Voto: [usr 3.5] – Il nuovo album di Richard Starkey Jr. (Ringo Starr) è stato pubblicato lo scorso 31 marzo e si intitola “Postcards from Paradise”. Detta così, la notizia ha il peso di una normalissima uscita discografica, comune, canonica. Solo se non si sa che dietro quel nome comune e canonico si nasconde Ringo Starr, ovvero il batterista dei Beatles, ovvero una delle più grandi e influenti leggende viventi della storia della musica. Detta così la cosa cambia. E parecchio, anche.
Tre anni dopo “Ringo 2012”, il celebre polistrumentista e produttore britannico torna dunque con un disco di inediti, il 18esimo della sua lunga e sfolgorante carriera che gli è valsa, giusto per dirne alcuni, una stella sulla Walk of Fame di Hollywood, la nomina a Membro dell’Ordine dell’Impero Britannico, il titolo di Commandeur dell’Ordre des Arts et des Lettres e persino la possibilità di dare il proprio nome a un pianeta minore in orbita intorno al Sole, il (4150) Starr. Roba da immortali, dunque. Anche se per uno dei due Scarafaggi ancora in vita (assieme a Paul McCartney) questo genere di riconoscimenti sono all’ordine del giorno. Ringo Starr infatti verrà inserito nella Rock and Roll Hall of Fame per la seconda volta nella sua vita (la prima fu nel 1988 come membro dei Beatles) il prossimo 18 aprile a Cleveland, raggiungendo così i suoi compagni John Lennon, George Harrison e Paul McCartney che già ne facevano parte come artisti solisti. Un percorso leggendario ben lontano dal trovare la sua fine.
“Postcards from Paradise” è un album piacevole, positivo e ben curato, nel quale trovano spazio tanti ospiti illustri, vecchi amici del Baronetto di Liverpool che si sono divertiti (come molto spesso anche in passato) a strimpellare e comporre insieme, registrando 11 tracce eleganti e impeccabili che hanno il potere di farti tornare indietro con lo sguardo (e con l’orecchio) agli anni ’60. Per la prima volta, poi, Ringo e la sua All Starr Band hanno scritto e registrato tutti assieme un pezzo, “Island in the Sun”, dove le chitarre di Steve Lukather e Todd Rundgren, il basso di Richard Page, la tastiera di Gregg Rolie, le percussioni di Gregg Bissonette e lo splendido sax di Warren Ham accompagnano la voce di Ringo in un brano vellutato dall’anima reggae. Scorrendo le canzoni si incontrano poi tanti altri grandi personaggi, come Richard Marx in “Not Looking Back”, Van Dyke Parks in “Bamboula”, il produttore Glen Ballard in “Confirmation”. E poi ancora Ann Marie Simpson, Amy Keys, Peter Frampton, Joe Walsh.
Un team di eccellenza assoluta che rende queste 11 cartoline dal Paradiso, 11 preziosi episodi pop. Tra questi, menzioni di riguardo vanno alla open track “Rory And The Hurricanes”, riferita ai Rory Storm And The Hurricanes, ossia il gruppo in cui Ringo suonò verso la fine degli anni ’50 prima di entrare nei Beatles. Pezzo brillante e ben confezionato, con i suoi cori alla Beach Boys e il mood tipico dei 60’s. A “Postcards from Paradise”, brano tipicamente beatlesiano nel groove, nelle melodie e anche nel testo, che incede pulito in un buon impasto sonoro di cinque minuti. A “Bamboula”, ritmato e coinvolgente nelle sue sfumature blues e gospel, che poggia in larga parte su un bel lavoro di batteria (e ci mancherebbe pure, in un disco del batterista dei Beatles!). E all’ultima traccia “Let Love Lead”, un bruciante blues dai toni accesi che si sviluppa su una chitarra che graffia dall’inizio alla fine e accompagna a un commiato celebrativo e niente affatto malinconico, ma segnato dalla stessa carica dell’inizio. Un bel regalo che Ringo Starr fa al suo pubblico ma anche a se stesso per festeggiare l’ennesimo riconoscimento che riceverà in Ohio tra un paio di settimane quando sarà, tra l’altro, a pochi mesi dal suo 75esimo compleanno (7 luglio), più di 50 dei quali passati da leggenda vivente e da membro dei quattro Scarafaggi più famosi del mondo. Roba da vera Starr.
Paolo Gresta