque ferita e la seconda una donna che abbandona una parte di sé per amore, quale sarebbe la prima immagine mitica a cui ricondurreste queste parole?

Medea e Giasone. Sono sicura che state pensando alla Medea infanticida, che uccide i figli per dispetto, rancore e vendetta verso Giasone. Vorrei proporvi, però, un’altra lettura del mito che si riallaccia all’opera omonima di Christa Wolf e a quella di Euripide, puntando su un altro aspetto, spesso trascurato. Ripercorriamo le tappe del mito e cerchiamo di visualizzare la Grecia come Medea e Giasone come l’Europa. Entrambi, è necessario premetterlo, hanno punti deboli, si sono macchiati di colpe che talvolta fanno finta di non vedere; nessuno dei due è migliore dell’altro, nessuno può definirsi vincitore.

La nostra storia inizia nella Colchide (zona che oggi corrisponde al Caucaso, in particolare alla parte Ovest della Georgia) che, per noi, potrebbe diventare una sorta di luogo “del tempo”, esistente ma sospeso tra mito e realtà, nel quale Giasone e Medea si incontrano. L’eroe è alla ricerca del Vello d’Oro, ha intrapreso un viaggio verso l’obiettivo finale che è, anche un’iniziazione, la fase embrionale dell’Europa, potremmo dire. Medea si innamora all’istante: lui ha tutto, è perfetto, un desiderio d’amore che diventa realtà. Entrambi sono figli di re, la prima di Eeta, sovrano della Colchide, il secondo di Esone, signore di Iolco.

Due principi di antico lignaggio, di lunga Storia, come la Grecia e tutte le nazioni che compongono l’Europa. Medea, però, non è una donna come le altre: molti la definiscono maga, ma nel senso più alto della parola. Ella è in grado di comunicare con gli dei, la sua magia non è fatta di “giochi di prestigio”, ma di un’ancestrale, a tratti inquietante (per gli uomini) sapienza. Così è anche la Grecia: femmina e piena di conoscenza eppure, proprio per questo, sfuggente, temuta in quanto indomabile, non riconducibile a uno schema fisso. Medea commette l’errore, se mi si passa il termine, di innamorarsi e di compiere nefandezze che negano la sua essenza pur di seguire l’amato e permettergli di prendere l’ambito Vello.

La Grecia, pur non avendo compiuto nessun atto drammatico, si è assoggettata, almeno in apparenza, alle regole europee (non vi era altra scelta del resto). Di fatto, però, la sua antica natura è come un fuoco che non si spegne mai per davvero e, infatti, la Repubblica Ellenica, come la maga, rimane profondamente ancorata alle proprie radici, al proprio modo di fare, benché questo non le giovi nella nuova terra di Iolco, ovvero nella fase cronologica della neonata Europa unita da un’unica moneta.

Medea/Grecia rimane sospesa tra Oriente e Occidente, Est e Ovest, straniera, donna, intelligente e scaltra ma fin troppo ingenua nel credere che l’amato Giasone/Europa le rimanga fedele. La maga sbaglia per lui, innescando un circolo vizioso di incomprensioni, rancori, paure e superstizioni. Con il suo sposo viene cacciata da Iolco e si rifugia a Corinto, che non è altro se non l’ultima fase temporale della storia, cioè il tempo dell’Europa matura, potente in cui il ruolo dominante spetta alla Germania.

Giasone non è più l’uomo innamorato, ma l’eroe impaziente di ricevere un riconoscimento, divenuto intollerante alla presenza scomoda di Medea che, pure, continua ad amarlo consapevole che la fine è vicina. La donna è dilaniata dai rimpianti e dalla paura, ma questo non smuove in lei alcun desiderio di cambiamento, al contrario; si rinchiude in se stessa, divenendo specchio dell’immagine fosca che altri hanno di lei.

Perché piegarsi, del resto? Perché dovrebbe barattare la sua dignità con l’amore? Entrambi hanno posto nel suo cuore, ma Giasone è ormai sempre più lontano da lei, nessuno dei due riesce più nemmeno a pensare a un compromesso, ognuno fiero della propria, irremovibile, posizione.

Medea ricorda l’inizio di questo amore, quando una parte di lei voleva fuggire verso la libertà, con Giasone, mentre un’altra le diceva di stare attenta, di non tradire le origini poiché, inevitabilmente, a questo l’avrebbe portata la sua passione. Ne era certa, la maga, almeno all’inizio, del fatto che sarebbe riuscita a mediare tra la sua anima e le pretese dell’eroe.

Ci ha creduto fino in fondo, fino all’arrivo di Glauce, la bellissima figlia di Creonte, re di Corinto. La principessa, secondo la versione del mito che dà Christa Wolf, non è nemica di Medea, più che altro sono le circostanze a porle su piani contrastanti. Glauce potrebbe essere la porta attraverso la quale la maga spera di essere accettata a Corinto e, magari, di riconquistare il suo Giasone.

Allo stesso modo la Grecia ha sperato che i prestiti fatti dalle banche e, dunque, i creditori stessi, potessero rappresentare un’ancora di salvezza. Ciò non si è rivelato possibile in quanto la situazione economica greca era, ormai, pesantemente compromessa e le riforme non sono arrivate nei tempi giusti. D’altra parte, però, è pur vero che gli standard imposti dall’Europa non sono mai stati facilmente raggiungibili, talvolta persino discutibili e troppi interessi si sono mescolati tra loro in questi anni di crisi.

La nostra Medea, dunque, non ha già più speranze ed è troppo furba per non rendersene conto; deve agire, ma non sa come fare. Per tutti è la maga, la strega, la ribelle irrecuperabile. L’epilogo avviene quando la signora della Colchide scopre che Glauce è la promessa sposa di Giasone: un legame già indissolubile, in cui lei viene letteralmente scaraventata in un angolo. La sua vendetta è cruenta: fingendo di approvare le nozze e tirarsi indietro per la felicità e l’ascesa sociale del suo amato, Medea invia alla principessa un mantello avvelenato che, come fuoco, divora le carni della malcapitata e di suo padre, accorso a salvarla.

Stando alla versione di Christa Wolf la situazione non sarebbe stata così “lineare”, ovvero, offesa che genera rancore e rivalsa finale, ma si tratterebbe di una interpretazione maschile del mito, in cui la figura femminile ne esce stereotipata e, proprio per la sua essenza di donna e maga (particolare importantissimo), incontrollabile, da zittire in qualunque modo, perfino con la calunnia. Medea, infatti, non uccide solo Glauce, come ben sappiamo, ma toglie la vita perfino ai suoi figli, al sangue del suo sangue, privando Giasone della discendenza (anche qui la Wolf dà un’altra spiegazione, ma non voglio togliervi la possibilità di lasciarvi sorprendere scoprendola da soli).

A noi, però, interessa un altro tipo di lettura del mito: alla vendetta di Medea non corrisponde una rivalsa greca, o meglio, non ancora. Il voto, infatti, potrebbe segnare l’omicidio di Glauce e dei figli dell’eroe, cioè, il mancato consenso alle misure di austerità imposte dall’Europa e l’uscita dall’Euro e dall’Europa. Votando no, infatti, la Grecia, al contrario, non priverebbe noi europei della discendenza, bensì dell’ascendenza, insomma la madre se ne va, portandosi via la culla della filosofia, della libertà, del diritto, della lingua. Ci priva delle radici.

Non c’è da scherzare su questo in un momento di precario equilibrio mondiale, di minacce terroristiche, di messa in discussione dei valori e dello stesso concetto di economia così come lo conosciamo. Questo possibile abbandono da parte della Grecia, tra l’altro, destabilizzerebbe tutta l’Unione anche da un punto di vista finanziario.

La maggioranza di no corrisponderebbe al momento in cui Medea sale sul carro alato del sole per dileguarsi, ma c’è anche un altro punto di vista da prendere in considerazione. La maga della Colchide abbandona Giasone e Corinto in quanto, a ben guardare, non è mai stata accettata per ciò che è; non si è mai integrata davvero e, in questo caso, le colpe sono equamente divisibili tra l’atteggiamento della stessa Medea e la reazione degli abitanti di Corinto alla sua strana, inquietante presenza.

Lei è la straniera, la barbara, una suddita di serie B, per intenderci, oltre che donna, maga e astuta. La maggioranza voleva piegarla, invano. La figlia della Colchide non ha arretrato di un millimetro, tanto nella ragione quanto nel torto e i suoi detrattori hanno fatto lo stesso. Tirando le somme Medea, è evidente, non godeva di grande prestigio e mai sarebbe accaduto, visti i presupposti.

Siamo davvero convinti, noi, oggi, che tutti i Paesi europei godano di uguale stima, che possano considerarsi tutti sullo stesso piano in quanto Stati membri? Lasciamo da parte ricchezze e numero di abitanti di ciascuna nazione: guardiamo solo al ruolo occupato in Europa, non tanto al peso diplomatico, ma alla possibilità di “farsi ascoltare”, di essere credibile. Quanto pesano gli stereotipi in questi frangenti?

Per molti greci (e non solo loro) se il risultato elettorale sancisse la fine della presenza della piccola Repubblica nell’Unione, sarebbe la liberazione da un giogo pesante. Alcuni ritengono, infatti, che sarebbe meglio affrontare da soli i problemi che verranno piuttosto che “obbedire” all’esito di trattative che sono viste come veri e propri ordini. In parole povere, meglio morire in piedi, allo stremo delle forze ma con dignità, che in ginocchio. Espressione discutibile, ciò non toglie che sia il pensiero di un nutrito gruppo di persone, greci e non.

La storia non ha ancora una fine, almeno per poche ore, poi si apriranno nuovi scenari tutti da approfondire. Il popolo greco ha scelto, così come Medea ha scelto, più volte, nella sua vita leggendaria. Qui non ci sono vincitori né vinti, come abbiamo già visto. C’è solo (si fa per dire) un nuovo pezzo di Storia da scrivere tutti insieme.

Il voto al referendum è figlio della democrazia e come tale dovrà essere accettato, conseguenze incluse. Cosa rimarrà dell’Europa dopo di esso lo vedremo e, forse, tra moltissimi anni, gli storici e gli archeologici del futuro studieranno questo nostro tumultuoso periodo, traendone il giusto insegnamento come noi, oggi, facciamo rievocando dal mito la figura tragica e vilipesa di Medea.

La libertà di conoscere, il diritto alla democrazia e lo status di cittadini sono state conquiste ineguagliabili. Eppure lo riconosciamo davvero? Ne siamo consapevoli fino in fondo? Li ricordiamo ancora i padri e i luoghi di questi progressi? Oggi la Grecia ci costringe a rammentarli, rimettendoli uno a uno davanti ai nostri occhi.

Avremo il coraggio di guardarli e trarre da loro la motivazione a costruire il futuro, nonostante i problemi? In caso contrario nessun carro alato ci attende per portarci via.

Francesca Rossi

Bibliografia e sitografia

Christa Wolf, “Medea. Voci”, ed. E/O, 2000;

Christa Wolf, “L’Altra Medea”, ed. E/O, 1999;

Euripide, “Medea” (testo greco a fronte), Bur, 2013;

A cura di M.G. Ciani, “Medea. Variazioni sul mito”, Marsilio, 2003;

Fabio La Mantia, Salvatore Ferlita, Andrea Rabbito, “Il dramma della straniera. Medea e le variazioni novecentesche del mito”, Franco Angeli, 2012;

Anna Chiarloni, “La Medea di Christa Wolf”: www.germanistica.it/saggi/medea.asp

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