Sono passati quattro anni dall’ultimo concerto di Slash nella Capitale e i fan romani attendevano con ansia il primo, grande live di inizio estate come si aspetta un’eclissi totale di sole visibile ogni vent’anni. La cornice è il Rock in Roma all’Ippodromo delle Capannelle. Ciò che colpisce immediatamente è l’eterogeneità del pubblico presente. Rockettari di ieri e di oggi si mescolano tra loro creando un brusio fatto di eccitazione e adrenalina. Bambini, tanti bambini, ancora inconsapevoli del regalo che i genitori hanno fatto loro: potranno dire di aver avuto la fortuna di ascoltare live uno dei più travolgenti chitarristi della storia della musica. Perché dopo trentacinque anni di carriera Slash è ancora questo. Quel cilindro, quei riccioli neri, ma soprattutto quelle mani che sembrano in grado di incendiare le corde delle splendide Gibson che suonano, danno l’impressione di essere rimasti immutati nel tempo, nonostante i vizi, i cambiamenti, nonostante i Guns N’Roses siano ormai un lontano ricordo e il presente racconti un’altra storia. Quella di Myles Kennedy e The Conspirators, una band solida, potente, capace di tenere la scena senza far rimpiangere il passato. Il cantante domina il palco con sicurezza, grazie a una voce splendida che, pur ricordando enormemente l’Axl Rose di una volta, riesce nell’impresa di mantenere una propria autonomia, accompagnando, senza mai rimanere nell’ombra, la vera star della serata. Dopo i sei brani degli ottimi Rival Sons, per chi non ha voluto rovinarsi la sorpresa sbirciando in anticipo la scaletta, l’inizio del concerto è una vera e propria botta. Si comincia con You’re a Lie, singolo fortissimo estratto da “Apocaliptic Love” e poi subito quel charleston che i nostalgici dei Guns N’Roses riconoscono all’istante. E’ Nightrain, è “Appetite for Destruction”, è la storia del rock. Saul Hudson mette subito in chiaro quale sarà il livello della serata e Avalon trascina tutti. Il pubblico inizia a saltare, il ritmo diventa più potente grazie a una setlist congegnata alla perfezione nella quale presente e passato trovano un equilibrio perfetto. Il merito, a dir la verità, è anche dell’ottima fattura di “World on Fire”, ultimo album uscito nel 2014. Dopo Standing in the sun, Myles kennedy saluta il pubblico romano già in estasi e con Wicked Stone il chitarrista cambia marcia facendo viaggiare le sue mani sulla Gibson a un ritmo forsennato. E’ in questo momento che il concerto di Slash prende il volo. Double Talkin’ Jive e You Could be Mine, Doctor Alibi (in cui spiccano il basso robusto e la voce rude di Todd Kerns) e Welcome to the Jungle. E’ il delirio, i fan stremati di ogni età continuano a saltare, è il 2015 ma il 1987 è vicinissimo e il fatto che Saul Hudson voglia mettere in chiaro chi fosse la vera anima dei Guns’N Roses è sotto gli occhi di tutti. Occorre tirare il fiato e Starlight è perfetta. Dal rock duro della hit di 26 anni fa si passa a un suono più dolce, qualche coppia si gode il momento romantico ballando un lento e guardandosi intensamente, cullata da una chitarra che diventa di nota in nota più avvolgente, senza perdere la sua potenza, e dalla voce di Myles Kennedy che con il suo graffiato tenero non lascia scampo. Beneath the Savage Sun e Dissident, che Slash suona con una doppio-manico rossa, e poi arriva il momento più alto del concerto. Comincia Rocket Queen e un assolo lungo 15 minuti che incanta anche l’ultimo degli avventori di Capannelle. In questo momento non si balla, non si salta, si ascolta estasiati un uomo di 50 anni che suona ancora come se ne avesse venti di meno. Dopo anni e anni gli accordi vigorosi, le scale pentatoniche, il pick up al manico sono sempre gli stessi e confermano, semmai ce ne fosse bisogno, che non occorre essere un sopraffino chitarrista jazz per provocare emozioni in chi ti ascolta. Se ti chiami Slash basta il cuore, l’incredibile talento compositivo e quei solo tamarri (passatemi il termine) che arrivano dritti alla spina dorsale di tutti irradiando dei brividi in ogni parte del corpo. Dopo un quarto d’ora così, il live inizia a scivolare verso la sua naturale conclusione, ma c’è ancora tempo per qualche altro “tremolio interno”. L’ottima Bent to Fly, World on Fire e Anastasia precedono il brano più atteso. Arriva Sweet Child of Mine signore e signori ed è di nuovo il delirio, i fan la cantano tutta, parola per parola, come se volessero rallentare la fine di una delle canzoni più conosciute di tutti i tempi. A precedere l’encore c’è Slither e “cuore di papà” Saul chiede al pubblico di fare gli auguri di compleanno al figlioletto Cash, riprendendo dal palco con lo smartphone. Il concerto di Slash featuring Myles Kennedy and The Conspirators (non una band spalla, lo sottolineiamo, ma uno nei gruppi rock migliori del panorama musicale odierno) finisce con un’altra grandissima hit e non poteva che essere così: Paradise city chiude il cerchio, lasciando a tutti la sensazione che davanti a questo presente glorioso, il passato non dev’essere un rimpianto, ma solo un ricordo che una serata così può farti rivivere, dandoti al contempo una bella speranza per il futuro.
Vittoria Patanè