Il 19 dicembre scorso si è aperta al Macro Testaccio – La Pelanda di Roma una grande mostra documentaria dedicata a Renzo Arbore per celebrare i suoi 50 di carriera. Nel progetto sono stati coinvolti, oltre allo stesso Arbore, molti dei suoi più stretti collaboratori, primi tra tutti Alida Cappellini e Giovanni Licheri che, oltre ad aver disegnato la maggior parte delle scenografie per gli spettacoli dell’artista, si sono occupati in questa occasione dell’allestimento della mostra, progettato in modo da accogliere il visitatore come se si trovasse all’interno dell’abitazione del musicista. L’esposizione, che terminerà il 3 aprile 2016, è inoltre accompagnata dal volume E se la vita fosse una jam session? Fatti e misfatti di quello della notte a cura di Lorenza Foschini ed edito da Rizzoli in cui Arbore racconta se stesso, la sua carriera e le sue passioni, fornendo in questo modo al lettore una panoramica degli ultimi 50 anni di storia dello spettacolo italiano. All’inizio del percorso espositivo campeggia il motto «lasciate ogni tristezza voi ch’entrate», ad accogliervi la voce di Arbore che omaggia Ray Charles con un arrangiamento di Hit The Road Jack ed una moltitudine di riproduzioni di copertine di riviste dedicate, negli anni, al musicista pugliese. Uno schermo all’ingresso della prima stanza proietta le testimonianze rese da uomini e donne appartenenti al mondo dello spettacolo e della cultura, tra i quali spiccano – ad esempio – Andrea Camilleri o Piero Angela che, riferendosi ad Arbore, invita a riflettere sul fatto che quando si parla di televisione di qualità, in realtà, sono le persone a essere di valore e a mantenere dunque elevato il livello dell’intrattenimento.
La prima parte della mostra è dedicata a due delle grandi passioni di Renzo Arbore: la musica e i viaggi. L’artista spiega in un video che, dal suo punto di vista, esse sono inscindibili e che ha intrapreso la carriera musicale proprio perché gli avrebbe dato la possibilità di visitare città e continenti lontani, terre esotiche come la Cina oppure l’amatissima New Orleans – patria del jazz, città del cibo e di avventure – di cui egli è cittadino onorario. In questa sede trovano spazio anche i suoi miti, punti di riferimento imprescindibili per la sua attività di musicista, ma anche di showman: da Louis Armstrong di cui è possibile ammirare un ritratto su sfondo rosso dal gusto improbabile a Totò, senza dimenticare icone del calibro di Ella Fitzgerald ed Elvis Presley. Viene qui ricordata inoltre la nascita dell’Orchestra Italiana, fondata nel 1991 dal cantautore per valorizzare e diffondere nel mondo la canzone napoletana classica, egli temeva infatti che alcune di queste bellissime canzoni, vere e proprie opere d’arte, scritte tra la fine del XIX secolo e la metà del XX, potessero venire definitivamente dimenticate se non ci si fosse prontamente adoperati per una loro riscoperta. Proseguendo la visita ci si trova poi davanti ad una parte dell’immensa collezione di oggetti e memorabilia appartenenti all’artista. Occhiali dalle forme strane, beauty case, carillon, miniature di personaggi dei fumetti, ecc. È lo stesso Arbore a spiegare che, nel 1965, con i suoi primi guadagni iniziò a dar sfogo al suo desiderio di acquistare, come se fosse una forma di compensazione per i giocattoli che non aveva potuto avere da bambino a causa della guerra.
Ricorda che andava alla ricerca degli oggetti più disparati e inutili, ammettendo di essere innamorato dell’oggetto falso che ritiene essere migliore del vero poiché non appassisce, rientrando – dal suo punto di vista – a pieno titolo nel concetto di modernariato. Siamo davanti ad un collezionista compulsivo con una smodata passione per la plastica: cravatte, gilet, suppellettili e mobili come quelli della collezione Miami Swing ideata da Cappellini e Licheri di cui è possibile visionare alcuni pezzi. Il visitatore può inoltre ammirare alcuni dei particolari capi d’abbigliamento che da sempre contraddistinguono il conduttore. Un albero di sgargianti cravatte si trova dirimpetto a una cappelliera ove spicca un raccapricciante copricapo a forma di fenicottero. Senza, ovviamente, poter dimenticare le camicie e i gilet multicolore. L’ultima parte dell’esposizione è invece dedicata a quella che per Arbore rappresentò la rampa di lancio: la radio. Considerato dalla critica come il primo vero disc jockey italiano, egli ha l’enorme merito di aver introdotto una ventata d’internazionalità nel panorama musicale italiano degli anni ’60, rendendo popolari anche qui cantanti come Otis Redding, Aretha Franklin, Miles Davis e Wilson Pickett attraverso le sue trasmissioni radiofoniche. Immagini e memorabilia ripercorrono l’incontro con Gianni Boncompagni e la nascita di Bandiera Gialla nel 1965 e Arbore a tal proposito ricorda: «Ci prendemmo da soli la libertà di portare dischi nostri, mettere quelli che ci piacevano in quel momento e, soprattutto, parlarci sopra. Allora era impensabile, vietatissimo fare una cosa del genere». Poi il grande successo e l’avvio – dopo il superamento delle diffidenze della direzione RAI dell’epoca – di Alto Gradimento, trasmissione qui definita come «l’antesignana del cazzeggio» e tutta basata sull’improvvisazione degli speaker. A chiudere il percorso vi è – dulcis in fundo – la bellissima collezione privata di radio d’epoca, tutte databili tra gli anni ’30 e ’50 del XX secolo. Quella su Renzo Arbore è sì una mostra celebrativa di un brillante mezzo secolo di carriera ma, a parere di chi scrive, poteva francamente essere rubato un po’ di spazio alle innumerevoli cianfrusaglie in favore di una documentazione più approfondita su alcuni aspetti forse lasciati leggermente in disparte della sua multiforme esperienza artistica.