Dovendo parlare del nuovo album di Renato Zero intitolato ALT, uscito in contemporanea l’8 aprile in versione cd e negli store digitali, mi sono reso conto che succede, raramente ma succede, che parlando di qualcosa il suo miglior pregio e il suo peggior difetto in realtà siano la stessa cosa. Per sgombrare il campo però da qualsiasi dubbio dico a priori che ho davvero apprezzato, durante la conferenza stampa di presentazione, l’album in questione, e che l’ho trovato molto ben fatto. L’orchestrazione, la direzione musicale sono ottime, impeccabili, a opera di Danilo Madonia che con Zero è anche il produttore (e tra i molti autori presenti nei crediti mi si permetta di ricordare tra gli altri Maurizio Fabrizio, Vincenzo Incenzo e Phil Palmer). E le composizioni che compongono la ricca tracklist, ben quattordici, rendono del tutto evidente uno dei maggiori pregi di Renato Zero autore, oltre che cantante. Un autore che ha la rara capacità, infatti, tipica dei grandi parolieri che sono anche musicisti, di cogliere il ritmo delle frasi, e di usare la metrica non soltanto a servizio dei contenuti, ma anche della linea melodica (mi si perdoni il paragone che non vuole essere irrispettoso verso nessuno, ma diciamo che il suo modo di usare parole e frasi mi ricorda più quello di Ira Gershwin che quello della scuola cantautorale italiana). Trattandosi di un disco in cui le tematiche trattate sono tutte di riflessione su grandi temi e di denuncia questo mi pare un grande valore aggiunto per la comprensione del testo che si unisce alla piacevolezza dell’ascolto.
Il pregio e il difetto insieme a cui facevo riferimento prima invece è che Renato Zero ha, con il suo solito talento e mestiere, confezionato un nuovo album che sarebbe stato apprezzato dieci anni fa, verrà sicuramente apprezzato oggi e lo sarebbe stato anche tra dieci anni nel caso lo avesse fatto uscire nel 2026. Non perché non ci sia una evoluzione nel suo percorso artistico, ovviamente: ognuno di noi cresce, invecchia, fa esperienze e rielabora queste esperienze proponendole poi, nel caso sia un Artista come lui, come creazione originale. Ma lo stile di Zero, che è stato capace di creare nell’arco di una lunga e fortunata carriera una vera “religione” di appassionati, si evolve all’interno di sé, sperimenta all’interno di un percorso personale, viaggiando parallelamente ai trend artistici diversi da lui, a cui permette di affiancarlo e a volte persino cui permette di trovare punti di contatto (o collaborazioni), ma di fatto senza farsene influenzare. Se vuoi “collegarti” a Zero lo fai alle sue regole e con il suo stile. Uno stile che ha prodotto in passato parecchie grandi canzoni e addirittura alcuni veri capolavori, e che di nuovo, anche in questo caso, ha dimostrato di avere una sua assoluta ragione d’essere, ma che difficilmente potrà ispirare nuove voci di domani e generare altro che cloni, perché l’originalità di Renato Zero lo rende inimitabile.
Ma tornando a ALT, nello specifico, oltre a “Chiedi” che è la single track che ha anticipato l’album, sono molte le tracce che ho apprezzato, e per motivi differenti. “Il tuo sorriso” per esempio ha un ritmo trascinante e una melodia che resta, mentre l’orchestrazione de “Il cielo è degli angeli” penso la renda un vero gioiello in quello che, come dicevo prima, è già un lavoro splendidamente curato da questo punto di vista. Spostandomi nell’ambito dei contenuti invece (dal momento che, come anticipato, questo è uno dei dischi di Renato Zero più attenti ai grandi temi sociali, e ai dilemmi etici e morali con i quali tutti ci confrontiamo quotidianamente partendo dalle nostre piccole storie di tutti i giorni), oltre a “Chiedi” che è in qualche modo la summa, il manifesto del contenuto dell’intera raccolta, segnalo “La voce che ti do”, un brano in cui si contempla i segni che la vita passando lascia sull’anima di ciascuno, mentre ho trovato meno centrato il messaggio di “Gesù”, in cui il tema religioso ho pensato arrivasse a un messaggio forse più scontato rispetto ad altri. Ma trattandosi di un vero caleidoscopio di temi diversi (che però, letti senza soluzione di continuità, permettono a Zero di fornire il suo punto di vista sul nostro “oggi”), è inevitabile che il vissuto dell’ascoltatore “risuoni” in maniera differente alle diverse canzoni – come in una sorta di diapason emotivo – a seconda del tema trattato, e di conseguenza, a titolo assolutamente soggettivo, ho trovato in “Perché non mi porti con te” il brano il più vicino alle mie corde, in cui si sottolinea come ogni uomo non sia un’isola ma in fondo parte di un sistema complesso con diritti e responsabilità legati alle interazioni. In definitiva chi ama Renato Zero (in veste di sorcino ufficiale, ma anche onorario) non potrà che apprezzare, e molto, il nuovo album ALT. Chi invece non ne ha apprezzato in passato lo stile non si avvicinerà di sicuro con questo disco alla sua produzione artistica. Ma anche questo è giusto, va bene così. Bentornato quindi Mr. Zero e buona fortuna per il live all’Arena di Verona i prossimi 1 e 2 giugno. Il suo numeroso pubblico fatto di fedelissimi sarà felice di ritrovarla.